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Nicolò Martinenghi: “Quel viaggio solo in pullman con la medaglia, il mio ricordo delle Olimpiadi”

Nicolò Martinenghi a Fanpage.it ha parlato del lavoro che sta svolgendo in vista delle Olimpiadi di Parigi, delle sensazioni e delle differenze con l’esperienza di Tokyo e del momento che sta attraversando il nuoto azzurro.
A cura di Vito Lamorte
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Il nuoto italiano sta vivendo un momento d'oro e Nicolò Martinenghi fa parte della rosa di campioni che l'Italia può sfoggiare in vista delle Olimpiadi 2024. Il classe 1999 nato a Varese è una delle punte di diamante del nuoto azzurro e può vantare un palmarès già notevole ma che punta a migliorare a Parigi.

È un punto di riferimento nei 100 rana e nelle staffette Tete, che è bravissimo nel singolare ma sa fare squadra e con i compagni si è creato un gruppo di lavoro che fa aumentare il feeling anche nei momenti decisivi. Nicolò a Tokyo 2020 è diventato il secondo italiano a vincere una medaglia olimpica nella rana e lo ha raccontato così: "È stata un'emozione indescrivibile. Ho lavorato sei anni per 58 secondi: esserci al 100%, in quel preciso momento, e ho provato la gioia di sapere che in quel momento tutti i sacrifici erano stati ripagati. Non ricordo tutto ma ci sono dei momenti che ho ben impressi nella mia mente". 

Compirà 25 anni il primo agosto e in quei giorni capiremo se festeggerà solo il compleanno all'interno del Villaggio Olimpico. o anche qualcos'altro. Martinenghi è alla seconda personale partecipazione ai Giochi e vuole scrivere altre pagine importanti per se stesso e per il movimento azzurro: "Siamo un bel gruppo, ci divertiamo, siamo magari molto spesso ragazzi cresciuti insieme dalle giovanili fino ad oggi e questo rende tutto ancora più divertente".

Tete si presenta al grande appuntamento con maggiore serenità rispetto a Tokyo e con una consapevolezza maggiore nei suoi mezzi. A Fanpage.it Nicolò Martinenghi ha parlato del lavoro che sta svolgendo in vista delle Olimpiadi di Parigi, delle sensazioni e delle differenze con l'esperienza di Tokyo e del momento che sta attraversando il nuoto azzurro.

Come si prepara Nicolò Martinenghi per le Olimpiadi di Parigi?
"L’avvicinamento per Parigi non è niente di diverso rispetto all'avvicinamento di altre gare. Ricordiamoci sempre che l'Olimpiade è una gara. L’importanza la dà l’evento in sé, ovvero una volta ogni quattro anni, però i miei avversari sono sempre gli stessi che ho nei Mondiali e anche negli Europei in realtà. Quindi non è niente di diverso rispetto al solito. L’aspetto mentale è quello più importante dei Giochi e sono arrivato a un certo punto di maturità da poter pensare di riuscire a stare in qualsiasi posto e cercare di isolarmi da quello che è il contesto intorno. Ho avuto la fortuna di vivere già un'Olimpiade, quella di Tokyo, anche se un po' tipica, e so già cosa vuol dire vivere quelle dinamiche, quindi è comunque un qualcosa in più rispetto magari a chi ancora non l'ha fatta".

A che punto è la preparazione?
"Per quanto riguarda la parte più pratica e tecnica, ho appena finito un periodo di allenamenti con Thomas Ceccon e Michele Lamberti in Turchia ed è stato bellissimo: siamo tornati da un paio di settimane, ora ripartirò molto probabilmente per motivi più legati a spazi acqua e avrò delle gare durante questo mio avvicinamento a Parigi. Oggi con il mio allenatore stiamo parlando e cercando di capire se si può incastrare anche un periodo in altura da qui all'Olimpiade e stiamo valutando bene quello che potrebbe essere più adatto a me. Abbiamo già provato tutto negli anni, quindi basta solo mettere i tasselli nel posto giusto".

Com'è la giornata ideale di Martinenghi?
"Parte tutto dall'allenamento della mattina. Questa Olimpiade rispetto a quella scorsa sarà tutto più in ritardo, nel senso che le gare la mattina saranno leggermente dopo e le finali saranno la sera. Mi allenavo molto presto la mattina per facilitare anche il metabolismo per la finale, mentre ora verso le nove e mezza mi sto già allenando, quindi è un buon orario. Arrivo in piscina quei 40 minuti prima a fare attivazione, esercizi, riscaldamenti e poi si parte. L'allenamento dipende dalla giornata e dal tipo di lavoro che abbiamo pensato di fare. Ad esempio, oggi, abbiamo fatto più o meno un paio d'ore ma tendenzialmente quella è la durata. Dopodiché il pomeriggio, o c'è un secondo allenamento di nuoto oppure si fa allenamento in palestra, fisioterapia o altre attività. Alla fine la vita di un atleta non è solo quella all'interno del suo sport, ma anche tutto attorno".

