La MotoGP di Dainese: “Valentino Rossi resta un’icona anche da ex. Nessuno oggi ha i suoi numeri”

C’è un nome che da oltre cinquant’anni è sinonimo di innovazione, sicurezza e passione per le due ruote: Dainese. Fondata nel 1972 da Lino Dainese, l’azienda vicentina ha cambiato per sempre il modo di intendere la protezione nel motociclismo, introducendo per prima concetti oggi imprescindibili come il paraschiena, le saponette sulle ginocchia, il sistema airbag per le tute da gara. Oggi, Dainese è presente in ogni categoria del motorsport, dalla MotoGP alle classi minori, e continua a sviluppare tecnologie che salvano vite ad altissima velocità.
A guidare questa missione c’è un team di esperti appassionati, tra cui Ferdinando Cervigni, Chief Marketing Officer in azienda. Lo abbiamo intervistato per capire cosa c'è dietro il mondo Dainese, dalle tute da MotoGP ai progetti futuri, ma sopratutto per sapere qual è il rapporto con i piloti per un'azienda che fa dell'incidente il suo core business.
Se ci guardiamo indietro nel tempo, vediamo una serie di invenzioni che hanno cambiato il mondo della sicurezza? Oggi il livello è altissimo, ma sembra di essere quasi fermi.
Tante delle innovazioni che ci sono oggi in commercio e che Dainese ha lanciato negli sono venute fuori dall'ingegno del suo fondatore Lino Dainese che ancora oggi è un faro per l'azienda. E come hai detto tu oggi il livello raggiunto è altissimo. Noi abbiamo un'ossessione in azienda per fare le cose sempre un po' meglio. È ovvio che non è possibile avere una novità che destabilizza il settore ogni anno, ma quando arriva quell'innovazione che cambia le regole del gioco – e ce ne sono state tante, airbag, paraschiena, stivali, caschi – ed è sempre un salto in avanti importante per tutti.

Qual è l'aspetto più complicato nel trovare qualcosa che possa fare un passo in avanti?
Sicuramente trovare l'equilibrio giusto. Nel senso che potremmo anche metterci un'armatura addosso e non avremmo grossi danni in caso di caduta, ma non guideremmo la moto con comodità e saremmo limitati nella guida. Trovare il giusto compromesso tra i giusti movimenti che si effettuano in moto – e non solo – e la sicurezza che quell'abbigliamento fornisce è la sfida più difficile. È un viaggio quotidiano alla ricerca del miglioramento così da proteggere non solo i piloti professionisti, ma tutti coloro che viaggiano sulle due ruote quotidianamente.
Ho sempre visto il vostro lavoro un po' frustrante – dalle origini – perché è una continua rincorsa a scoprire nuovi possibili limiti, nuovi incidenti, nuovi infortuni, nuove aree prima inesplorate. Oggi siamo riusciti ad anticipare i possibili infortuni o purtroppo siamo costretti a rincorrere?
Tendenzialmente il livello di conoscenza che oggi c'è sull'andare in modo, sulle cadute, sui possibili danni del corpo umano, unità agli strumenti tecnologici come i simulatori e le gallerie del vento, ci permettono di avere un enorme database di cadute. Di tipologie diverse di incidenti e scivolate che ci permette di avere un'idea completa e quindi non siamo più in una rincorsa, ma è evidente che è sempre necessaria l'occhio degli esperti che è una sensibilità che nemmeno l'intelligenza artificiale oggi può avere.
Mi fa sorridere che per voi – ovviamente quando il pilota sta bene – la caduta sia una miniera di dati utili per migliorare il vostro archivio e migliorare i prodotti.
Sì, ed è fondamentale continuare ad avere dati. Siamo maniacali in questo senso. In Dainese c'è un team di lavoro che fa questo mestiere qui. Studia, analizza e cataloga tutte le cadute.
Quante tute vengono fornite a un pilota di MotoGP?
Dipende tanto anche da quando cade. Ogni pilota – in media – possiede cinque tute. Dainese alla fine di ogni gara, attraverso un tecnico che segue il circus della MotoGP, ripristina le tute che si sono rovinate o che hanno usato l'airbag. Se invece non è una cosa che si può sistemare in loco, vengono spedite in azienda, revisionate e ripristinate.
Che tipo di rapporto avete con i piloti?
Molto diretto. In particolare con il reparto racing, c’è uno scambio continuo di feedback: noi portiamo nuove idee, materiali e soluzioni, e loro ci danno indicazioni basate sulla loro esperienza in pista. Lavoriamo con i top rider della MotoGP ma anche con tanti giovani delle categorie inferiori. L’obiettivo è sempre lo stesso: migliorare sicurezza e performance.

