Alessio ‘Uccio’ Salucci: “A Valentino Rossi ho detto tante volte che sbagliava. Sono stato sminuito”

Alessio "Uccio" Salucci è molto più di un semplice amico di Valentino Rossi. Da oltre 25 anni nel paddock, è stato il confidente, il consigliere e il braccio destro del Dottore durante tutta la sua carriera. Oggi, però, il suo ruolo è cambiato: non più solo il volto sorridente accanto a Vale, ma il pilastro manageriale della VR46, il team che porta avanti il sogno iniziato dall’Academy che è arrivato fino alla MotoGP e oggi rappresenta il primo team satellite per la casa di Borgo Panigale.
Sei nel paddock da una vita. Ti senti più giovane o più vecchio?
Ho perso il conto delle stagioni, saranno 26 o 27. Ormai mi sento un veterano, un anziano della MotoGP. Ma la passione è sempre la stessa. Questo sport è la mia vita. Quando vivi questo sport ogni giorno, quando sei in pista, tra il rumore dei motori e l’adrenalina delle gare, l’età passa in secondo piano. Non potrei mai stare lontano da questo mondo.
Sei passato dall’essere la spalla di Vale a un ruolo sempre più manageriale. Quanto è cambiata la tua vita?
Tantissimo. Il cambiamento è iniziato nel 2013-14, quando abbiamo fondato il team Moto3 e Moto2 con Sky. Lì ho iniziato a fare un po’ meno l’assistente di Vale e un po’ più il manager. Poi, nel 2020, ho detto a Vale: “Abbiamo cresciuto questi ragazzi dall’Academy, non possiamo lasciarli ora. Dobbiamo portarli fino alla MotoGP”. Da lì è nato tutto. Mi ha dato retta, ma non è che diventi team director dall’oggi al domani, c’è stato un percorso lungo, fatto di esperienze, di errori e di tante lezioni imparate. È iniziato dal 2014/2014 quando Carmelo Ezpeleta – capo di Dorna – ci ha fatto sapere che Sky voleva entrare nel Mondiale e siamo entrati noi come team. Ormai sono passati dieci anni. È stata una strada complessa, ma bellissima.

Tra tutti i team manager che hai visto, chi ti ha colpito di più?
Davide Brivio, senza dubbio. È stato un maestro per me. Ho passato tanti anni con lui, l’ho osservato, ho imparato da lui il mestiere. È un grande professionista, ma anche una persona con cui ho sempre avuto un rapporto da fratello maggiore. Da lui ho imparato tanto.
Quando eri accanto a Vale, hai sempre avuto un ruolo fondamentale. Il pubblico te l’ha riconosciuto?
Sinceramente? Più che riconosciuto, forse è stato un po’ sminuito. Ma a me non importava. Il mio obiettivo era uno solo: il bene di Vale. Non ero lì per fare da comparsa o per dirgli sempre di sì. Gli ho detto tante volte quando sbagliava, e non è stato sempre facile. Poi, certo, c’erano anche i compiti più “pratici”: portare i caschi, guidare il motorhome… ma quello che contava era il rapporto tra di noi. Vale mi ha sempre ascoltato e mi ha sopportato. Se non avessi fatto così, dicendo sempre quello che pensavo, mi sarei sentito inutile. Non dimentichiamoci però che la differenza la sempre fatta lui e siamo qui grazie a lui.
Se dovessi scegliere un momento in cui ti sei sentito davvero importante?
Quando mi ha chiamato Valentino dopo la vittoria di Bezzecchi in Argentina nel 2023. Mi ha detto: “Bravo, bravo, bravo! Abbiamo vinto una gara in MotoGP.” Lì ho capito che quello che avevamo costruito, con fatica e impegno, stava portando risultati veri.

L’Academy VR46 ha rivoluzionato il motociclismo italiano. Come gestite l’arrivo di nuovi talenti?
Non è una cosa semplice. È un po’ come uno spogliatoio di calcio: non puoi inserire troppi nuovi giocatori senza destabilizzare l’equilibrio della squadra. Per un periodo ci siamo fermati, per far crescere al meglio quelli che già avevamo. Morbidelli e Bagnaia sono diventati campioni del mondo. Abbiamo portato Marini e Bezzecchi in MotoGP e Vietti si vuole giocare il titolo in Moto2. Ora, però, ripartiremo con nuove leve, come Gabarrini. Ma è un processo delicato, perché vogliamo fare le cose seriamente. Ci siamo fermati un attimo per dare il giusto peso ai piloti che stavano crescendo, ma continueremo a trovare talenti. Anche se l'uomo dell'Academy da qualche anno è Carlo Casabianca non più io.
Il 2025 è un anno importante per VR46 che sarà il primo team satellite. Cosa ti aspetti?
Siamo arrivati fino a questo punto dopo un grande percorso. Mi aspetto serenità e risultati. Morbidelli ha un pacchetto tecnico che conosce, mi aspetto che sia veloce da subito. Trovare un gran gruppo, qualcuno già lo conosce e secondo me potrà migliorare tanto. Diggia – Fabio Di Giannantonio – avrà una moto Factory, quindi avrà bisogno di un po’ di adattamento, perché la Ducati ufficiale è diversa. Ma noi siamo qui per crescere, non per vincere a tutti i costi, ma per fare bei risultati. Mi aspetto qualche podio e magari qualche vittoria.

Meglio cinque podi o una vittoria al Mugello?
Per il mio cuore, una vittoria al Mugello. Per il team, cinque podi! Ma sai cosa? Alla fine, una vittoria al Mugello sarebbe indimenticabile per tutti noi.
Con l’uscita di Pramac, VR46 è il team satellite più importante. Cosa cambia?
Cambia tutto. Essere il team di riferimento per Ducati significa crescere in ogni aspetto. Lavorare a stretto contatto con Dall’Igna è un’esperienza incredibile. Mi piace da matti. È un tipo tosto, è un grande onore. Noi siamo sempre stati un gruppo unito e affiatato, ora possiamo migliorare ancora di più. Il mio obiettivo era legarmi a una casa e dare continuità. Per nostra fortuna è capitato con ducati che in questo momento è la miglior moto del mondo. Siamo ambiziosi e vogliamo continuare a crescere. A me questa cosa piace molto. Questa esperienza è un bagaglio che ci porteremo per sempre.
E lavorare con due romani come Morbidelli e Diggia?
Ah, è una figata! Nel box ormai ci manca solo la maglia di Totti. Francesco, se ci leggi, vieni a trovarci!