E il tempo libero?
"La sera preferisco avere un pochino di libertà per poter uscire con gli amici, stare a casa o comunque avere la mente più libera. Ultimamente mi sono preso abbastanza bene con il Monopoli, ad esempio. La giornata di un atleta è semplice ma complessa allo stesso tempo".

Come descriverebbe la rana a chi non la conosce?
"Ma io ho sempre detto che la rana è un po' la pecora nera del nuoto. È quello stile che, essendo un movimento in gesto tecnico anche articolare, è completamente diverso da quello che è naturale per noi. Comunque le ginocchia lavorano su degli assi che noi non siamo abituati a utilizzare. Sono movimenti  che devono essere innati, quindi uno deve essere predisposto un po' per la rana e già questo non è che limita, ma differenzia la rana da tutti gli altri stili. Semplicemente la rana, come tutto il nuoto ad oggi, è creatività. Ognuno deve essere in grado di creare il proprio dipinto a proprio piacimento. Ognuno deve sapere sfruttare le proprie qualità, le proprie qualità tecniche, fisiche, per impostare la propria nuotata come meglio crede. Questo ovviamente è un lavoro fatto poi con l'allenatore, non di certo da soli. Per me è anche un po' di pazzia: se metti insieme le due cose viene fuori quello che è il mio stile".

Che ricordi ha dei Giochi di Tokyo?
"Poco fa mi è capitato di parlare di questa cosa con degli amici e dicevo che per quanto per me sia stata la gara più emozionante di tutte, paragonabile forse al Mondiale dell'anno successivo, io ho pochissimi ricordi reali di quella medaglia vinta a Tokyo. Forse perché ero tanto emozionato. Gli unici ricordi, veramente, che mi rimangono limpidi nella testa e per poco tempo, sono il momento in cui ho toccato il muro dei 100 rana: ho guardato il blocco e ho pensato che dovevo solo vederlo accendersi di una luce. Quindi quel momento in cui ho realizzato di aver preso questa medaglia, guardavo i miei compagni sugli spalti e quella è stata una delle cose più belle: tutto quello che riguarda il podio me lo sono quasi completamente dimenticato. Mi ricordo perfettamente invece il viaggio di ritorno in pullman, perché dopo il podio ho dovuto fare l'antidoping, quindi sono tornato da solo con un altro nuotatore brasiliano: in quel momento ero da solo, ho aperto lo zaino e ho guardato la mia medaglia. Me la sono goduta un po' da solo, anche perché sapevo che da lì a poco sarei entrato nel villaggio e avrei condiviso in maniera speciale la mia medaglia con tutti i miei compagni".

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Cosa vuol dire vivere le Olimpiadi da dentro?
"La grandezza dei Giochi è una cosa inspiegabile. Parlo di strutture, la grandezza del villaggio, la grandezza di tutte le persone che le frequentano. Io mi sono fermato a pensare e ho detto: cavolo, il villaggio olimpico, bene o male, deve contenere almeno una cittadina. Poi ti fermi e pensi che sia assurdo che lì dentro ci sono tutti i migliori atleti del mondo, di qualsiasi sport. Tutti lì.  Se una persona appassionata di sport mettesse i piedi lì dentro avrebbe da fare tutto il giorno perché veramente capita spesso di incontrare grossissimi punti di riferimento nello sport, magari sentirti molto vicino a mangiare, vederli passeggiare come se niente fosse. Capisci di essere realmente uguale a loro. Poi la notorietà è qualcosa che viene in secondo piano, però capisci di essere uno sportivo tanto quanto lo sono loro, i sacrifici che fai sono gli stessi che fanno loro.E questa è una forza incredibile, è la forza dell'Olimpiade: far restare tutti gli atleti sullo stesso livello".

L'Italia sta vivendo un momento importante nel nuoto.
"È un momento che è arrivato senza preavviso, nel senso che io i primi collegiali lo ho fatti a Budapest nel 2017 ed era una nazionale composta da tanti pilastri come Filippo Magnini, Federica Pellegrini, Turrini, Greg e Gabri… tutta gente che aveva vinto le medaglie olimpiche e che andava forte. Quando io ero lì ero ancora un ragazzino e tanti mi chiedevano se sentivo il peso di questo passaggio di testimone ma, in realtà, nessuno di noi ci ha mai pensato. Io stesso in primis non ci pensavo a questa cosa. La cosa positiva è che alla fine, togliendo fenomeni come Thomas (Ceccon), Benedetta (Pilato) e altri, siamo riusciti ad arrivare a dividerci un po’ questa cosa. Abbiamo le punte di diamante che rimangono, che ci sono e ci saranno sempre in qualsiasi ambiente, ma io credo davvero che la cosa bella sia che nessuno si sente questo peso. Siamo un bel gruppo, ci divertiamo, siamo magari molto spesso ragazzi cresciuti insieme dalle giovanili fino ad oggi e questo rende tutto ancora più divertente".

