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Venti anni fa Alex Zanardi è ritornato a vivere, oggi lo aspettiamo per la sua nuova rinascita

Il 15 settembre 2001 Alex Zanardi è protagonista di uno spaventoso incidente sul Lausitzring in Germania: nell’impatto perde le gambe. Resta con un litro di sangue nelle vene, per quattro giorni versa in coma e affronta un lungo ricovero. Ma riparte, diventando campione olimpico e mito dello sport italiano. Anche oggi, dopo un altro durissimo incidente, lo aspettiamo per vederlo ancora una volta rinascere.
A cura di Jvan Sica
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Per lo sport italiano Alex Zanardi è più di un simbolo, di un’icona piena di significati come il coraggio, la forza di volontà, il sacrificio, il talento, l’ossessione, la voglia di vincere e combattere ancora. Alex Zanardi è anche l’uomo del futuro per chi vuole fare pratica sportiva non solo paralimpica, perché ha mostrato innovazioni psico-fisiche nella gestione dello sforzo e nel calibrarsi psicologicamente in relazione al grande evento che è ormai un caso di studio per ogni psicologo dello sport e modello per ogni sportivo.

Si riesce a diventare un modello che proietta la propria categoria, in questo caso quella degli atleti, nel futuro prima di tutto perché si è diversi dal consueto. E Alex Zanardi lo è sempre stato, fin da quando, figlio di idraulico e sarta, decise che voleva diventare campione nello sport più ricco e difficile di tutti, l’automobilismo, anche dopo che una sorella, Cristina, era morta in un incidente stradale nel 1979. Per correre ha fatto la gavetta tipica di chi parte senza alcuna spinta iniziale per raggiunge i suoi obiettivi, riuscendo a correre in Formula 1, nei diversi campionati americane e tanto altro.

Poi arriva il 15 settembre 2001, venti anni fa esatti, venti anni dal momento in cui Zanardi inizia a moltiplicarsi, inizia a diventare modello, proprio dal momento in cui perde una parte di sé. In quel momento correva nella vecchia IndyCar in America, denominata Champ Car, con la scuderia Mo Nunn Racing, una scuderia giovane e inesperta, in cui era lui a insegnare dal primo all’ultimo quello che dovevano fare. E poi doveva anche salire in auto e correre. Alex non era l’ultimo della pista, nelle precedenti esperienze in Cart era andato alla grande, con due titoli nel 1997 e nel 1998.

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Per i poco brillanti risultati acquisiti Alex era un po’ mogio, e pensarlo così ci sembra una follia vedendolo poi sempre con la voglia di fare che schizzava fuori da ogni poro, perché lui ci metteva tutto se stesso ma la scuderia e la macchina erano troppo imperfette. Aveva perso podi facili da conquistare, come quello all’Exhibition Place di Toronto ed era arrivato al The American Memorial (ridefinito in fretta in questo modo dopo l’11 settembre, per onorare la nazione che organizzava quel campionato), che si correva all’EuroSpeedway Lausitz di Klettwitz con il desiderio di iniziare a cambiare rotta nella prima gara europea del circuito.

Quel 15 settembre l’atmosfera era mogia ovunque in realtà, quattro giorni prima c’era stato l’11 settembre a New York e le Torri cadute erano il segnale che il mondo sarebbe cambiato in peggio. Su quel circuito inoltre cinque mesi prima era morto un altro mito dell’automobilismo italiano, Michele Alboreto, mentre effettuava i collaudi delle Audi R8 Sport in preparazione della 24 Ore di Le Mans. Insomma, tutto era scuro, dentro e fuori la pista, dentro e fuori tutti quegli uomini chiamati a fare spettacolo.

La German 500 del sabato inizia e subito si mette male per Alex, abituato ma frustrato da tutti quei problemi di assetto dell’auto. Non c’erano state le prove per pioggia e si partiva secondo l’ordine del campionato e lui era solo ventiduesimo. Cerca di spingere subito e lo fa nel migliore modo possibile. Recupera fino ad arrivare in testa alla gara. Mancano solo 13 giri alla fine e Alex si ferma per l’ultima sosta. Esce dai box ma perde il controllo dell’auto, un po’ per problemi di assetto generale ma anche per macchie di olio che erano presenti proprio in quel punto. Arrivano due auto a folle velocità. Patrick Carpentier riesce a evitarlo, Alex Tagliani, canadese di Montreal ma con origini bresciane, lo prende in pieno e la Reynard MN Racing esplode.

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Quando arriva il responsabile medico della Cart, Steve Olvey, vede che le gambe sono staccate dal corpo e il sangue cola sull’asfalto senza ostacoli. Blocca il flusso, chiudendo le arterie femorali, ma Alex in quel momento aveva solo un litro di sangue in corpo. Lo trasportano in elicottero all’ospedale di Berlino, ma il cappellano prima di partire gli impartisce l’estrema unzione. L’elisoccorso atterra sul tetto dell’ospedale e il chirurgo responsabile dell’ospedale lo opera la prima volta già su quel tetto. Saranno quindici le operazioni, quattro i giorni di coma, sei le settimane di ricovero.

Poi Alex si risveglia e dice due frasi nel suo piccolo storiche. La prima alla moglie che gli spiega subito la situazione: "Affronteremo tutto questo". E poi ai giornalisti quando capisce com’è riuscito a salvarsi: "Mi vogliono studiare anche alla NASA".

Ecco perché Alex Zanardi è il futuro di ogni sportivo. Si ricostruisce letteralmente. Non solo dopo tre mesi si sarebbe alzato di nuovo in piedi nel corso della festa dei Caschi d'Oro di Autosprint a Bologna, non solo un anno e otto mesi dopo avrebbe completato quei 13 giri mancanti sempre alla guida di una Reynald, ma da quel momento in poi sarebbe diventato il modello dello sportivo per antonomasia, con tutto il suo carico di significati che è quasi impossibile descrivere.

Dopo l’incidente del 19 giugno 2020, Alex è ancora una volta lì, a lottare per ricostruirsi per l’ennesima volta. Non sarà facile, neanche un giorno da quel 15 settembre 2001 è stato facile, ma noi e lui sappiamo aspettare.

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