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Max Temporali: “La comunicazione via radio in MotoGP è un pericolo, i piloti sono appesi a un filo”

Due chiacchiere con Max Temporali, ex pilota e commentatore tecnico del Mondiale Superbike, che ci racconta chi vince tra Bagnaia e Martin.
A cura di Fabio Fagnani
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Max Temporali è un decano del mondo del Motorsport, una figura di spicco del motociclismo, legato a doppio filo con il campionato mondiale di Superbike. Con una carriera che si estende su più fronti, Max è conosciuto come ex pilota e come commentatore sportivo, giornalista e grande esperto del settore delle due ruote. È diventato uno dei volti e delle voci più riconoscibili nelle trasmissioni televisive legate alle due ruote, offrendo analisi tecniche dettagliate. La passione di Max non è soltanto una passione, ma uno stile di vita e si percepisce dal commento, dalla sua vita sempre in sella, con uno stile comunicativo diretto e coinvolgente. Max, in questi anni, è riuscito a creare un ponte tra il pubblico e il lato più tecnico del mondo delle corse.

La Superbike è da poco rientrata dal Gran Premio del Portogallo e a breve ripartirà per la tappa finale a Jerez de la Fronterà dove il turco Toprak Razgatioglu è pronto a regalarsi il suo secondo titolo iridato, il primo in sella alla BMW. È in questa parentesi che abbiamo raggiunto Max per due chiacchiere sulla stagione e sulla sua vita.

Come e quando è nata la scintilla per le due ruote?
La scintilla è nata insieme a me. Mio papà correva in moto e io sono cresciuto con quella passione. Quando avevo otto anni studiavo a memoria i vari Motosprint, a scuola pensavo alle moto, sapevo tutto dei piloti, marca di guanti, di stivali, caschi. Tutto. Avevo una malattia per i piloti e per le corse.

Che adolescente sei stato?
Metà giusto, metà sbagliato. A 17 anni ho iniziato a correre e avevo come idolo Max Biaggi e lui era un salutista, stava attento a tutto per essere un vero atleta. Io facevo tutte le cose che faceva un buon atleta: non bevevo, non fumavo, mi allenavo. I miei amici invece avevano qualche vizietto, qualcuno solo di sabato sera, ma io no, però ero rispettato per questo sogno che avevo. Dall’altra parte la moto mi ha fatto sbagliare tantissimo. In quegli anni la passione la coltivavi per strada e lì alimentavo quella cosa. Io non sono andato sulle minimoto, non esistevano ancora. Non  ho avuto quella fortuna lì. E cosa cambiava? Che per strada facevo il matto e ogni tanto la pagavo a prezzi abbastanza cari anche se per fortuna sono ancora qui a raccontarle. Ho fatto tanti errori e mi rivedo in quei ragazzi che vedo su Instagram che con le moto fanno di tutto: impennano, sgommano, si lanciano ovunque. io e miei amici facevamo cose simili. Siamo qui, ma siamo dei sopravvissuti.

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Cosa pensi dei giovani d'oggi, forse un po' distanti dalle corse?
Io faccio il tifo per i ragazzi e sono fiducioso. Se guardo i nuovi piloti, i nuovi ingegneri, sono ragazzi bravi, composti. Noi eravamo degli zingarelli. Lo dico anche guardando i miei due figli e i loro amici, sono una spanna sopra rispetto a come eravamo noi per tante cose: per il modo di porsi, per l'intelligenza, per tante dinamiche  – non per forza di cultura – ma sono più grandi. Poi, chissenefrega se non hanno la passione per le moto, ma da essere umano ben vengano questi nuovi ragazzi. La parte marcia è sempre esistita e sempre esisterà.

Torniamo alla passione per le moto: se pensi alla parola Sorpasso, cosa ti viene in mente?
Se penso al termine sorpasso non posso che associarlo a Marc Marquez, parlando di piloti in attività. Lui è veramente l’uomo che i sorpassi se li inventa anche laddove gli spazi per farli non ci sono. Un po’ come Toprak Razgatlioglu. Sono molto allineati. Hanno fantasia, creatività, niente sembra impossibile. Poi si può entrare nello specifico e dire se un sorpasso è pulito o sporco, però smuovono lo spettacolo o in una direzione o in un’altra. Se devo citarti un sorpasso che ha segnato dentro di me un modo di vedere le corse e di percepire lo spettacolo diversamente da come lo avevo vissuto fino a prima, direi la celebre staccata di Kevin Schwantz su Wayne Rainey ad Hockenheim all’ingresso del Motodrom dove è arrivato a ruote bloccate. Un qualcosa da pelle d’oca, difficile da spiegare, e pensare che eravamo negli anni Novanta, era tutto diverso, più estremo.

