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Mattia Gaffuri sui rulli del ciclismo virtuale sfida i professionisti: “Pedalo contro i pregiudizi”

Mattia Gaffuri affronterà la finale del contest della Zwift Academy dopo una selezione tra oltre 100mila ciclisti da tutto il mondo. A Fanpage ha raccontato la sua storia sui rulli, grazie ai quali avrà seconda possibilità: “A chi ci guarda con diffidenza dico solo che il tempo ci darà ragione”.
A cura di Alessio Pediglieri
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Dopo tanta attesa, ci siamo: la finale della Zwift Academy è alle porte e prenderà il via il prossimo 20 febbraio. Sono tre i selezionati da un gruppo iniziale di oltre 100 mila iscritti da ogni parte del mondo e come accade nell’edizione 2023 (quando vinse Luca Vergallito oggi già vincitore anche tra i professionisti) un altro giovane azzurro è arrivato al momento più importante, Mattia Gaffuri.

Insieme all’italiano classe '99, ci saranno due tedeschi, il coetaneo Anton Schiffer e il giovanissimo Louis Kitzki, di soli 20 anni. Fanpage.it ha raccolto le parole di Mattia, a pochi giorni dall'evento conclusivo che potrebbe ricambiargli per la seconda volta la vita sportiva: "La via è comunque tracciata – assicura lui a Fanpage.it – che vinca o no resterò nel ciclismo, mi dedicherò ancora 3-4 anni a provare ad alti livelli poi vedrò quale ruolo ricoprire".

Una vita sportiva che lo aveva prima avvicinato e poi allontanato dalla bicicletta, per poi ritornarci e ottenere grazie ai "rulli" una nuova vita agonistica: "Molti ci guardano con diffidenza ma è un'opportunità importante. Capisco che sia una novità e come tutte le novità spaventi, anche all'interno della vecchia guardia", spiega Mattia che recentemente si è confrontato in modo acceso anche con un mostro sacro del ciclismo italiano e internazionale, lo Squalo Vincenzo Nibali: "Ma è stata creata una polemica dal nulla, ci siamo chiariti e mi dissocio dai commenti strumentali successivi".

Chi è Mattia Gaffuri, prossimo finalista al contest della Zwift Academy?
Sono un ragazzo di Erba, in provincia di Como, classe '99, che ama il ciclismo da quando aveva 4 anni e che sta vivendo una seconda possibilità nel ciclismo agonistico.

A soli 24 anni una seconda possibilità? Com'è possibile?
Mi sono avvicinato al ciclismo tardi, nel 2020 perché prima facevo atletica correndo le lunghe distanze. Da piccolo ero indirizzato verso quello sport perché comportava rischi minori rispetto al ciclismo. Ma dopo un po', ho iniziato ad avere alcuni infortuni e ho visto che non era l'atletica la strada giusta per procedere nel professionismo e così mi sono avvicinato al ciclismo. Purtroppo un po' tardi: ho iniziato a disputare diverse gare, alcune non sono andate nemmeno malissimo, ma la sensazione che ho avuto è stata quella che non vedevo grandi possibilità di passare tra i professionisti.

E a quel punto che cosa è successo?
Visto che comunque avevo iniziato anche l'università nella facoltà di scienze motorie e avevo già in ballo anche un'idea di pensare ad un futuro come preparatore, ho deciso di lasciare il ciclismo agonistico. Però, nel frattempo ho continuato ad allenarmi, per semplice passione, e ad un certo punto ho notato una cosa: continuavo a migliorare nonostante non facessi più gare e disputassi solo qualche competizione amatoriale.

Ma come ti spieghi questa tua "seconda vita" ciclistica?
Probabilmente c'è un elemento anche fisiologico: avendo iniziato tardi, la mia maturità fisica si è sviluppata al meglio un po' più tardi rispetto ai livelli standard. Poi due anni fa mi sono imbattuto spesso in Luca (Vergallito, ndr), ci siamo conosciuti, siamo diventati amici e abbiamo parlato molto, condividendo ancor oggi diversi punti di vista. Poi l'anno scorso ha provato lui per primo la Zwift Academy ed è andata benissimo: sapendo altrettanto bene le caratteristiche e i valori che devi avere per approcciarti in modo importante, ho deciso così di provare anch'io.

