Il dolore della famiglia di Rebellin: “Il camion non s’è fermato, come ha fatto a non vederlo?”
La scena che il fratello, Carlo, ha avuto davanti agli occhi era agghiacciante, un colpo al cuore. La bicicletta di Davide Rebellin, travolto e ucciso da un camion, era accartocciata, ridotta a rottame dopo essere stata trascinata dal veicolo che l'aveva speronata. L'ex campione di ciclismo è morto sul colpo (come accertato dal personale medico del 118 accorso sul posto) mentre il mezzo che lo ha investito s'è allontanato dal luogo dell'incidente avvenuto lungo la strada Regionale 11 a Montebello Vicentino, nei pressi del bar ristorante La Padana.
L'autista non si è fermato: non è chiaro se sia reso conto dell'impatto e sia fuggito oppure abbia agito in buona fede, del tutto ignaro di cosa era successo. Un aspetto, quest'ultimo, sul quale indagano i Carabinieri sia per risalire all'identità del conducente attraverso l'identificazione della targa e del modello di camion sia definire l'esatta dinamica del sinistro.
"In paese circolavano strane voci su incidente…", inizia così il racconto drammatico del fratello dell'ex ciclista che, straziato dal dolore, parla di quella fatale coincidenza del destino ("mi aveva chiesto di accompagnarlo ma avevo rinunciato per un imprevisto"), della telefonata ricevuta dal cugino che lo aveva allarmato e delle immagini raccapriccianti a cui ha assistito.
Secondo una prima ricostruzione dei fatti l'autotreno avrebbe colpito Rebellin mentre effettuava la manovra per percorrere la rotatoria dello svincolo e arrivare al parcheggio. L'ex corridore 51enne stava rientrando a casa a Lonigo dopo la consueta sessione di allenamento in sella alle due ruote che rappresentavano la passione di una vita.
"Ho provato a telefonare a Davide ma lui non rispondeva – ha spiegato nell'intervista al Corriere della Sera -. Ho chiamato i Carabinieri e poi ho raggiunto il luogo dell'incidente. Il suo corpo era ancora a terra, coperto. Non me lo facevano vedere. Ma ho riconosciuto la sua bici". Ed è stato tremendo.
Carlo stenta a credere che da parte del fratello ci sia stata una disattenzione. "Mio fratello è cresciuto in queste zone, qui si è allenato per anni… conosceva queste strade come le sue tasche. Mi aveva detto che avrebbe fatto le solite tre, quattro ore di pedalate e poi sarebbe tornato a casa".
Cosa sia accaduto non riesce a spiegarselo, gli torna in mente la salma del fratello, stesa sulla carreggiata, la bici deformata e sente un vuoto profondo dentro di sé. "Davide stava pedalando intorno alla rotonda, sul lato della strada. Per com’erano ridotti il corpo e la bici trascinata per decine di metri, proprio non riesco a capire come il conducente del camion non si sia accorto di averlo investito". Le telecamere potrebbero aver registrato gli istanti di quella tragedia, è dolore su dolore, precipita piano senza far rumore.