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Elia Viviani a Fanpage.it: “Ho iniziato a correre grazie a Pantani, sogno l’oro a Parigi 2024”

Elia Viviani ai microfoni di Fanpage.it ha parlato della sua carriera e delle Olimpiadi 2024 di Parigi, dell’evoluzione del ciclismo negli ultimi dieci anni e dello sportivo che lo ha ispirato di più: Marco Pantani.
A cura di Vito Lamorte
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Elia Viviani è bravissimo a stupire tutti. E lo fa ogni volta di più, spingendo il limite delle sue imprese ogni volta più in avanti. Il ciclista classe 1989 dell'Ineos ha una carriera a dir poco straordinaria, sia come velocista che come pistard, ma non ha nessuna intenzione di fermarsi e punta il suo obiettivo principale: i Giochi Olimpici di Parigi del 2024.

Lo scorso autunno Elia ha conquistato il suo secondo oro in un Mondiale poche settimane dopo essersi laureato Campione d’Europa nell’Eliminazione su pista e vuole continuare su questa scia di risultati per poter strappare quanto prima la qualifica olimpica e correre senza troppe pressioni per il resto dell'anno.

Dopo la medaglia d'oro nell'omnium ai Giochi olimpici di Rio de Janeiro 2016 e la medaglia di bronzo nella stessa specialità ai Giochi del 2020, Elia Viviani vorrebbe provare a vincere ancora: "L’Olimpiade di Tokyo mi ha fatto capire quanto i Giochi siano importanti per me. L’obiettivo è quello di arrivare a Parigi per vincerne una medaglia in quartetto, nella Madison o Omnium. Magari potrebbero essere più di una, chi lo sa".

Ai microfoni di Fanpage.it Viviani ha parlato della sua carriera e delle Olimpiadi 2024 di Parigi, del rapporto automobilisti-ciclisti in relazione alla morte di Davide Rebellin e dei suoi sogni per il prossimo futuro.

Lei ha iniziato a correre tra i pro nel 2010: come si fa a rimanere ad alti livelli per tanti anni in uno sport come il ciclismo? 

"L'importante è rimanere al passo con i tempi perché negli ultimi anni sono cambiate moltissime cose. Il ciclismo prima veniva preso con molta più calma, soprattutto nelle prime corse dell'anno, mentre ora devi arrivare al primo appuntamento già pronto. Si è alzato tanto il livello ed è sempre più specifico perché sono arrivati ruoli come quello del preparatore o studi che si basano sul cuore, sui watt oppure sull’analisi dei percorsi. Negli ultimi anni è sempre più spettacolare e nessuna gara ha una logica: si può attaccare subito o alla fine, non fa differenza. C’è grande attenzione ai minimi particolari e ci sono dei ragazzi che hanno qualcosa in più e dominano il ciclismo moderno. Non ci sono individualità come prima ma una decina di atleti che dominano il panorama internazionale".

Si è spesso soffermato sulle difficoltà per un corridore dividersi tra strada e pista nel ciclismo moderno: cosa si potrebbe fare per migliorare questa situazione? 

"Io penso che deve esserci un aiuto che arriva dai piani alti. È possibile fare più attività e sono convinto che sia un valore aggiunto ma gli incastri di calendario degli ultimi anni sono ridicoli. Ad esempio, i Mondiali insieme a pista, Mountain Bike e strada di agosto ti portano a scegliere una cosa o l’altra. L’aiuto dovrebbe arrivare dagli incastri di calendario e lo stesso vale per le coppe del mondo su pista per quanto mi riguarda: la prima coppa del mondo è nella stessa settimana di UAE Tour e la seconda è in quella di Tirreno-Sanremo e questo non aiuta. Per aiutare gli atleti bisognerebbe lavorare meglio sui calendari per permette a tutti di scegliere cosa fare".

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La vedremo al Giro d’Italia? 

"No, la squadra sarà incentrata su Geraint Thomas che proverà a vincere il Giro e non ci sarò. Un buon inizio di stagione può aprirmi qualche porta per il Tour ma si vedrà più avanti".

In che modo state lavorando per la qualifica olimpica? 

"La prossima qualificazione è facilitata perché il quartetto qualifica tutte le specialità, quindi non serve essere competitivi tutte le volte ma il quartetto da uno spot sia per l’Omnium che la Madison. Il nostro obiettivo è quello di archiviarla subito per andare verso il prossimo inverno tranquilli e non arrivare con la pressione all’ultimo anno. Importantissimo sarà il lavoro dei ragazzi giovani come Scartezzini, Lamon, Piano, Bertazzo e Moro più quelli di esperienza che anche hanno più libertà durante i calendari stagionali e loro avranno un ruolo importante per la qualificazione".

