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Tony Arbolino: “Dormivo in camper nel weekend in giro per le piste, il lunedì ero a scuola a Milano”

Tony Arbolino, pilota italiano di Moto2, si racconta a Fanpage.it: gli inizi, i sacrifici e la gavetta prima di sbarcare nel Motomondiale.
A cura di Fabio Fagnani
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Affamato, grintoso, diretto. Tony Arbolino è un ragazzo semplice, spontaneo, sincero e ci tiene molto a ricordare le sue origini legate alla periferia milanese. Un mood, uno stile di vita, ma anche una caratterizzazione spiccata di quello che è il suo carattere pieno di sé, orgoglioso, esuberante, ma capace di capire quando ha bisogno di una mano, come quando dopo la quarantena da Covid si è allenato ogni giorno alla SMC, la Scuola di Motociclismo di Como, per rimettersi in forma, sia fisicamente che mentalmente.

Nel 2023 si è giocato il titolo contro Pedro Acosta e nella prima parte dell’anno Tony sembrava quasi averne di più del fenomeno spagnolo, come a testimoniare che di differenza tra i due non ce ne fosse poi molta, ma nella seconda frazione qualcosa è cambiato: “Abbiamo toccato la moto pensando di ridurre il gap con Pedro, ma abbiamo fatto più danni che altro. Era a lui a fare la differenza e non la moto. Lo abbiamo capito tardi e abbiamo sbagliato. Da lì, non c’è stata storia e abbiamo fatto fatica. Ma quest’anno abbiamo potenziale, non lo abbiamo ancora dimostrato, ma saremo competitivi”.

Che tipo di ragazzo è Tony?
La mia storia è molto facile. Sono nato e cresciuto a Milano, in periferia a Garbagnate Milanese. Un paese lontano dal mondo motociclistico, ma per me è stata una cosa naturale andare in moto. Dal primo giorno, quando mio papà mi ha messo su una minimoto, sono andato subito velocissimo. E poi sono sempre stato appassionato della competizione, della gara, della sensazione della vittoria. Non è stato semplice però. Il motociclismo in Italia è in Emilia-Romagna, Marche, nel centro dell’Italia. I piloti da battere erano lì, non qui a Milano dove vincevo le gare. Per capire il mio livello dovevo gareggiare con i piloti forti, con ragazzini di cui già si conosceva il cognome. Io venivo visto come il ragazzo che veniva da Milano, ma quando sono andato nella terra dei motori e ho iniziato a vincere anche lì, la storia è cambiata.

Cosa ti piace oltre la moto?
Sono un appassionato di calcio, tanto. Tifo Juventus, famiglia juventina. Mi piace giocare a calcio, sono cresciuto giocando a calcio con gli amici. Una passione che insieme a quella delle moto ho sempre avuto. Io organizzavo le squadre con i miei amici e giocavamo sempre dopo la scuola.

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C’è qualcuno che ti ha detto che non ce l’avresti fatta?
Tutti. Davvero, nessuno – a parte mio padre – ci credeva. Era troppo lontano quel pensiero, come idea, come passione. Ti danno per sconfitto, per spacciato, ancora prima di iniziare. Per me era una cosa naturale, correre, frenare, entrare in curva, accelerare, mi è sempre venuto tutto facile.

E com’era una tua settimana tipo?
Andavo a scuola dal lunedì al venerdì con un unico pensiero in testa, la gara o le gare del weekend. Il venerdì mi veniva a prendere mio padre e partivamo per l’Emilia-Romagna, facevamo il fine settimana lì, ci spostavamo in varie piste, dormivamo nel camper, a volte dentro il circuito, e poi domenica sera si tornava a Milano perché poi lunedì mattina io tornavo a scuola e mio padre a lavorare. E così via. Era devastante. Sempre così da quando ho 6 anni fino a 14. Arriva un momento dove devi pensare se non va bene quella carriera lì oppure no.