Passiamo alle novità, cosa ne pensi della comunicazione radio che debutterà nel 2025 in MotoGP?
Per me la comunicazione via radio è un grosso no. Non la trovo fondamentale per i piloti, forse per lo spettacolo, ma non è necessario. L’interfono che usiamo noi appassionati può essere utile se devi dire qualcosa al passeggero su una strada tranquilla, altrimenti ti toglie lucidità e attenzione sulla strada. Figuriamoci i piloti di MotoGP che sono appesi a un filo e devono stare attenti a tutto. Io sono assolutamente contrario a questa novità, è pericolosa.

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Visto che siamo sull'argomento MotoGP, chi preferisci tra Bagnaia e Martin?
Bagnaia o Martin? Allora, dico Pecco. Non perché è italiano, ma perché mi piace di più. Mi piace il suo talento puro, la sua educazione, a modo, composto, piacevole nel modo di porsi. Martin è invece caliente, esuberante. Non mi piace che quando vince spacca i cupolini con il pugno, mi da un fastidio terribile. Sarà il suo modo di sfogare la rabbia o la frustrazione. Se dovesse scegliere un pilota che rappresenta dei valori sportivi belli io dico Pecco. E chi vince? Secondo me vince Bagnaia. È nel team ufficiale, quindi ogni dettaglio è nel posto giusto, e lui deve sfruttare questi dettagli. Martin ha degli up e dei down emotivi. Quando le cose vanno bene è la sua forza, ma quando c’è qualcosa che non va diventa un difetto. A volte non è lucido e commette delle ingenuità.

Come mai secondo te non c'è l'interesse da parte di Dorna di spingere il Mondiale SBK?
Prima di tutto credo che la stessa proprietà non abbia interesse a creare una competitività tra i due campionati. L’obiettivo è diverso: la SBK va a sperimentare nuovi circuiti in nuovi paesi. Se l’esperimento riesce, poi magari i circuiti passano anche al calendario della MotoGP. È un po’ una sorta di rompighiaccio per quel che pensa Dorna, ma allo stesso tempo è un deposito utile per piloti, ingegneri, staff che non trovano posto in MotoGP e per evitare di “pascolare” nei campionati nazionali, esiste il mondiale delle derivate di serie. Il fatto che poi si dica che Dorna no spinge sono d’accordo a metà, perché dall’altra parte sembra esserci meno interesse per la Superbike. Quanti giornalisti ci sono? Se non c’è attrazione, diventa difficile puntare su un Mondiale che forse ha trovato già il suo equilibrio ideale.

Cosa pensi delle gare in strada, vista la recente scomparsa di Luca Salvadori. C'è chi ha proposto una riflessione sul senso di gare di questo tipo.
Quando c’è una tragedia si rimette tutto in discussione. L’ho pensato anche io. Io ho corso nelle gare in salita, in strada, e negli anni hanno provato a fare qualche passo in avanti per migliorare la sicurezza, ma non può bastare. Figuriamoci per il Tourist Trophy, avrei dovuto gareggiare nel circuito dell’Isola di Man, nel 2004. Ti dà l’idea della mia attitudine. Il TT è un evento unico, il pilota sceglie di andare a correrci e quindi concettualmente sono gare che dovrebbero restare, ma rivedrei le categorie di partecipazione. Le moto hanno fatto troppi passi in avanti, sono potenti, veloci e spesso chi partecipa non è del tutto preparato a quella sfida. Io rivedrei le regole e le categorie d’accesso per evitare che partecipino moto troppo potenti. A volte partecipano gli amatori e questo non va bene. E invece sono decisamente contro le gare su strada come quelle a cui ha partecipato Luca Salvadori. Gare in cui non si parte scaglionati – per avere maggior sicurezza – ma si parte in griglia, tutti insieme e diventa tutto pericolosissimo: strade, muretti, case, cartelli. Non fa altro che moltiplicare i pericoli e i rischi. Non ne vedo la ragione di fare la brutta copia delle gare in pista, ma con un livello di pericolo decisamente più alto.

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