L’allucinante viaggio nel doping del ciclismo moderno: il “metodo Armstrong” esiste ancora
Lance Armstrong è probabilmente uno dei nomi tra gli sportivi, più conosciuto al mondo. Di certo è uno degli sportivi più chiacchierati e discussi per il suo passato sconvolgente nel ciclismo, in mano al doping negli anni '90 e i primi 2000. Il nome del texano è tornato alla ribalta recentemente dopo che fonti vicine alla WADA hanno rivelato la costante presenza di infrazioni anche nel ciclismo moderno, nell'era del protocollo ADAMS e dei più rigidi e rigorosi controlli. Tutto per una serie di falle e zone d'ombra nel sistema che non sono mai state risolte.
Il texano dagli occhi di ghiaccio, Lance Armstrong ha potuto utilizzare sostanze illecite per anni, in modo scientifico e costante: un "metodo" che l'ex campione della US Postal ha più volte dichiarato, delineato e descritto nei minimi particolari e avvallato da altre testimonianze, non ultima quella di Jan Ullrich, il fenomeno tedesco che ha confessato l'uso massiccio di doping. Tutto era stato possibile attraverso una gestione precisa che si basava su basi consolidate: connivenza, corruzione, conoscenza capillare dei regolamenti e dei sistemi di controllo e, soprattutto, delle loro falle.
Tutto ciò, anche se ridotto ai minimi termini rispetto agli anni più bui del ciclismo professionistico, esiste e resiste ancora ed è emerso in una inchiesta portata alla luce da Marca, in cui si elencano tutte le zone d'ombra dei sistemi di controllo incrociati tra UCI e WADA, necessari ma non sufficienti a debellare la piaga del doping. A partire dal sofisticato ingranaggio dell'ADAMS, l'applicazione obbligatoria che ogni corridore deve utilizzare per farsi rintracciare ed eventualmente analizzare.
Proprio l'ADAMS, raccontano fonti vicine all'antidoping spagnolo, ha una falla enorme, legata agli obblighi di privacy: non può essere utilizzato tra le 23:00 e le 06:00 tranne se non per interventi d'emergenza, dietro autorizzazione UCI o per chiari sospetti di violazione delle norme. Tutto ciò significa che grazie ai progressi della scienza, chi si vuole dopare può farlo quasi con la sicurezza al 100% di essere impunito: le tracce dell'EPO e i suoi derivati, infatti, svaniscono dal corpo tra le 7 e le 8 ore, mentre gli effetti dopanti restano. "Hanno studi in cui sanno quanto dura la sostanza nel loro corpo e ciò significa che, ad esempio, i medici possono prescrivere una sostanza alle 23:01 in modo che, alle 6:00 del mattino, non ci sia più una traccia nel corpo".
Oltre a questa lacuna gravissima, le rivelazioni portate a Marca evidenziano anche un altro pilastro su cui si appoggia da sempre il doping: la connivenza e la corruzione. La storia ha insegnato che dietro ogni grande scandalo sul doping c'è sempre qualcuno che ha agevolato e permesso tutto ciò, all'interno del sistema. Oggi, nel ciclismo moderno, malgrado i "controlli anche mezz'ora prima di una gara", tutto ciò esiste ancora. "Ciò avviene, secondo gli addetti ai lavori, in primo luogo a causa della mancanza di capacità tecnica" fanno sapere fonti anonime a Marca "e, in secondo luogo, a causa della corruzione che in alcuni casi esiste".
E qui si entra in un'altra, forse ancor più grande zona d'ombra: i laboratori d'analisi. Da laboratorio a laboratorio, infatti, può cambiare anche l'esito di un test antidoping, in base alla capacità, alla struttura, alle tempistiche, senza dimenticare che vi è sempre la presunzione di innocenza perché non esiste un test con esito certo al 100%. "In Spagna, ad esempio" raccontano ancora a Marca, "si possono fare gli esami del sangue solo fino a giovedì a mezzogiorno, perché altrimenti i risultati arriverebbero solo martedì" e invece l'esito deve arrivare al massimo entro 48 ore.
Un vuoto enorme, preoccupante, che si aggiunge anche all'assenza sistemica di laboratori d'analisi certificati UCI: "In Sud America esiste un solo laboratorio situato a Rio de Janeiro , quindi è impossibile che un'analisi ben fatta arrivi entro il termine di 48 ore se viene inviata. da altri paesi come Colombia, Argentina o Ecuador. La stessa cosa accade in Africa, dove in Sud Africa ce n'è solo uno approvato dall'Agenzia mondiale antidoping". Problemi endemici che permettono a chi voglia frodare le regole di farlo quasi con la consapevolezza di essere impunito, senza dimenticare "un'altra via di fuga per gli imbroglioni" conclude la "talpa" a Marca: "Si tratte delle TUE, le esenzioni per uso terapeutico. I corridori possono richiedere l'uso terapeutico di diverse sostanze considerate illecite e anche l'ADAMS accetta eventuali procedure d'urgenza".
Il "metodo Armstrong", dunque, esiste ancora oggi e imperversa anche nel ciclismo moderno sfruttando tutte le pieghe di un sistema tutt'altro che perfetto.