Alberto Tomba e noi: storie di pranzi domenicali, fra carboidrati e felicità
Noi italiani ci appassioniamo subito e con grande intensità quando appare un campione speciale in un determinato sport. Al di là del calcio e in parte del ciclismo, anche se la Pantani-mania e quell’amore per il ciclismo non si vedeva da anni e non si vedrà più da lì in avanti, abbiamo iniziato a seguire e addirittura a praticare e far praticare ai nostri figli gli sport più vari, dal tennis durante l’epoca di Panatta, alla Vela nel periodo del Moro di Venezia. Ma l’effetto sugli italiani che ha avuto Alberto Tomba è paragonabile solo a un altro atleta, Valentino Rossi. È lo stesso Alberto Tomba, che oggi compie 54 anni, a spiegare cos’era lo sci prima di lui:
“Lo sci era uno sport povero. Tutto iniziò con le due medaglie d'oro di Calgary '88. Ho sempre avuto un carattere estroverso: vincevo e facevo ridere la gente”.
Mescoli insieme un ragazzo borghese nato lontano dalle montagne, lo sport più antimediatico del lotto, perché da una parte al tempo poco televisivo, dall’altra pieno di atleti a dir poco lontani dal glamour (unica piccolissima concessione italiana era stata Piero Gros), lo spirito degli anni ‘80 che guardano alle nuove frontiere anche dell’entertainment da weekend e viene fuori il più grande fenomeno sportivo italiano, che ci ha letteralmente travolto proprio dove eravamo più indifesi: davanti alla lasagna bollente del pranzo domenicale in inverno.
“Piacevo perché festeggiavo anche la sconfitta”.
Di quell’attimo sacro per tutti gli italiani, Tomba divenne il sacerdote, anzi la vestale che dava inizio al pasto stesso e ne modulava l’umore. Lo sanno tutti che si mangiava con più armonia corpo-mente se Tomba vinceva. E Tomba vinceva. A fine carriera saranno 50 le gare di Coppa del mondo portate a casa tra Slalom gigante e Slalom speciale, una quantità incredibile dietro solo ad altri giganti come Ingemar Stenmark, Marcel Hirscher e Hermann Maier. Per capire Tomba, uomo di pianura o al massimo di collina che diventa il re della montagna serviva un occhio speciale, come quello di Gustav Thöni, il più grande sciatore italiano prima di lui. È lo stesso Thöni a parlarne anni dopo:
“Lo vidi al Tonale. Era nella squadra C e faceva da apripista alla A. Uscì due volte, ma andava a manetta. Chiesi a Pietrogiovanna: “Chi è?”. E Tino: “Lascia stare, è di Bologna ed è un figlio di papà”. Per fortuna non gli ho dato retta”.
Cosa vide quel giorno Gustav Thöni? Vide il futuro, sotto tutti i punti di vista. Prima di tutto tecnico. Prima di Tomba i paletti, anche perché molto diversi dai suoi e dagli attuali si circumnavigavano, lui li abbate, gli va incontro con la sua forza di gambe e tronco e letteralmente li spiana, arrivando giù a velocità mai viste prime. Poi vide il futuro della disciplina. Lo sci doveva smetterla di essere fiore all’occhiello dei montanari o divertissement domenicale degli alto borghesi, doveva diventare nazionalpopolare e poteva farlo solo se tutti si appassionavano a un personaggio del tutto nuovo, come accadde in giro per il mondo con Alberto Tomba.
Inoltre Tomba ha cercato il centro dell’attenzione fin da subito. Una piccolissima parte degli italiani lo scopre nel 1984, ma in un’occasione particolare. Si corre il Parallelo di Natale sulla collina di San Siro, la città è tutta interessata all’evento. Aspettano i grandi dello sci e vince questo diciottenne con una faccia da film americani. Da quel momento il rapporto con noi si è consolidato, come quando hanno interrotto Sanremo nel 1988 per vedere la seconda manche del suo Slalom speciale alle Olimpiadi di Calgary, oppure quando siamo andati al cinema a guardare il rivedibile “Alex l'ariete” con lui protagonista insieme a una giovanissima Michelle Hunziker. Magari è il più brutto film della storia del cinema italiano, ma Tomba doveva essere considerato.
“Ho innescato un bel giro d'affari. Esistono tesi di laurea sull'impatto che ho avuto sul mercato degli sci. I bambini insistevano a vestirsi come Alberto Tomba: tuta, sci, scarponi, occhiali. Sono felice che tutto quello che ho fatto abbia aiutato la crescita di questo sport”.
Lui non ha colorato tutto di bello e affascinante, vincendo però poco. Ci ha messo tanta di quella ciccia che è poi il motivo per cui lo amavamo e lo amiamo ancora. Oltre alle 50 vittorie in Coppa del mondo, ha ottenuto anche tre ori e due argenti ai Giochi olimpici e due ori e due bronzi ai Mondiali, vincendo quattro Coppe di specialità in Slalom gigante e Slalom speciale oltre alla Coppa del mondo generale nel 1995, ultimo italiano (Federica Brignone lo scorso anno ci ha dato una grande vittoria fra le donne) a riuscirci in un’annata spettacolare e in cui al bar, sul bus, a scuola, in chiesa (magari nel momento della comunione), al parco, durante il tresette, al cinema (quando c’era un film tipo “Alex l’ariete”) si parlava quasi esclusivamente di Alberto Tomba e delle sue imprese.
“Il doping? Nello sci non credo vi sia, perché non c’è bisogno. Beh, mia madre mi faceva le tagliatelle. E ancora oggi mi fa tourtel' e tourtlon'.”
Anche il modo come ha chiuso la carriera è una scena per cui ci vogliono gli sceneggiatori davvero bravi. Ultima gara della carriera e della stagione, 15 marzo 1998. Sulla Piste Nationale di Crans-Montana c’è lo Slalom speciale. Vince sui norvegesi Buraas per 14 centesimi e Jagge per 77 centesimi. Lui che nella neve piange è per molti il risveglio da quella favola di carboidrati e felicità che le domeniche di Alberto Tomba hanno significato.
“Sogno di essere noto come il Papa, Reagan, Gorbachov o Stallone. No, forse Stallone in Africa non lo conoscono”.
Successo, donne, marketing, polemiche, vittorie, fama, futuro, forza. Tante cose nella tag cloud di Tomba a fine carriera. Eppure tutto nasce dalle emozioni, che ha vissuto ed è riuscito a darci.
“Non c'è nulla che possa regalare le stesse emozioni dello sci. Il bello è quando esci al mattino dopo una nevicata notturna, e sali sulla montagna e vai nella neve fresca. Sei a duemila metri e respiri l’aria pura, sei in mezzo alla natura. Non so dire, ma sento che ogni volta qualcosa mi rinasce dentro”.