Elia Viviani è mostruoso, fa 2 gare in meno di 5 ore e vince l’oro agli Europei di ciclismo su pista
La forza di Elia Viviani. Volontà di ferro, muscoli d'acciaio, lezione di tattica e di agonismo, tecnica sovrumana. Agli Europei di ciclismo l'azzurro tocca il punto più basso e al tempo stesso più alto della sua giornata di gare. Se ne infischia della fatica, delle energie che ha già speso arrivando settimo nella prova in linea dopo aver percorso 209 km lungo le strade di Monaco di Baviera, del parere del ct che solleva il sopracciglio ed esprime perplessità. Ma non gli dice di no.
Nel dialogo avuto con l'allenatore e i compagni di squadra la vice è ferma, lo sguardo è quello che in gergo viene definito ‘gli occhi della tigre'. Viviani non ha alcuna intenzione di farsi indietro. Fa una doccia, si riposa un po', va sul lettino del massaggiatore e lascia che gli rigeneri il tono delle gambe che gli serviranno cinque ore più tardi per compiere un'impresa pazzesca. Si rimette in sesto e poi si reca al velodromo per presentarsi alla partenza della gara di eliminazione su pista.
Scatta e concede uno spettacolo entusiasmante, travolgente, con l'adrenalina scandita dal ritmo della pedalata del campione veneto. L'Italia, che finora senza i suoi big (Filippo Ganna e Jonathan Milan) aveva faticato a emergere scontando anche la brutta caduta di Letizia Paternoster, è esplosa grazie alla performance di Viviani che sui pedali si è presentato con addosso i galloni di campione del mondo in carica.
È un fulmine? No, è Elia. E domina dall'inizio alla fine, piazzandosi lì davanti, sfiancando gli avversari, costringendoli a viaggiare a un ritmo che – uno alla volta- li vedrà cedere alle spalle dell'italiano che veste i panni dell'uomo solo al comando. Aveva addosso la maglia iridata vinta lo scorso anno a Roubaix e ha strappato anche il titolo continentale nella specialità.
L'ottavo trionfo europeo della carriera (ma in differenti specialità) oltre all'affermazione su strada del 2019. Campione olimpico a Rio 2016, terzo a Tokyo 2020 fanno parte del corredo accessorio di talento e fatica. Semplicemente mostruoso. E pensare che quest'anno aveva alzato le braccia e i pugni al cielo soltanto su una gara su strada: la prima tappa del Tour de la Provence (a febbraio).
Il momento clou è stato quando ha vibrato il colpo di grazia al tedesco Theo Reinhardt che lo ha tallonato e ha provato a tenergli testa così come il belga Jules Hesters. L'accelerazione all'ultimo giro ha chiuso i conti, calato il sipario, tolto ogni speranza a chi era dietro/affianco/gomito a gomito, gli ha infilato al collo la medaglia d'oro (settima medaglia dopo tre argenti e altrettanti bronzi).
Viviani superstar ma per il ciclismo azzurro la giornata di gare ha riservato anche un'altra bella soddisfazione. L'ha regalata Silvia Zanardi che ha stretto a sé un argento nella corsa a punti alle spalle della devastante Lotte Kopecky (oro), il bronzo è andato alla francese Victoire Berteau.