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Come descriverebbe, invece, il suo di momento.
"Credo di aver fatto cose che magari non mi aspettavo di fare negli ultimi anni, o magari non in quel modo. Ad oggi sono in un momento di consapevolezza e di serenità, nel senso che non sento grosse responsabilità o pesi addosso, se non quelli magari imposti da me stesso. Voglio godermi quello che sto facendo e negli ultimi tempi ci sto riuscendo. Dico sempre che se potessi solo cambiare qualcosa, cambierei il modo in cui ho vissuta i Giochi di Tokyo perché noi siamo sempre soggetti alla ricerca di una prestazione, un po' schiavi della prestazione. Abbiamo a che fare col tempo e quindi se un giorno ci alleniamo e non facciamo il tempo richiesto, oppure ci alleniamo peggio del giorno prima, siamo capaci anche di eclissarci da soli".

Invece bisogna pensare che è bello anche il percorso che si fa.
"Esatto. Godersi quello che stiamo facendo, il fatto che stiamo girando il mondo da quando abbiamo 13-14 anni, che ci stiamo divertendo e che abbiamo avuto delle fortune che magari i nostri coetanei non hanno avuto. Perciò questo è quello che secondo me bisogna godersi di più. La cosa più bella è anche conoscere gente in tutto il mondo. Io so che ho case più o meno in in tutto il mondo perché ho davvero tanti amici. Quindi sono queste le cose che poi rimarranno veramente dello sport. Certo, resteranno anche le medaglie vinte e i successi, però ci sono le relazioni, le emozioni che riesci a trasmettere e quelle che provi tu. Positive e negative. Per questo bisogna cercare di godersi di più tutto quello che è il percorso che è stato fatto, che si farà e che stiamo facendo".

L'impressone è che più passa il tempo e più si diventa professionisti molto presto nel nuoto.
"È vero, il nuoto sta diventando sempre molto più precoce e, allo stesso tempo, anche longevo, perché c'è anche tanta gente che riesce a mantenere e avere magari una seconda carriera più avanti con l'età. Io quando ero più ragazzino, quando avevo magari 14, 15, 16 anni, vedevo il nuoto semplicemente come un divertimento ed era il passatempo dove riuscivo meglio: ci credevo, sicuramente credevo quello che stavo facendo, perché mentirei se dicessi il contrario, ma per me era un divertimento. Uscivo da scuola perché volevo andare a nuotare, perché mi divertivo. Pensavo solo a quello, pensavo solo ad andare a divertirmi con i miei amici in piscina e poi dare il massimo in gara".

Adesso non sarebbe possibile?
"Oggi ci sono delle dinamiche nuove, ovvero a 16 anni qualcuno capisce di avere già la potenzialità per poter fare cose importanti e inizia a vivere una vita veramente da professionista: questo vuol dire fare quello che facciamo noi, ma quando sei molto giovane. Io prima mi definivo fino ai 18 anni uno studente, poi un nuotatore, mentre oggi vedo che anche nell’allenamento i ragazzi lavorano per poter sfruttare al massimo le loro potenzialità. Dopo sta a loro cercare di mantenere vivo quel velo più bello di divertimento, di gioia e di gioco anche più avanti con l'età. Iniziare a farlo molto presto è giusto quando puoi arrivare a qualcosa, ma mantenerlo è sempre più difficile".

Può essere complesso gestire tutto a quell’età?
"Sì, è vero. Calcolando anche che le difficoltà, più vai avanti e più capisci che non riguardano solo la vita sportiva ma anche quella privata. Saper schermare queste due cose è difficile, perché prima non ci pensi ma poi devi fare i conti. Come quando da bambino volevi tenere la camera in disordine perché ti piaceva, tu avevi l'ordine del disordine. Poi più avanti però capisci che l'ordine va fatto in qualche modo, subentrano delle difficoltà, dei pensieri, dei problemi in più a cui magari prima non pensavi e dopo pian piano devi iniziare anche a farci i conti. Io davvero spero che tutti i ragazzi che vanno veramente forte riescano a mantenere questo approccio, perché i buoni propositi ci sono per fare veramente bene".

Quali sono i buoni propositi di Nicolò Martinenghi per Parigi 2024?
"Non soffrire troppo il caldo prima di tutto (ride, ndr).  No, ma non lo so, sicuramente arrivo a Parigi in parte come arrivavo a Tokyo, ovvero senza niente da perdere, e in parte però molti più risultati sulle spalle che mi danno fiducia. Non credo di dover dimostrare, replicare o altro… ma è logico che mentirei nel dire che vado solo per gareggiare. Quindi la voglia di prendere ancora una medaglia c'è. Stiamo lavorando per quello e il livello si è alzato tanto, però le mie carte so di averle e so di potermele giocare al meglio".

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