Il testimonial più rappresentativo di Dainese rimane Valentino Rossi? O i nuovi piloti hanno iniziato ad essere attenzionati maggiormente?
Valentino ha un seguito mediatico, ancora oggi, impressionante. È l'icona della MotoGP e non è solo un ex pilota, ma è ancora un atleta visto che guida con successo nelle quattro ruote. Ci sono tanti campioni che stanno arrivando, ma nessuno ha quei numeri. Rossi è Dainese. Non è un caso che Dainese abbia voluto omaggiare Valentino per i suoi 46 anni. Quello che Rossi ha dato a questa sport rimarrà nella storia.
L’airbag ha cambiato tutto. Dove siamo arrivati?
Siamo alla terza generazione del nostro D-air, un sistema sempre più veloce, preciso e leggero. Protegge spalle, clavicole, torace e schiena in modo attivo. Ma non ci fermiamo: stiamo ampliando le zone protette, ottimizzando i tempi di attivazione, pensando all’integrazione con altri sistemi. Il bello è che siamo solo all’inizio.
Per tutti coloro che sono motociclisti, ma non piloti, proporre l'airbag è complesso. Devi acquistare qualcosa che speri di. non usare mai, un po' come l'antifurto in casa. Su cosa si deve lavorare per riuscire a veicolare meglio il messaggio?
Sicuramente c'è da lavorare sulla parte "educational". Le aziende di moto, abbigliamento, insieme alle istituzioni, possono fare tantissimo, ma è evidente che poi una grossa fetta spetta a chi guida la moto.

Quando nasce un prodotto nuovo, da dove partite?
Dipende. A volte da un’esigenza specifica del pilota – un guanto più leggero, una tuta più flessibile – altre volte da innovazioni interne che sviluppiamo nei nostri laboratori. E poi ci sono gli incidenti: purtroppo, quando accadono, ci indicano dove possiamo migliorare. E da lì inizia il lavoro.
Negli altri sport avete portato l'esperienza acquisita in pista.
Sì, soprattutto con lo sci che per molti versi è simile. Gli sciatori come i piloti cercano il limite, la velocità e le cadute sono all'ordine del giorno, sia per gli amatori che per i professionisti. La sfida è quella di partire dai professionisti per portare le nuove tecnologie sulle montagne innevate che vengono prese d'assalto dagli appasionati.
E poi, l'ultima frontiera esplorata, è lo spazio.
Sì, siamo andati nello spazio due volte. Prima la NASA e poi la ESA ci hanno cercato per le nostre competenze. Quello che soffrono gli astronauti nello spazio creano perdita di tono muscolare, situazioni ossee complesse e volevano una tuta che potesse lavorare in un modo particolare a gravità zero. Questo ci ha inorgoglito particolarmente e abbiamo accetatto la sfida ovviamente, ma le evoluzioni sono sempre in divenire. La sicurezza sarà sempre più intelligente. Parliamo di sistemi capaci di leggere i dati in tempo reale, adattarsi alla situazione del pilota, magari interfacciarsi con la moto, con lo sci o con la navicella spaziale o con l'ambiente circostante. Ma la tecnologia, per essere davvero efficace, deve essere invisibile. Il pilota deve fidarsi: solo così possiamo proteggere senza interferire con la sua guida e con la sua vita.