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La grande bugia di Armstrong sul doping: “I miei cocktail a base di Epo, trasfusioni e testosterone”

L’ex campione di ciclismo, squalificato a vita nel 2012, ha raccontato come è riuscito per anni a eludere i controlli risultando perfettamente pulito alle analisi. “Vi spiego perché ho effettuato ben 500 test antidoping e non ne ho mai fallito uno”
A cura di Maurizio De Santis
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Lance Armstrong è stato squalificato a vita nel 2012 per doping. La sua carriera da leggendaria, per essere tornato a vincere anche dopo la guarigione da un tumore, è diventata la più grande bugia nella storia del ciclismo. Era considerato un mito, si è scoperto che era solo un grande imbroglione per aver fatto uso di trattamenti proibiti e pratiche mediche fuorilegge. L'Usada (United States Anti-Doping Agency) cancellò dalla sua bacheca tutti i trofei conquistati dal 1998 al 2012, anno in cui venne tutto alla luce e fu fermato.

"Ho trascorso la maggior parte della mia vita provando a riconquistare la fiducia delle persone", gli basta questa frase pronunciata nel podcast Club Random per introdurre l'argomento sul quale è molto ferrato. Il texano che ha vinto per ben sette volte il Tour de France adesso è l'emblema di tutto quanto c'è (ancora) di sbagliato nel mondo delle competizioni.

Il più classico cattivo maestro che, pentito, ti mette a sedere, ti guarda dritto negli occhi e ti spiega come lui stesso, la persona che hai di fronte, è tutto quel che non si deve fare per cimentarsi in maniera pulita, sul serio, con sacrificio e gareggiando senza barare. Senza più mescere cocktail a base di "Epo, trasfusioni di sangue e testosterone".

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La domanda che gli viene posta è una sola: come ha fatto a eludere tutti i controlli per così tanto tempo? Possibile che nessuno né alcun test sia riuscito a rilevare tracce dei suoi trucchi? E se lui è riuscito ad aggirare i regolamenti in maniera così sfacciata e disarmante al tempo stesso, quanti altri lo hanno fatto (e forse lo fanno ancora) con impudenza?

La risposta è scioccante. Se ha potuto iniettare dosi di sostanze dopanti, se è riuscito a svicolare tra le maglie del protocollo è per un motivo banale in apparenza e un piano ben orchestrato: i prodotti di cui faceva utilizzo venivano smaltiti dal suo fisico un lasso di tempo molto breve, abbastanza da permettergli di farla franca e ingannare il sistema.

"Ho effettuato ben 500 test antidoping e non ne ho mai fallito uno – ha ammesso -. Questa è la verità. I miei campioni di pipì alla fine risultavano puliti. Perché? Alcune di queste sostanze, in particolare l'Epo, erano rilevabile per un periodo al massimo di 4 ore. Sono espulse dal corpo molto più velocemente rispetto ad altre sostanze come la cannabis che durano più a lungo".

La pratica dell'Epo (un ormone glicoproteico che regola la produzione di globuli rossi, l'ossigenazione muscolare e agevola la resistenza) ha rappresentato il punto più alto in termini di doping negli Anni Novanta, almeno fino a quando al Tour del 2001 nel laboratorio di Chatenay-Malabry si è riusciti ad adottare un criterio di analisi più accurato.

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