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Mauro Vegni difende il Giro: “Il gap col Tour è solo mediatico, le migliori salite le abbiamo noi”

Mauro Vegni, direttore corse RCS, traccia per Fanpage.it un bilancio sull’ultimo Giro d’Italia e del Next Gen. Dalla tragica scomparsa di Mader, alle riflessioni sulla sicurezza in un ciclismo “dove troppi giovani arrivano senza adeguata preparazione”, si è parlato anche del presente e del futuro del ciclismo italiano.
A cura di Alessio Pediglieri
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Quarant'anni nel ciclismo, da oltre dieci alla direzione del Giro d'Italia e delle corse organizzate da RCS, tra cui il Lombardia, la Tirreno-Adriatico, il Gen Next: Mauro Vegni ha spiegato a Fanpage.it quanto è realmente successo nell'ultima edizione in rosa, intrisa di polemiche per le numerose cadute, ritiri clamorosi per Covid e la tappa regina semi neutralizzata. "Abbiamo subìto la situazione solo per voler rispettare le regole". Tante parole al vento, spesso senza sapere la verità: "Chi dice che abbiamo calato i pantaloni dovrebbe venire con me e vedere cosa accade nel ciclismo moderno, dove le pressioni mediatiche e gli interessi economici sono sempre più alti".

Uno sguardo amaro per un professionismo sempre più in difficoltà davanti a tragedie inevitabili come quella di Mäder che ha tirato il ballo il tema sicurezza: "Troppo spesso vedo giovani in elite e non in grado di governare la bicicletta". Fino all'applauso per il ciclismo italiano cui manca un campionissimo ("ma oggi è quasi impossibile trovarlo") fino all'elogio del Giro: "Il Tour sarà sempre il Tour, ma le più belle tappe le abbiamo solo noi".

Il direttore del Giro, Mauro Vegni a colloquio con Urbano Cairo, presidente RCS
Il direttore del Giro, Mauro Vegni a colloquio con Urbano Cairo, presidente RCS

Iniziamo da un capitolo che non avremmo mai voluto affrontare: la tragica morte di Gino Mäder.
La prima impressione è stata ovviamente quella di puro sgomento perché non si può morire a 26 anni. Poi chiaramente è giusto fare riflessioni su come sia accaduto: purtroppo questo è il ciclismo di oggi, troppa velocità troppa tecnologia, in qualche modo diventa sempre più difficile gestire le situazioni. Io ci sono capitato in mezzo in un'altra situazione simile in un Giro di più di dieci anni fa [nel 2011 il belga Wouter Weylandt, 26 anni, morì nella discesa verso Rapallo ndr] e anche lì sembrava irrazionale l'accaduto.

Che idea si è fatto?
E' chiaro che qualcosa deve fare riflettere, qualcuno incomincia a dire che era una discesa troppo veloce ma come tutte le altre c'era da sempre. Probabilmente sono i mezzi che si usano oggi che spingono a velocità sempre più alte, ma d'altronde sarebbe come dire che in Formula 1 o in MotoGp non si devono trovare innovazioni per migliorare i tempi, sempre più veloci nei circuiti per migliorare le performance, sarebbe un controsenso.

Così il tema della sicurezza è tornato sulla bocca di tutti
Sul tema della sicurezza se ne parla tanto, giustamente, ma a volte se ne parla troppo e a sproposito. Ciò che io ho constatato di persona è che in gruppo sempre più spesso ci sono troppi ragazzi giovani che non sono abituati a stare nel plotone. Ci vuole più educazione all'approccio verso il professionismo e a mio modo di vedere oggi, più di qualche corridore arriva troppo presto alle corse d'elite senza avere il totale controllo della bicicletta. Si dovrebbe ripartire da lì, perché se parliamo di sicurezza allora è sicurezza anche quella.

E perché accade ciò, con le conseguenze davanti agli occhi di tutti?
Oggi c'è una maggiore pressione mediatica, il mondo della bici sviluppa diversi miliardi di economia, veicolando la bicicletta come un vero e proprio prodotto. Oggi, anche i compensi di diversi corridori iniziano ad essere compensi importanti e arrivano le pressioni delle squadre che devono rientrare dagli investimenti, gli sponsor che spingono. Poi le scelte tecnologiche sempre più estreme, con performance sempre migliori.

E gli organizzatori non hanno responsabilità?
C'è un teatro di lavoro che diventa sempre più esigente, difficile e complesso di organizzazione che deve tenere conto di mille situazioni, dai tracciati al tenere sempre alta l'attenzione generale dei corridori, ad altri soggetti che tentato di evadere dalle problematiche che si creano e riversare responsabilità solo su noi. Bisognerebbe che anche i corridori venissero qualche volta dalla nostra parte per capire cosa c'è dietro, il nostro lavoro che verte spesso per metterli in sicurezza. Un lavoro che non viene colto e che si fa fatica a far capire e poi la gestione si complica.

