Il pilota russo Mazepin si sente un perseguitato politico: “Licenziamento ingiusto”
Licenziato senza motivo. La comunicazione gli è arrivata tramite messaggio. Che non potesse più correre in Formula 1 lo aveva appreso prima dai giornali e non direttamente dalla sua scuderia. Nikita Mazepin, il pilota russo bandito dal Circus e dalla Haas dopo l'invasione in Ucraina del suo Paese, rompe il silenzio e lo fa attaccando a testa bassa il suo Team. Si sentiva pronto, certo che avrebbe affiancato Mick Schumacher nel prossimo Mondiale. Ma nella sua vita – come in quella di molti altri sportivi connazionali – c'è un prima e un dopo che ha cambiato tutto: il conflitto scatenato da Putin ha devastato ogni cosa.
Nel momento più difficile a livello personale per le decisioni della Fia, che ha cassato perfino la possibilità di andare in pista da concorrenti neutrali, attendeva un segnale, un cenno in sua difesa. Non è mai arrivato. E, cosa peggiore, si è sentito scaricato da un momento all'altro. Trattato come polvere da nascondere sotto il tappeto. Elemento scomodo di cui liberarsi appena possibile sotto pressione dei vertici della Federazione internazionale. "Non c'era alcun motivo direttamente riconducibile a me – ha ammesso il pilota russo in video-conferenza – perché la Haas prendesse quella decisione. Non è giusto quello che mi hanno fatto. Né io né mio padre o la sua azienda hanno subito sanzioni".
Cancellata la tappa del Gran Premio Sochi, cassato anche il nome di Mazepin che fino al primo test pre-stagionale di Barcellona si sentiva al sicuro. Pensava di esserlo anche in virtù del rapporto molto stretto di collaborazione e partnership economica tra la sua squadra (di proprietà americana) e lo sponsor Uralkali, un'azienda russa di cui è azionista di maggioranza il padre del pilota, Dmitry Mazepin, considerato molto vicino a Vladimir Putin. La battaglia legale ci sarà, è appena agli inizi: lo ha chiarito l'azienda, che farà ricorso per essere risarcita dopo l'interruzione improvvisa del contratto; lo ha lasciato filtrare lo stesso Mazepin precisando di non avere intenzione "di tornare in un posto dove non mi vogliono".
Il senso delle sue parole può essere riassunto in un un paio di concetti: la politica stia fuori dallo sport; la crisi tra Russia e Ucraina ha radici profonde e non può essere valutata solo con una conoscenza parziale della situazione. "Possibile non ci sia posto per la neutralità nello sport? Un atleta ha diritto ad avere un'opinione e deve essere punito per questo? E vogliamo che lo sport diventi solo un'altra piazza pubblica per le proteste e il dibattito politico? Lo sport non dovrebbe unire le persone anche in momenti difficili e durissimi come quelli che stiamo vivendo?".
La risposta a questi interrogativi è in un gesto concreto, una reazione tangibile all'ostracismo di cui è stato vittima: Mazepin vuole istituire una fondazione che aiuti tutti gli atleti che, come lui, vedono rovinata la carriera da situazioni che nulla c'entrano con lo sport. Situazioni di cui, in molti (dice il russo), hanno una conoscenza parziale: "Comprendo benissimo che il mondo non è quello di due settimane fa. Per me, per tutti, sono sicuro che questo è stato un momento estremamente doloroso. Ma coloro che non vivono in questa parte del mondo, o non sono nati qui, vedranno solo un aspetto della questione. Noi, in Russia o in Ucraina, abbiamo una visione più complessa. Io stesso ho amici e parenti che si sono trovati da entrambe le parti di questo conflitto".