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Barlaam re dell’Italnuoto paralimpica: “Tanti bambini possono superare le paure con le nostre gare”

Kobe e Phelps, Zerocalcare e Altan: Simone Barlaam, uno dei simboli dello sport italiano e miglior atleta ai Campionati Mondiali di nuoto paralimpico di Manchester, a Fanpage.it si è raccontato a tutto tondo. Tra passato, presente e futuro.
A cura di Vito Lamorte
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Dodici ori in due Campionati Mondiali di nuoto paralimpico, pochi giorni fa a Manchester eletto miglior atleta della rassegna. Simone Barlaam è uno dei simboli dello sport italiano da anni ma in questi ultimi tempi si sta prendendo la scena a modo suo, ovvero facendo risultati e prestazioni straordinarie.

Il fenomeno di Cassinetta di Lugagnano, ha fatto suo il nuovo record mondiale nei 50m stile libero categoria S9 con il tempo incredibile di 23.96; e ha firmato il nuovo record europeo nel 100m farfalla cat. S9 (58.25). Ora si guarda alla nuova stagione e ai Giochi di Parigi 2024, obiettivo del percorso del prossimo anno.

Simone è nato con una malformazione alla gamba destra e il suo femore era fragile come cristallo e ad ogni piccolo passo falso rischiava di fratturarsi, ma questo non lo ha fermato: "Quando mi sono interfacciato con il mondo paralimpico ho visto che c’erano tanti ragazzi più grandi di me d’età e che andavano fortissimo: questo mi ha spinto a maggior ragione a fare il mio meglio e a fare della mia disabilità un punto di forza". 

Barlaam, classe 2000 e oro nei 50 stile a Tokyo 2020, ha le idee chiare su come si può migliorare il movimento paralimpico del nostro paese: "Credo che manchi un modo di approccio iniziale, di inserimento. Adesso è migliorato molto ma quando ho iniziato io non era così semplice approcciarsi al mondo paralimpico. Quindi una capacità di comunicare ad un pubblico sempre più ampio".

A Fanpage.it Simone Barlaam ha raccontato la sua ultima esperienza ai Mondiali di Manchester, della sua storia e dello stato del movimento paralimpico italiano.

Cosa vuol dire essere votati come miglior atleta ai Campionati Mondiali?
“È un grande onore. Essere l’atleta più medagliato del Mondiale è una cosa non da poco, perché ci sono tanti atleti forti. Espandere il mio programma gare negli anni non è stato facile ma adesso arrivare qua è una grande soddisfazione, un grande traguardo”.

L’anno scorso Funchal, quest’anno Manchester: 12 ori in 2 mondiali sono numeri strepitosi. Come si fa ad arrivare sempre così pronti ad un appuntamento del genere.
“Se l’anno scorso in Portogallo è stata più una sorpresa anche per me, quest’anno lo è stato un po’ meno. In alcune gare abbiamo dovuto giocare d’astuzia per sopperire ad alcuni acciacchi fisici che mi hanno scombussolato. In certi giorni non ero al top ma siamo riusciti a fare il meglio possibile. Poi ho chiuso con il record nel 50 stile che cercavo da un po’ e non posso chiedere di meglio”.

Lei ha subito dodici operazioni chirurgiche per tentare di sistemare l’arto nato con una malformazione: in che modo ha lavorato su se stesso per arrivare ai trionfi di oggi?
“Innanzitutto, una cosa che mi ha avvantaggiato è il fatto che fossi piccolo. La superficialità e il fatto di vedere sempre qualcosa di buono mi ha aiutato. Poi quando mi sono interfacciato con il mondo paralimpico ho visto che c’erano tanti ragazzi più grandi di me d’età e che andavano fortissimo: questo mi ha spinto a maggior ragione a fare il mio meglio e a fare della mia disabilità un punto di forza. Vedere loro che andavano forte mi ha dato una grande spinta”.

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È vero che da piccolo la chiamavano Nemo?
“Avendo una gamba più corta dell’altra mi hanno chiamato Nemo, che ha una “pinna atrofica” (meno sviluppata dell'altra). Poi mi piaceva un sacco il mare quindi è stato quasi automatico che mi chiamassero così“.

Lei ha partecipato e vinto anche alle Paralimpiadi: è la manifestazione più affascinante e importante che esiste?
“No, non sbagli. Io a Tokyo non me le sono troppo godute perché sono arrivato in un momento non semplice per me a livello mentale e avevo problemi col cibo. Quella situazione mi ha aiutato a conoscere degli aspetti di me che non conoscevo e mi ha fatto crescere. Spero di andare a Parigi e godermi a pieno questa esperienza, che sarà totalmente diversa da Tokyo anche solo per il Covid“.

