L’agghiacciante docufilm su Jan Ullrich: “Non solo doping. Cocaina continua, whisky come acqua”
Ha vinto un Tour de France e una Vuelta di Spagna, oltre ad aver dominato a cronometro, essersi preso un Oro olimpico e ben tre titoli mondiali. E' Jan Ullrich, non a caso soprannominato il "Kaiser", fenomenale atleta tedesco che monopolizzò la scena del ciclismo internazionale a cavallo tra gli anni 90 e il primo decennio del 2000. In una delle epoche più torride e torbide di tutto il movimento che in quel periodo viveva una realtà totalmente estranea a quasi ogni tipo di controllo e disciplina. A distanza di anni, l'ex campione è tornato a raccontare quel buio quasi totale, in un docufilm le cui anticipazioni spalancano ancor più le porte sul baratro, generale e personale.
Non è un caso se gli anni di prepotenza ciclistica di Ullrich coincidano praticamente con quelli di Armstrong. Anni in cui il tedesco e l'americano si alternavano nelle vittorie, soprattutto sulle Grandi corse a tappe, prediligendo prevalentemente il palcoscenico più importante, quello del Tour de France dove monopolizzarono la scena. Perché i migliori, i più forti, si riteneva a quel tempo così. Oggi semplicemente perché utilizzavano in modo indiscriminato e scientifico sostanze dopanti per le quali ad Armstong sono stati tolti sei anni di attività (con conseguente revoca di ogni vittoria). A dirlo gli stessi protagonisti di quelle torbide vicende su cui i dubbi e le insinuazioni hanno lasciato spazio a confessioni e prove schiaccianti.
Un'epoca che il ciclismo moderno sta cercando in tutti modi di cancellare, gettandosi alle spalle un passato inqualificabile la cui ombra, purtroppo, torna oramai ciclicamente malgrado si siano davvero fatti passi da gigante in direzione della lotta al doping. Un'epoca, però, che ha il dovere di essere ricordata, come monito a futura memoria e il nuovo docufilm su Ullrich riapre il pozzo degli incubi direttamente dalle parole e testimonianze del campione tedesco: "In quel periodo, ogni giorno era una questione di vita o di morte" ha ribadito alla presentazione del documentario che verrà trasmesso da Amazon Prime a novembre. "Io personalmente non stavo per nulla bene. Si faceva uso di molta cocaina, bevevo whisky come se fosse acqua, fino a quando sono stato vicino alla morte".
Sarebbe sbagliato dire che non ho ingannato nessuno ma oggi ho fatto pace con il mio passato. Gli spettatori, i tifosi, le persone comuni che vedranno il documentario potranno mettersi un po' nei miei panni e pensando a questo oggi mi sento più leggero
Ullrich non ha avuto alcun timore di confermare ancora una volta il baratro che ha lambito ma ha anche spiegato, oramai alla soglia dei 50 anni, quanto abbia imparato dai propri terribili errori. "La cosa più importante per me oggi, è aver capito di non voler più cercare di provare i miei limiti e andare oltre, mai più. Al contrario il mio obiettivo ora è trovare il giusto equilibrio. Non ho più bisogno di altro".
Tanti gli errori, per una carriera oscurata e cancellata dal doping, come quando venne escluso dalla Grande Boucle nel 2006 alla vigilia della partenza per poi essere condannato per abuso di sostanze illecite un anno dopo dal Tribunale Arbitrale dello Sport (CAS). Da quel giorno tutti i suoi risultati ottenuti dopo il maggio 2005 vennero spazzati via per poi ammettere le proprie colpe solamente anni e anni più tardi, ben dopo la conclusione della carriera ciclistica, quando nel 2013 ammise gran parte delle accuse, infamanti ma vere, come ha ribadito nella presentazione del docufilm nella conferenza stampa di Monaco: "A vent’anni di distanza non ho più alcun timore nel riconoscere tutti gli errori che ho commesso". Perché non accadano mai più.