In questo continuo sali e scendi dalla bici, quanto è stata importante la tua famiglia?
I miei genitori? Non erano molto contenti del ciclismo perché è considerato uno sport molto più pericoloso rispetto all'atletica e obiettivamente non avevano né hanno tutti i torti. Però nel momento in cui mi hanno visto determinato e hanno capito che avrei fatto questa scelta mi hanno appoggiato e messo in condizione di poterla effettuare nel migliore dei modi. E tutto ciò non è scontato: è giusto lasciare la libertà di decidere ai ragazzi.

Un po' in parallelo con quanto raccontato da Sinner: anche lui ha iniziato in altri sport, anche lui ha ringraziato i suoi genitori nel momento più importante della sua giovane carriera…
Sì, vero perché la carriera sportiva condiziona la tua vita al cento per cento e i sacrifici sono tanti anche per la famiglia. Penso il fatto di accompagnarti da piccolo alle gare, seguirti agli allenamenti, l'investimento oltre che di tempo anche economico, con le attrezzature. Penso al ciclismo, in particolare tra gli sport dove l'investimento non è minimale, anzi tra materiali, bicicletta, spostamenti, sono tanti i sacrifici. E' una scelta di vita ben precisa oltre che per un ragazzo anche per i suoi genitori e io in questo mi posso reputare fortunato,  ho avuto appoggio e sostegno.

Ma com'è possibile che nessuno si era accorto delle tue reali potenzialità?
Tutto è causa del ciclismo moderno, votato ai risultati. L'attuale processo di recruitment è sempre più legato ai risultati piuttosto che all'analisi e alla crescita della persona e del suo talento. Un team piccolo può rimanere nella propria posizione e gareggiare solamente se riesce ad ottenere dei dati positivi e ha l'obbligo di avere atleti che producano subito dei risultati. Nella maggioranza dei casi non c'è spazio per attendere qualche talento, purtroppo: è il sistema punti vigente che impera, anche squadre importanti per non retrocedere, a volte ingaggiano atleti che hanno buoni risultati al di là del talento, solamente per avere punti.

Quindi i "rulli" diventano una opportunità contro il sistema?
Sì, è cosi: i rulli sono una possibilità ulteriore, perché si basano su parametri oggettivi, standardizzati a livello internazionale. Se hai dei buoni dati, li hai. Poi certo, sarà la strada a dire se hai davvero i numeri. Ma sono elementi concreti da cui poter partire. E' come se la nazionale italiana selezionasse per una maratona i possibili concorrenti sul tappeto: in base ai dati che ottengono può selezionare i migliori. Non vedo alcun errore.

Eppure non manca la diffidenza nel vedervi pedalare davanti a un monitor.
Sì, la sensazione è che vi sia attorno a questo aspetto, pedaliamo anche un po' contro la diffidenza. C'è, ma bisogna spiegare anche cosa significhi partecipare a dei contest come questo della Zwift Academy perché non è un semplice pedalare sui rulli. Ci si allena anche per strada, anzi: io personalmente mi alleno la maggior parte in bici, i rulli li uso solo in alcuni sporadici momenti. Il contest è utile per scovare dei buoni valori tra i migliaia di partecipanti e questo è legittimo e anche corretto.

Diffidenza percepita anche tra gli stessi ciclisti professionisti?
Come in tutti gli sport e le discipline c'è sempre un po' di titubanza di fronte alle novità. Oggi anche nel ciclismo credo ci sia un 50 e 50 tra i corridori: c'è chi è ancora incerto nel considerare questa come una vera opportunità. Per diversi di loro non è un buon modo per passare professionista. C'è anche da dire però che di anno in anno molti si stanno ricredendo e ammettono la validità di questo metodo. Sarà una questione di tempo, poi ci si abituerà e si capirà che è un'occasione ulteriore.

E a chi contesta che non è come andare in strada, cosa rispondi?
Sono d'accordo con chi dice che pedalare sui rulli è completamente diverso che pedalare su strada, anche perché poi in strada bisogna saper dimostrare di essere in grado di guidare una bici, di saper stare in gruppo, di affrontare situazioni esterne. Personalmente so di dover migliorare e ovviamente dimostrarlo, ma il precedente di Luca è evidente: è stato il miglior italiano nell'ultimo Down Under in Australia a inizio stagione e arriva dall'esperienza della Zwift.