Come andavi a scuola?
A piedi (ride, ndr). Non bene, non bene. L’unica cosa che posso dire è che le maestre erano felici di questa mia passione. Ci credevano, ecco loro mi hanno sostenuto.

La passione è la stessa, come sei cambiato in questi anni?
La mentalità fa la differenza, cresci pensando di migliorare sempre in qualche aspetto. Migliorare per cercare di giocarsi le vittorie o dei campionati. Ogni giorno devo cercare di essere un po’ meglio del giorno prima, ogni gara meglio di quella prima, ogni anno meglio di quello prima. Questa mentalità me la porto dietro da sempre, ma questa è una cosa che ti viene da dentro, nessuno te la può insegnare.

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Parlami un po’ di SMC – Scuola Motociclismo Como – qual è stato il tuo approccio con loro?
La scuola di motociclismo è stata, per me, fondamentale e continua a esserlo anche se adesso vivo lontano. Per me è stato oro. Dopo la quarantena mi allenavo ogni giorno con i fratelli Ceramella, Marco e Alessandro. Ogni mattina facevo palestra e moto, per cercare di riprendere il feeling, il flow, la precisione, i riflessi. Ogni giorno miglioravo grazie a loro, alle loro capacità e anche alla loro professionalità. Lavoravo meglio e ho tolto la polvere di dosso dopo quel periodo difficile per tutti. Devo solo ringraziarli perché mi hanno aperto le porte della scuola con qualsiasi clima, pioggia, sole, freddo, caldo, davvero mi sono sentito a casa e poi, soprattutto, sono migliorato.

Cosa ti ha impressionato?
Il metodo e la mentalità. Io chiedevo di migliorare in un certo aspetto e loro mi portavano a superare il mio limite e mi spronavano continuamente a farlo insieme. Anche quando ero stanco loro mi spingevano a migliorare, a farlo ancora, a darci dentro finché avevo energia perché la ripetitività genera l’automatismo che è sinonimo di miglioramento. Sono stati davvero forti.

La SMC la consigli a tutti? Dai novizi agli amatori?
Certo, al 100%. Se ti dico che a me, con me, questo allenamento continua a fare la differenza e sono un professionista da diversi anni e faccio il Mondiale di Moto2. Se sei un amatore, un appassionato che vuole migliorarsi, vai subito lì.

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Qual è la proporzione tra talento, mentalità e sacrificio?
Il lavoro è l’unica cosa che ti fa migliorare, la mentalità di fa fare quello step per crescere. Il talento ti porta fino a un certo punto, poi devi metterci dedizione, costanza,. fame, sacrificio, come hai detto tu. Se non hai la fame di farcela, se non dimostri a te stesso che quella è la prima e unica cosa che vuoi, allora non succede. Se è la tua volontà, se la tua mentalità è “deve andare bene adesso, non la prossima”, devi sentire dentro di te che quello che stai facendo non ti basta. Solo così puoi andare avanti.

Com’è stato il confronto con Acosta lo scorso anno?
Nella seconda parte di stagione non ho fatto bene come nella prima parte, da Assen abbia iniziato a fare fatica, abbiamo toccato la moto per migliorarla e non siamo più riusciti a sistemarla. Ci siamo giocati tante gare. Dovevamo fare uno step, abbiamo provato a sistemare la moto e invece non dovevamo toccare niente e comprendere che era Pedro a fare la differenza in quelle gare, in alcune curve. Se non avessimo toccato la moto, forse, ce la saremmo giocata fino alla fine. È stato bravo a recuperare lo svantaggio, a vincere quando doveva vincere e invece noi ci siamo incasinati con le nostre mani.

Come ti senti?
Sono concentrato, sono affamato. Sono convinto che il mio momento in questa stagione sta per arrivare. L’annata non è iniziata benissimo, ma so che posso dire la mia. C'è tanto potenziale, ancora non si è visto del tutto, ma vedrai che farò bene. Una volta che arrivo dove voglio, con le sensazioni che voglio, con il feeling che voglio, non torno più indietro.

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