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Guerra in Ucraina

La sfortuna della campionessa olimpica che fuggì due volte: prima dalla Bielorussa, ora dall’Ucraina

Aliaksandra Herasimenia è una plurimedagliata olimpica che in meno di due anni è scappata prima dalla Bielorussia, poi dall’Ucraina. La bugia raccontata alla figlia durante la disperata fuga da Kiev sotto le bombe: “Cosa puoi dire ad una bambina di 3 anni in una situazione del genere?”.
A cura di Paolo Fiorenza
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Aliaksandra Herasimenia mai avrebbe pensato che sarebbe stata costretta a fuggire assieme alla sua famiglia per due volte in meno di due anni: la campionessa di nuoto, due volte medaglia d'argento alle Olimpiadi nel 2012 a Londra, poi bronzo 4 anni dopo a Rio e con una bacheca sterminata che ospita anche ori europei e mondiali, è bielorussa e nel 2020 era stata costretta a lasciare il proprio Paese a causa della violenta repressione del governo nei confronti di coloro che protestavano contro la rielezione – ritenuta fraudolenta – del presidente Alexander Lukashenko.

Aliaksandra Herasimenia con l'argento vinto a Londra nei 100 metri stile libero
Aliaksandra Herasimenia con l'argento vinto a Londra nei 100 metri stile libero

La 36enne di Minsk aveva deciso allora di rifugiarsi nella vicina Ucraina, stabilendosi a Kiev. Adesso la ritroviamo a vivere un incubo ancora peggiore, in fuga sotto le bombe di Putin, alleato di Lukashenko. La Herasimenia si è trovata tra le centinaia di migliaia di ucraini ammassati al confine con la Polonia per cercare di scappare dalla devastante aggressione dell'esercito russo. Ora è a Varsavia, dopo un rischioso viaggio durato parecchie ore, simile a quello di tanti che si sono avviati pregando di non essere colpiti da qualche ordigno, restando poi imbottigliati in code chilometriche con le loro auto all'avvicinarsi del confine. Con lei suo marito Yauhen Tsurkin, anch'egli nuotatore bielorusso di alto livello, sua madre e sua figlia di tre anni e mezzo.

Il ricordo di quando sono cominciati i bombardamenti su Kiev l'accompagnerà per tutta la vita ed adesso che è in salvo Aliaksandra può raccontare quei momenti di angoscia e smarrimento: "La mattina del 24 febbraio non è iniziata con il caffè. Mio marito mi ha svegliato alle 7 del mattino dicendo che la guerra era iniziata. Le truppe russe avevano invaso il territorio dell'Ucraina. Kiev, come molte altre città, era stata colpita dal fuoco. Noi avevamo dormito troppo. Con l'adrenalina, abbiamo iniziato a fare le valigie. Paura, panico, mille domande mi giravano per la testa: cosa fare dopo, dove andare, dove è più sicuro? Dopo un paio d'ore, il panico se ne andò, la sanità mentale si riaccese. In quel momento migliaia di ucraini stavano cercando di lasciare la città che era completamente bloccata, gli ingorghi lunghi chilometri come un bersaglio vivente si estendevano per tutta Kiev. Abbiamo deciso di rimanere in città. E la città, intanto, viveva la sua vita. Sì, c'erano enormi ingorghi nei negozi e agli sportelli bancomat, ma le coppie camminavano per le strade bevendo caffè, le mamme con il passeggino e i bambini passeggiavano nei parchi giochi. Un gruppo di persone si è radunato con i bagagli vicino al seminterrato di fronte al parco giochi. E tutti guardavano attentamente il cielo, in attesa della prossima sirena".

"La giornata è trascorsa relativamente tranquilla, siamo riusciti a rifare le valigie, a fare la spesa, a ritirare i soldi. La notte è arrivata. La notte più lunga della mia vita – ha continuato la nuotatrice nel suo racconto – Visto che i raid avvenivano di notte, abbiamo deciso di dormire a turni per non perderci questa volta la sirena di allarme. Pulsazioni fino a 180, pensieri che si susseguivano come il vento, paura per la mia famiglia e la necessità di essere pronta ad afferrare la bambina nel preciso istante in cui la sirena suonasse e correre al riparo, non mi facevano dormire. Nessuno riuscì a dormire quella notte. Soprattutto quando si sentivano i suoni delle esplosioni in lontananza. Più tardi, dopo alcuni giorni di guerra, molti non prestarono più attenzione alle sirene e ai bombardamenti, reagirono con calma e si avviarono lentamente verso il rifugio antiaereo. La gente si abitua a tutto… Ma poi no. Al mattino presto abbiamo osservato con la geolocalizzazione che i carri armati russi erano a 30 chilometri da Kiev, non c'era nessun altro posto dove potevano sparare. Ci siamo caricati in macchina e siamo partiti".

Dirigersi verso il confine occidentale dell'Ucraina era tuttavia un piano che doveva pagare dazio a mille pericoli. E c'è stato un momento struggente quando sua figlia le ha fatto una domanda: "Lasciare la città non è stato affatto facile. Inoltre eravamo vicini a Irpin, dove erano già avvenuti combattimenti. Ma non volevo nemmeno attraversare l'intera città, potevamo finire in un ingorgo per molte ore solo in città. Si sentivano rumori di spari nelle vicinanze. Quando stavamo passando vicino a un aeroporto militare, a poche centinaia di metri da noi, si è sentito il fragore delle esplosioni. Ricordo che Sofia chiese: che cos'è? Il silenzio regnò in macchina per mezzo minuto, a dire il vero non sapevo cosa dire a una bambina di 3 anni in una situazione del genere. La nonna tornò in sé prima di tutti gli altri e disse che era un tuono, la bambina ci ha creduto. Ricordando questo momento, la mia anima soffre ancora per quei bambini che hanno sofferto e soffriranno in questa guerra. Che stress per un bambino essere in condizioni di battaglia, e talvolta senza genitori, questo è un trauma per la vita".

La Herasimenia guida un'organizzazione chiamata Belarusian Sport Solidarity Foundation, che sostiene gli atleti che sono stati arrestati o puniti in qualche modo a causa delle loro opinioni politiche. "Un anno e mezzo fa eravamo quelli che combattevano per i nostri diritti, la nostra libertà", dice la nuotatrice, riferendosi ai tanti esuli che come lei hanno lasciato la Bielorussia per non incorrere nella punizione di Lukashenko. La 36enne spiega che il nuovo obiettivo è superare i pregiudizi dell'opinione pubblica occidentale nei confronti dei bielorussi, in quanto molti sono oppositori del governo autoritario che sostiene la guerra in Ucraina.

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