Vincenzo Nibali vince il Giro d’Italia. E ora pensi al Tour de France
Era il 2001 quando incontrai per la prima volta Vincenzo Nibali sulla strada, come avversario, in una gara di un paesino in provincia di Rieti chiamato Rocca Sinibalda: avevamo 16 anni. Vincenzo indossava una divisa gialla e blu, io una bianconera: attendevamo insieme la partenza sotto un sole africano, tra i curiosi che scrutavano le nostre gambe di giovani corridori, le bici tirate a lucido e gli sguardi dietro gli occhiali da sole. A un certo punto – lo ricordo come fosse ora – un signore si avvicina: ha in mano la lista dei partenti. Guarda il numero sulla mia schiena: "Tu sei Falcioni…", mi dice. Poi guarda il ragazzo a fianco a me: "E tu sei Nibali, quello arrivato dalla Sicilia". Vincenzo annuì, timidamente, e si rimise tranquillo ad attendere il via. Io quel Nibali lo conoscevo già di fama: aveva vinto delle belle gare in Toscana, patria del ciclismo, e decisi di attaccarmi alla sua ruota e seguirlo come un'ombra. Quando lui scattò, per poco non sputai via il cuore per stargli dietro, ma ce la feci (non so bene come). Sull'ultima salita rimanemmo in 4: due tizi di cui non ricordo i nomi, Nibali e io. Vincenzo fece secondo, io ruppi la mia bici sul più bello, ma quel giorno – e per tutti gli anni a venire – nacque un filo tra me e lui, un collegamento: prima come avversari in gara (ma lui molto più forte di me). Poi, tra atleta professionista e giornalista con il "privilegio di seguirlo spesso, andandolo a trovare sovente nella sua casa di Mastromarco, o raccontando la sua prima vittoria in una gara a tappe, in Argentina, nel 2010.
Oggi Vincenzo vince il Giro d'Italia. Lo fa col piglio del campione, dominando la corsa su tutti i terreni e annientando gli avversari, tra i quali due vincitori di Tour De Frande (Evans e Wiggins). Il siciliano ha dimostrato una sicurezza incredibile, vincendo due tappe di alta montagna in maglia rosa, ma dando comunque l'impressione di non aver mai fatto "fuori giri" esagerati. Per questo, sarebbe un peccato se non disputasse anche il Tour de France (dal 29 giugno al 21 luglio). Se dedicherà le prossime settimane al recupero, potrebbe stupire gli appassionati italiani e regalarci un duello magnifico con Contador e Froome su Alpi e Pirenei. Come 15 anni fa, quando Pantani schiantò Ullrich, Nibali potrebbe schiacciare i rivali in Francia e entrare nella storia dello sport mondiale con un'impresa riuscita finora solo a poche leggende del ciclismo: l'accoppiata Giro-Tour nello stesso anno. Roba da Merckx, Pantani, Coppi, Inault, Indurain…
Ma che Giro d'Italia è stato? Il più freddo degli ultimi anni, con pioggia quasi quotidiana e neve in alta montagna. Una tappa è stata annullata a causa del maltempo. Ciò non toglie, comunque, che sia stata una corsa entusiasmante. Di Nibali abbiamo parlato, ma il romanzo del Giro ci racconta anche di un Cavendish esplosivo nelle volate, di un Visconti "risorto" sul Galibier, di un Wiggins letteralmente schiacciato dalla superiorità di Nibali (e infine costretto al ritiro) e di un Evans esemplare e tosto come un vecchio montanaro. Certo, non si può dimenticare Di Luca: un uomo che ora pagherà caro, perché sono stati i suoi stessi (ormai ex) colleghi a denunciarlo per il danno d'immagine causato a uno sport che comunque, a scanso di equivoci, non dà scampo ai furbi, a dimostrazione che i controlli ci sono, funzionano e puliscono l'ambiente delle poche mele marce. Si può dire lo stesso degli altri sport?
Ps: la tappa di oggi, con la passerella trionfale di Brescia, è stata vinta da Mark Cavendish allo sprint.