Fra qualche anno, dunque, si vedranno nel ciclismo sempre più professionisti "virtuali"?
Non lo so, ma di certo non si cambiano gli equilibri di questo sport. Lo si farebbe se si selezionassero 500 professionisti all'anno con questa metodologia, perché vorrebbe dire cambiare il ciclismo nel suo essere. Però trovare una persona, in tutto il mondo, dopo una selezione dura e performante che si ritrova con questa possibilità, ritengo che non sposti alcun equilibrio, anzi. Questa cosa non fa male a nessuno.

Una realtà che solo qualche anno fa era assolutamente impensabile
Ma al di là di questi contest è lo stesso ciclismo ad essersi evoluto.

In che senso?
Il ciclismo di anni fa era completamente un altro sport: oggi è cambiato tutto con la tecnologia, il livello è salito al massimo, è molto più performante. Forse una volta era più imprevedibile e anche più vivibile per i professionisti, più umano. Ora che tutti sono parametrati è sempre più difficile fare la differenza. E anche altri aspetti contano molto di più di prima.

Quali?
Profondi sviluppi che riguardano elementi fuori dalla corsa, come la nutrizione. Non è che prima non fosse curata ma ci sono studi più recenti che hanno notato ulteriore attenzione nell'assunzione di prodotti specifici in momenti particolari. Ciò che 10 anni fa sarebbe stato impossibile oggi è un po' la norma, così come l'aerodinamica che ha spinto ad alzare la velocità, così come il materiale delle bici. Tutto è spinto al massimo e le differenze sono sempre minori.

Però chi è campione, lo è sempre: tra quelli di oggi chi ti esalta di più?
Nel ciclismo moderno ha fatto cose strabilianti Van der Poel insieme a Van Aert: due mostri sacri che riescono a fare differenza in qualsiasi disciplina. Così come mi piace molto Pidcock. Sul fronte grandi giri invece non ho dubbi: Pogacar è il più completo di tutti, il migliore al mondo.

Tornando alla tua realtà, ti giocherai una finale. E poi Mattia Gaffuri cosa farà da grande?
Mi ritengo soddisfatto essere arrivato fin qui, dopo una selezione di oltre 100 mila persone. Accedere alla finale è già un enorme risultato. Siamo rimasti in tre, io l'unico italiano e due tedeschi: la prova sarà su strada al momento non sappiamo nulla ma ci saranno prove e test che ci metteranno a confronto gli uni con gli altri. Poi quel che accadrà accadrà.

Per te sarà fondamentale vincere?
Che vinca o che perda la mia via è tracciata perché proverò ancora una volta ad allenarmi ad alti livelli. Già due-tre anni fa sembrava che per me non ci fosse futuro e invece eccomi qua, non si sa mai nella vita. Mi si è riaperto un mondo che mai mi sarei immaginato potesse esserci e nulla sarebbe accaduto se non mi fossi allenato. La via è questa, poi non so con che ruolo e in che contesto ma lavorerò sempre e solo in questo ambito.

E a Nibali cosa ti resta da dire dopo il confronto sul contest Zwift che dà la possibilità di entrare tra i professionisti?
Ci siamo chiariti, non c'è assolutamente nulla nei suoi confronti, anzi. E' stato un campione assoluto in strada, ha fatto cose straordinarie al di sopra dell'asticella del ciclismo italiano: lui resterà sempre un campionissimo, non lo si può mettere in nessun modo in discussione, perché sul profilo professionale è stato un fenomeno assoluto. E' nata una polemica su una cosa da nulla. Io all'inizio ci sono rimasto un po' male, sinceramente, quando ne hanno parlato alla SqualoTV perché mi è sembrato che accettassero con riserva questa nuova realtà. Poi una volta che Vincenzo mi ha spiegato che non voleva criticare nessuno e nulla, per me non ci sono stati più problemi. Per me i rulli restano un'opportunità importante. E da chi ha voluto strumentalizzare il nostro confronto, mi sono subito dissociato.

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