In che modo si gestisce la pressione di gare importanti come quelle mondiali o olimpiche?
“Nei mesi prima si lavora molto con uno psicologo dello sport per capire gli aspetti su cui lavorare e in che modo. Ti insegnano delle tecniche di respirazione e dei modi per visualizzare la gara, per rilassarsi o altri metodi a seconda delle necessità. Ci sono gare in cui devi essere tranquillo e concentrarti su te stesso e altre giocare d’astuzia lavorando su altri aspetti. Poi ci sono momenti diversi, come quello della chiamata in cui senti un po’ salire la pressione oppure la gara, dove ti immergi in quello che devi fare senza pensare ad altro”.

In Italia l’attenzione verso altri sport che non siano il calcio sta crescendo solo negli ultimi anni ma c’è ancora tanto da fare: è solo una questione di cultura sportiva o di mera opportunità da parte dei media?
“È un mix di cose. Dal punto di vista dei media c’è la grande crisi e se penso ai quotidiani cercano il titolo e la notizia che venda di più. Per quanto riguarda lo sport si va sempre su quelli che hanno appuntamenti settimanali come calcio e basket, con un radicamento più forte nella cultura italiana, e questo li rende più seguibili. Al di fuori delle partite ci sono diverse cose su cui lavorare mentre negli sport cosiddetti ‘minori’ come quelli olimpici o paralimpici c’è un solo appuntamento e poi stop. Già da quando ho iniziato io l’attenzione è cambiata un po’ ma la cosa più importante, oltre alle medaglie etc etc, è che si possa arrivare a più gente possibile. Facendo conoscere lo sport paralimpico ed entrando nelle case di tutti c’è più possibilità di far conoscere tutto questo a più bambini possibili. Abbiamo tutti almeno un amico o un familiare con una disabilità: per questo è importante promuovere quanto più possibile. Per me è importante sapere che tanti bambini con disabilità, guardando le nostre gare, possono superare le loro paure e non si vergognano della loro condizione".

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Hai dei punti di riferimento o dei personaggi a cui ti ispiri?
“Ho sempre guardato con ammirazione Kobe Bryant per la sua ‘Mamba Mentality’ e nel mio percorso sono sempre stato circondato da atleti più grandi di me come Morlacchi, Ghiretti etc etc; dai quali ho imparato qualcosa. Poi, naturalmente, Michael Phelps che è l’idolo assoluto“.

Altre passioni?
“Mi piacciono molto i fumetti. In questo momento sembra scontato dire Zerocalcare dopo le due serie Netflix ma seguendolo da tanti anni apprezzo il fatto che sia riuscito a crescere e a diventare un nome in un paese come l’Italia. Non è né scontato e né facile. Poi Altan oppure autori giapponesi, chiaramente poi ci sta tutta la storia del fumetto italiano che mi appassiona molto“.

Cosa manca, se manca, al movimento paralimpico italiano per essere migliore e più specializzato rispetto ad oggi?
“È stato fatto tanto ma credo che manchi un modo di approccio iniziale, di inserimento. Adesso è migliorato molto ma quando ho iniziato io non era così semplice approcciarsi al mondo paralimpico. Quindi una capacità di comunicare ad un pubblico sempre più ampio: ovviamente non sto sminuendo le capacità del Comitato Paralimpico ma bisognerebbe fare ancora meglio quella parte lì: meno passaparola e migliorare la comunicazione per l’inserimento, l’avviamento su scala nazionale".

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C’è qualche lato oscuro o buio nello sport paralimpico poco conosciuto e su cui si dovrebbe intervenire?
“Si sente parlare spesso del ‘doping’ nelle classificazioni e su questo bisognerebbe intervenire. Dato che esistono tantissimi tipi di disabilità, si viene suddivisi in varie classi per rendere lo sport più equo e giusto. Spesso alcune nazioni e atleti hanno aggravato o esaltato in modo fasullo le condizioni di disabilità per avere delle classificazioni più vantaggiose e competere da una posizione di forza. Questa è un po’ una piaga nel mondo paralimpico e si sta lavorando affinché ciò non avvenga. Ci sono stati anche degli scandali“.

Quali sono i progetti futuri di Simone Barlaam?
“A metà settembre inizieremo la stagione per capire come e dove migliorare. Ci sarà l’Europeo come tappa intermedia ad aprile e a sei mesi dall’inizio dell’annata si potrà vedere come siamo messi. Tanti allenamenti, qualche gara in giro per il mondo per culminare tutto con i Giochi di Parigi come obiettivo principale della stagione. È un’Olimpiade che voglio godermi e tutto il percorso sarà fatto su questo“.

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