La nuotatrice di sincro salvata ai Mondiali svela la verità: “In questo sport si sviene ogni giorno”
Anita Alvarez sta bene e nella sua testa avrebbe voluto subito tornare in acqua oggi, a due giorni dal malore accusato nella piscina di Budapest al termine del suo esercizio nella finale del singolo libero di nuoto artistico, come dal 2017 è stato ribattezzato il nuoto sincronizzato. Il giorno di riposo, ma non solo quello, erano per lei sufficienti a rituffarsi in acqua senza esitazione per partecipare alla finale a squadre in programma oggi. Ma la Federazione internazionale si è imposta e dopo una discussione con la squadra statunitense, si è arrivati alla decisione di non schierare la 25enne nella gara odierna, a tutela della sua stessa salute.
Troppo crude quelle immagini di Anita che affonda a corpo morto nell'acqua, troppo angosciante il pensiero che se la sua allenatrice, l'eroica Andrea Fuentes, non si fosse tuffata immediatamente nell'inerzia dei bagnini, fermati da un assurdo regolamento che sarà modificato, adesso forse parleremo di una tragedia. No, la Alvarez davvero non poteva tornare in acqua come se nulla fosse, la FINA non ha voluto sentire ragioni, nonostante la volontà contraria della ragazza. La decisione è stata presa solo poche ore prima dell'inizio della finale del pomeriggio. Bela Merkely, direttore del servizio medico dei Mondiali, ha allungato un'ombra sulla capacità della giovane di competere nel sincro: "Ci sono diversi tipi di atleti, alcuni tollerano bene le variazioni di ossigeno e anidride carbonica. Ma altri sono più sensibili, lei è una di queste. Probabilmente questo sport non fa per lei".
Niente di tutto questo, a sentire la diretta interessata, che pur essendo stata ad un passo dalla morte per annegamento – "è stata due minuti senza respirare", ha detto l'allenatrice di Team USA – racconta ora un'altra verità, a suo modo scioccante. Secondo quanto svela Anita, intervista da El Pais, gli svenimenti in piscina sarebbero assolutamente frequenti nel nuoto artistico, senza che per questo si metta in dubbio la capacità dei singoli atleti di reggere quel tipo di sforzi, che sono assolutamente immani. Il racconto della Alvarez squarcia il velo su cosa significa allenarsi e competere in questa disciplina, in una maniera che non era mai stata fatta prima.
"Spingiamo il nostro corpo al limite e a volte lo spingiamo un po' oltre – spiega la statunitense – Le persone non se ne rendono conto, perché viene data un'immagine di armonia e felicità. Sorridiamo con il trucco sul viso. Quelle piccole cose nascondono quanto sia tremendamente impegnativo. Quando l'allenamento finisce ci sentiamo come se stessimo morendo, non possiamo neanche muoverci. La gente non immagina quanto siano frequenti questi svenimenti. Ho attirato molta attenzione perché mi è successo in un Mondiale, ma in questo sport i nuotatori svengono ogni giorno. Questo non succede solo a me".
In questo scenario che fa diventare normale il muoversi perennemente su un limite che dall'esterno appare pericoloso, Anita racconta che mercoledì non c'erano avvisaglie che la luce si spegnesse da un momento all'altro, a differenza di altre volte: "Non mi ero resa conto che stavo raggiungendo il limite, mi sentivo come se stessi lasciando tutto in piscina. Nell'ultima figura, dove dovevo salutare col braccio, ricordo di aver pensato: ‘Spingi quel braccio! Non mollare ora! Dai il massimo fino all'ultimo secondo!' In passato mi sono sentita come se stessi svenendo, ma stavolta penso di essere stata molto connessa mentalmente, vivendo il momento intensamente, mi stavo davvero godendo la mia performance. Continua, continua, continua… A volte non senti dolore finché non ti fermi. È come l'atletica, a volte stai correndo e il momento in cui ti fermi è quando senti il colpo. In questa routine mi sentivo benissimo, stanca come sempre ma mi divertivo. E quando ho sentito che potevo finalmente permettermi di rilassarmi è stato quando tutto è diventato nero. Non ricordo nient'altro".
Un racconto impressionante, anche per la leggerezza con cui viene fatto, come se la sincronetta americana fosse semplicemente inciampata, invece di aver perso i sensi non respirando per un paio di minuti mentre andava a fondo. Con questa premessa, si capisce come Anita volesse gareggiare oggi nella finale a squadre: "Ho riposato molto, tutta la notte e tutto il giorno – aveva detto al quotidiano spagnolo – Il mio corpo si sente del tutto normale. Questa è una cosa che mi è già successa (al torneo di qualificazione olimpica l'anno scorso, ndr). Ti riposi e il giorno dopo torni in acqua. Devi farlo in questo modo, per non caricarti la testa di paura. I medici mi hanno controllato, sento che il mio corpo può gestirlo ed è tutto nella mia mente. Voglio finire questa competizione, sono molto contenta del mio assolo e ora non voglio perdere il mio impegno con la mia squadra nella finale delle prove libere. Voglio finire a testa alta, voglio che i miei colleghi sentano di potersi fidare di me e questo ci rende più forti".
Intenzioni che non hanno superato la ferma opposizione della Federazione internazionale, secondo la quale sarebbe stato troppo rischioso per la Alvarez gareggiare a soli due giorni da quanto accaduto. Quelle foto che hanno fatto il giro del mondo, il vederla scendere inesorabilmente verso il fondo della piscina, suggeriscono ad Anita ben altri pensieri rispetto all'angoscia provata da tutti noi e danno davvero il senso di un mondo che respira a modo suo: "A volte il posto più tranquillo della Terra è sott'acqua: quando ti siedi sul fondo silenzioso della piscina. Senti che non pesi, sei con te stessa. Lo amo. A volte ho bisogno di quel momento".