Chi è stato Ayrton Senna spiegato a quelli che non l’hanno vissuto: gentile, spietato, idealista
Trent'anni fa a Bologna moriva Ayrton Senna. Trent'anni, una vita fa, ma per chi l'ha vissuto pare ieri. Perché un evento così non si può dimenticare. Il suo mito si è tramandato, ed è diventato sempre più forte. Anche chi non lo ha visto in diretta lo conosce bene, in fondo basta smanettare sul web per scovare dati e statistiche, ma non bastano per capire esattamente chi era Ayrton Senna.
Spiegare Magic apparentemente è semplice, ma non un esercizio così facile come può sembrare. Perché il brasiliano aveva una personalità complessa, e già questa frase dice tutto è niente. Era magnetico, come pochi, ma pure assai divisivo. Plateale, in una sfilza di comportamenti, ma fanciullesco, e assai sincero, dote nella vita di tutti i giorni, ma non in un mondo come il suo, pieno di squali, dentro e fuori la pista, no.
I numeri aiutano, certamente ma non rendono l'idea della sua grandezza. I numeri sono utili, ma freddi, e nel tempo la Formula 1 è cambiata. Comunque tre titoli Mondiali, 65 pole e 41 Gp. Aveva orde di fan in tutto il mondo, e anche di haters, diremmo oggi. Oggi avrebbe tanti odiatori sì, ma altrettante legioni di tifosi, che sul web quanto in pista lo esalterebbero.
Magnetico e divisivo, come pochi, pure perché non tutti riuscivano a leggerlo. Era spiazzante, e quindi unico, e vincendo gare al limite del possibile, era pure un mito. Era buono, ma non era un santo, ha aiutato tanto chi aveva bisogno, non solo con la sua Fondazione, ma in pista era egoista e spietato, lo sa bene Prost, che a Suzuka (nel 1990) non protestò nemmeno tanto, quando venne ‘eliminato', perché in fondo, lui che lo conosceva bene, se l'aspettava una finale così (dopo l'affaire del 1989).
Era contemporaneamente un supereroe, ma anche un villain, diciamo alla Batman – che è un supereroe sì al quale però dà la caccia pure la polizia. La sua è stata una carriera velocissima, che ha avuto il là nel 1984 e che si è chiusa nel 1994. Nel mezzo una sfilza di tappe memorabili, dal primo podio a Monte Carlo, alle sei vittorie nel Principato, dove nel 1988 realizzò una pole position fenomenale, e poi il giorno dopo mentre aveva quasi un giro di vantaggio andò a sbattere al Portier, uscì dalla McLaren e tornò dritto a casa. Oggi non sarebbe possibile.
Quando parlò di quella pole e di quella gara disse: "Ero già in pole position, avevo oltre mezzo secondo di vantaggio, poi un secondo e andavo, andavo, andavo sempre più forte. In poco tempo ero due secondi più veloce di chiunque altro; stavo guidando istintivamente, ero in un’altra dimensione, in un tunnel, ben oltre la mia capacità razionale. In quel giorno mi sono detto: è il massimo che posso raggiungere".
Unico in tutto. Dalla storia d'amore con la donna più bella del mondo, al Simply the Best cantato con la mitica Tina Turner, la sera del 7 novembre 1993, il giorno che sarebbe diventato quello della sua ultima vittoria in Formula 1. Dalla preparazione atletica al look, che oggi è ben visibile nei tanti profili a lui dedicati, con un abbigliamento variegato ma riconoscibile, con la famosa ‘S' rossa sulle maglie, fino all'immancabile cappellino, suo tratto distintivo.
Unico per le sue frasi, con cui oggi avrebbe fatto lo sgambetto a una sfilza di mental coach, era ossessionato dalle vittorie, dal primeggiare e dalla perfezione. ‘Driven to perfection‘, lo spiega bene. Forte era anche la sua religiosità, della quale si è detto tanto, compreso del biglietto trovato dentro la tua che indossava quel 1° maggio 1994, quando finì la sua vita dopo l'incidente al Tamburello, che chiuse il weekend più duro, triste, incredibile e sfortunato dell'intera storia della Formula 1.
Spesso gli è stato affibbiata l'etichetta di mistico. Per tante parole, tanti momenti della sua carriera e per le sue ultime immagini, di Imola. Quando sulla griglia di partenza è pensieroso, scosso, si toglie il casco e si mostra a tutti per l'ultima volta. A rivederle, ogni volta vengono i brividi.
Sono passati trent'anni, ma sembra ieri a chi l'ha vissuto. Quei momenti sono vivi pure per chi non li ha vissuti, per età, perché Ayrton Senna era talmente grande che è riuscito a tramandare sé stesso e il suo mito nel tempo, ed è sempre più forte, più dei titoli Mondiali e delle vittorie.