La tappa delle polemiche, la n.13 che ha visto neutralizzare tutta la prima parte per maltempo
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Come è avvenuto nella tappa del Giro del Gran San Bernardo?
Ho letto che ci siamo calati i pantaloni davanti ai ciclisti, niente di più sbagliato e scorretto. Noi come organizzazione e Giro siamo sottoposti alle regole diramate dall'UCI e a livello di UCI esiste una commissione che interviene quando le situazioni climatiche e meteo diventano proibitive o vengono considerate tali [il Protocollo Weather Extreme ndr]. Bene, quel giorno è stato chiesto l'intervento della commissione che è intervenuta a maggioranza. E la maggioranza ha deliberato di trovare un compromesso sul neutralizzare la tappa o farla per intero: si è tolta quella che per me era la parte meno difficile, comunque è stato votato così. Noi come organizzazione volevamo farla ma davanti all'alternativa scelta in modo democratico non ho potuto fare altro che accettare.

Non potevate imporvi?
No perché non si possono scavalcare le regole. Chi ci ha criticato lo ha fatto per sentito dire, li volevo tutti lì presenti in quel momento. Ci sono delle regole anche nello sport e si devono rispettare. Sarebbe nato uno scontro ancor più grande con l'UCI per violare le regole internazionali che anche il Giro segue da sempre.

Quindi avete dovuto chinare la testa…
Vuol sapere se ho subito quella situazione? Sì, l'ho subita e l'ho dovuta accettare ma non ci siamo calati i pantaloni: abbiamo discusso, mediato e ottenuto l'unico risultato, non marginale, possibile. Siamo riusciti a evitare la neutralizzazione completa della tappa. Le persone devono sapere realmente come sono andate le cose.

E a chi ha criticato sulla carta la cronoscalata del Lussari, cosa risponde?
Se il ciclismo deve appiattirsi su tutto e vivere sempre sulle cose già fatte, fatelo voi. Permettetemi: io mi ritiro e lascio il mio posto ad altri, io non ho più voglia di farlo. Ciò che deve restare è poi anche ciò che all'inizio viene criticato, che ha il sapore di estremo e di strano. La scalata sul Lussari era sinceramente una cronoscalata atipica e difficile ma credo che siamo riusciti a dare una immagine del ciclismo che, se non epica, di certo è stata importantissima. L'obiettivo è ridare fascino sempre nuovo al ciclismo.

Primoz Roglic sul Monte Lussari: la cronoscalata consegnerà la maglia rosa allo sloveno dopo una prova epica
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Fascino che il Giro paga verso il Tour, da sempre. Perché?
La differenza è soprattutto e quasi esclusivamente mediatica perché a livello sportivo io non mi sento assolutamente inferiore al Tour. Il gap è nella visibilità e dobbiamo trovare ancora il modo di ricucirlo perché il Tour è il Tour e non ha eguali nell'immaginario collettivo degli appassionati. Eppure, le tappe del Giro sono belle quanto quelle in Francia, anzi le dirò di più: alcune sono anche più belle. E non perché noi siamo più bravi o cosa, si tratta semplicemente di questioni di conformazione del territorio: le salite che abbiamo qui, loro non le avranno mai.

Il ciclismo italiano come sta?
Il ciclismo italiano è vivo, anche al Giro si è visto. Lo stesso Zana è un ragazzo che si è messo in gioco, dimostrando di essere arrivato a grandi livelli per gradi, entrando in elite con un passaggio preciso e necessario. Ci sono giovani promettenti ma è vero anche che è sempre più difficile oggi trovare un ciclista bravo per le gare a tappe mentre resta più semplice trovare chi fa bene nelle corse di un giorno.

Il campione italiano Filippo Zana protagonista al Giro e fresco vincitore in Slovenia.
Il campione italiano Filippo Zana protagonista al Giro e fresco vincitore in Slovenia.

Quanto manca al nostro ciclismo una stella di livello internazionale?
Manca, manca tantissimo ma anche perché il ciclismo di oggi è cambiato completamente. Una volta c'era un gruppo di 300/350 professionisti che correvano l'80% di tutte le gare del calendario internazionale. Oggi ci sono ciclisti che corrono una/due corse di preparazione e poi fanno le grandi sfide. Però sempre più spesso chi fa il Tour non fa il Giro e viceversa, ad anni alternati e anche in questa maniera le persone non riescono più a identificarsi con il grande campione che era sempre presente. Si fatica a capire chi sia il cosiddetto più forte, ed è anche questo aspetto che manca al ciclismo attuale.

L'ultimo pensiero al Next Gen appena concluso, che bilancio si è fatto?
Un'edizione positiva, soddisfacente grazie alle squadre che ci hanno dato fiducia in un progetto che dovrà crescere ed evolversi perché sono solo 8 tappe e bisogna fare delle scelte organizzative. Si cerca di evitare i grandi trasferimenti, per aiutare gli atleti per poter recuperare e permettere loro di essere sempre performanti. E' stata una edizione ben riuscita, a parte quell'episodio di quei 30 bischeri che l'hanno combinata grossa.

Il triste spettacolo al Next Gen: sono stati squalificati 30 giovanissimi
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E a quei 30 ciclisti che l'hanno combinata grossa cosa vuol dire?
Lo dico chiaramente: sono 30 bischeri e non voglio che per le puttanate di quei trenta si vada a inquinare ciò che hanno fatto 140 altri ciclisti, sudando ogni giorno, faticando con le proprie forze. Ecco, quelli sono stati puniti ed espulsi, basta così, anche nei commenti: lo scoop di chi sbaglia è giusto metterlo in evidenza, poi però c'è tutta la parte sana del ciclismo che ha diritto di essere raccontata.

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