Il medico del 118 che soccorse Senna: “Berger entrò nella stanza, non posso dimenticare la scena”
Gli eroi non muoiono mai, nella vita come nello sport. Ayrton Senna da Silva, il campione timido della Formula 1, è diventato immortale quel tragico 1° maggio 1994, quando perse la vita andandosi a schiantare con la sua Williams alla curva del Tamburello del circuito di Imola.
Il pilota brasiliano tre volte campione del mondo è un idolo non solo del Brasile: Ayrton è eroe trasversale di popoli e generazioni, celebrato in canzoni e film. La testimonianza di Giovanni Gordini, all'epoca responsabile del 118 di Bologna, è preziosa e toccante. Ricordi nitidissimi, istantanee che resteranno impresse per sempre. Gordini al momento dell'incidente si trovava in un'altra parte del circuito, alla partenza, dove si erano scontrati JJ Lehto e Pedro Lamy. Poi la drammatica chiamata, rievocata alla ‘Gazzetta dello Sport'.
"Mi è arrivata la voce via radio con tre chiare parole: ‘Senna, incidente Tamburello'. Ho preso il mio motorino medico e mi sono diretto al Tamburello. Sono arrivato qualche minuto dopo il medico della F1, Sid Watkins. Senna respirava ancora autonomamente ma era entrato in coma: aveva perso molto sangue dalla ferita sopra all'occhio destro, oltre ad avere una frattura alla base del collo per colpa della sospensione che si era staccata dalla sua Williams. Le manovre di rianimazione erano già iniziate, ma lui non dava nessun segnale di vita. Capimmo tutti subito la gravità della situazione e decidemmo di fare scendere l'elicottero in pista per portarlo all'ospedale Maggiore. Fatto quasi unico, in F1 non ricordo dinamiche simili di salvataggio. Il giorno prima Roland Ratzenberger, pilota della Simtek morto durante le qualifiche alla curva Villeneuve, era infatti stato prima portato all’ospedale del circuito".
Ci fu una mobilitazione e uno sforzo collettivo commovente, ma non fu possibile salvare Senna: il suo destino era già irrimediabilmente segnato nel momento dello scontro con quel maledetto muro.
"In pista Senna era stato immobilizzato, lo avevamo intubato facendogli una tracheotomia. Sull'elicottero continuava a respirare ancora con il ventilatore meccanico polmonare. Nel frattempo abbiamo allertato la dottoressa Maria Teresa Fiandri, all'epoca Primaria del reparto di Rianimazione e del 118 del Maggiore, che ha radunato tutta l'equipe medica, della quale facevo parte, per farsi trovare pronti al nostro arrivo. In rianimazione eravamo in 10 ad assisterlo. Dalle prime immagini abbiamo capito quanto la situazione fosse critica, la conferma l’abbiamo avuta poi con l'elettroencefalogramma: era piatto, il suo cervello non rispondeva agli stimoli elettrici. L'emorragia era troppo grande e diffusa per colpa sia della lesione al lobo frontale destro che della frattura alla base del cranio. Ricevendo poco sangue, il cervello di Senna si è spento andando in quello che noi definiamo silenzio elettrico. Posso assicurarlo, le abbiamo provate tutte, ma non c'è stato nulla da fare. Con la morte celebrale di Senna e dopo che il suo cuore ha smesso di battere, ci siamo trovati di fronte a un altro arduo compito: dare l'annuncio della morte ai tantissimi presenti all'ospedale".
Ma non è stato quello l'unico momento emotivamente forte di quel pomeriggio, il dottor Gordini non riesce a togliersi dalla mente una scena.
"L'ingresso in stanza di Berger. Mi fece impressione il fatto che era voluto a tutti i costi entrare per vedere un suo amico che stava morendo. Lui che era già stato ricoverato nella stessa camera nell'aprile 1989. Un gesto raro e pieno di significato. Io riuscii a parlarci poco, era di poche parole, rimase muto e addolorato in disparte. Non aveva voglia di conversare, sapeva già cosa sarebbe successo".
Berger e Senna erano stati compagni alla McLaren dal 1990 al 1992: l'ex ferrarista è stato uno di quelli che maggiormente ha compreso l'anima autentica di Ayrton, diventandone amico vero. Volle dargli l'ultimo saluto, pur sapendo quanto del suo cuore si sarebbe portato via.