La FINA vieta alle nuotatrici transgender di partecipare a gare femminili: studia una “categoria aperta”
Un nuotatore di sesso maschile alla nascita che si sottopone al percorso di transizione per diventare donna può partecipare alle gare femminili? Per la Federazione internazionale no. La ragione è sempre la stessa: i vantaggi strutturali rispetto alle donne che i maschi acquisiscono durante la pubertà e che – secondo la la dottoressa Sandra Hunter della Marquette University di Milwaukee – non si perdono nemmeno con la soppressione ormonale. Il riferimento è alla conformazione fisica (ossa più lunghe), ad alcuni organi interni (cuore e polmoni) oppure arti (piedi e mani) di dimensioni maggiori.
Nel congresso straordinario di Budapest la FINA ha tracciato in maniera molto netta i confini dell'identità di genere con il voto dell'assemblea espresso a larga maggioranza (71,5%) sulle nuove direttive, al punto da ipotizzare una classe separata a livello élite per consentire agli atleti transgender di competere in una "categoria aperta". Una scelta definita inclusiva, per l'opportunità che sarebbe concessa di trovare una collocazione agonistica a coloro che adesso sono messi ai margini, ma che ha sollevato perplessità.
Le obiezioni rispetto alla policy adottata sono essenzialmente due: dà l'impressione di risolvere una questione molto più profonda dal punto di vista umano accentuando l'idea della diversità; in base al regolamento approvato, la soglia di sbarramento per accedere alle prove femminili è fissata a 12 anni, perché entro allora deve essere completata la transizione. Un limite di età che appare molto discutibile in virtù del processo medico, terapeutico, psicologico e della maturità necessari per affrontare un percorso di transizione.
"Il sesso biologico è un fattore determinante per le prestazioni atletiche – si legge nel documento scaturito dalla valutazione dei 152 membri del consiglio -. Il divario che ne consegue è anche dovuto alle differenze di sesso che emergono all'inizio della pubertà". Di qui la scelta di marcare i 12 anni come soglia invalicabile per stabilire l'identità di genere.
Il caso dell'americana Lia Thomas ha sollevato la questione nel mondo del nuoto: negli Stati Uniti è diventata la prima nuotatrice transgender a vincere un campionato nazionale NCAA Division I in qualsiasi disciplina (il più alto titolo di college nazionale) grazie al successo nelle 500 yard stile libero femminili. Nella primavera del 2019 aveva iniziato la terapia ormonale sostitutiva mentre in precedenza aveva fatto parte della squadra maschile della Pennsylvania.
La Fina ha giustificato il nuovo regolamento che entra in vigore a partire da oggi in base alle deduzioni di un gruppo scientifico di esperti che si sono occupati di tutti gli aspetti della questione dal punto di vista medico e legale. Deduzioni che rappresentano il punto di partenza di un ulteriore gruppo di lavoro con l'obiettivo di arrivare alla creazione di una categoria aperta dove l'identità di genere non coincide con il sesso biologico.
"Dobbiamo proteggere i diritti dei nostri atleti a competere – ha ammesso il presidente della FINA, Husain Al-Musallam – ma credo sia giusto anche proteggere l’equità competitiva nelle nostre gare, in particolare nella categoria femminile alle competizioni Fina. La creazione di una categoria aperta offrirà a tutti la possibilità di competere a livello d’élite".