Dopo Rio e Tokyo, cosa vorrebbe dire una medaglia a Parigi per Elia Viviani?

"L’Olimpiade di Tokyo mi ha fatto capire quanto i Giochi siano importanti per me. Probabilmente il fatto di essere stato portabandiera ha influito ma tutto l’insieme mi ha portato a comprendere cosa significano per me i cinque cerchi. Il pensiero da quel momento è sempre fisso sul fatto che vorrei vincere un oro olimpico perché le altre medaglie sono importanti ma l’oro è qualcosa di speciale. L’obiettivo è quello di arrivare a Parigi per vincerne una medaglia in quartetto, oppure nella Madison o nell'Omnium. Magari potrebbe essere più di una, chi lo sa. Significherebbe fare 12 anni ad altissimi livelli e se vogliamo aggiungere Londra sono 16, perché lì mancai la medaglia per l’ultima prova. Sarebbero quattro Olimpiadi veramente ad altissimo livello”.

Due volte campione del mondo nella corsa a eliminazione: quali sono le componenti più importanti di questa specialità?

"È una gara di resistenza in pista, che dura all'incirca 15 minuti. Caratteristiche alla mano bisogna essere esplosivi per prendere la posizione giusta all’inizio, c’è una prima fase di scaltrezza, furbizia e dove c’è da stare attenti nel dispendio di energie. Poi diventa un lavoro intermittente negli ultimi 20 giri con 10 atleti. Il mio allenamento è basato su tante accelerazioni con poco recupero per farmi trovare pronto. Penso che la fase finale sia la più difficile perché c’è tattica, posizione ma c’è bisogno anche di gamba".

Lei è stato protagonista di grandi vittorie in questi anni ma spesso non hanno avuto la risonanza dovuta: crede che ci sia un trattamento diverso in base agli sport o è solo una questione di pubblico? 

"Io non posso lamentarmi per come sono stato trattato perché ho sempre avuto quello che meritavo. Anche a me sarebbe piaciuta la prima de La Gazzetta dello Sport quando ho visto l’oro olimpico e non dividerla con un nuovo calciatore che arrivava in Italia. Ci sono delle imprese che hanno una rilevanza e queste vanno premiate. Capisco benissimo quanto sia grande l’interesse per altri sport più famosi e che fanno vendere di più, rispetto il lavoro di tutti, ma l’impresa va premiata. Mi aspetto che l’evento storico venga premiato. Il record dell’ora di Ganna, il Tour vinto da Nibali, le ragazze che hanno vinto l’oro mondiale: ci sono degli eventi che dovrebbero essere catalogati in un certo modo e su questo si potrebbe migliorare".

C’è una corsa su strada che le piace più di altre o che sogna di vincere? 

"Sicuramente la Milano-Sanremo. Ci ho provato tante volte ma non ci sono andato nemmeno vicino. Il miglior risultato è stato il nono posto ma credo che in una giornata di grazia si potrebbe anche vincere. Per gli sprinter è sempre difficile ma dico questa perché è l’unica a cui possiamo ambire".

Ci sono dei ciclisti a cui lei si è ispirato? 

"Sicuramente ho iniziato a correre in bici grazie a Marco Pantani. Io ho cominciato nel ’98, l’anno in cui vinceva il Giro e il Tour: sono quelle imprese che ti attaccano alla tv e ti condizionano per sempre. Poi, manco a farlo apposta, nella squadra in cui ho cominciato avevo la bici come quella di Pantani. Se devo dire un nome dico lui. Poi quando ho capito che le salite non facevano per me ed ero più un velocista ho iniziato a guardare ciclisti come Cipollini, Petacchi, Tom Boonen. Loro mi hanno ispirato per la maggiore".

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Il 2023 inizia subito con tante prove importanti dopo i due titoli negli ultimi mesi del 2022: si riparte da lì per il nuovo anno? 

"Sì, anche perché ho chiuso la stagione vincendo una tappa anche in Croazia. Ripartire da dove ho chiuso su strada e pista sarebbe la migliore delle ipotesi. Speriamo".

La morte di Rebellin è solo l’ultima di una lunga serie di tristissime vicende legate a questo sport: l’Italia è un paese con una lunga tradizione ciclistica ma dopo queste tragedie il rapporto sembra sempre più difficile. 

"Finché non si prendono delle decisioni dall’alto sarà sempre così, purtroppo. Possiamo usare il fanalino, essere più visibili, ma contro una macchina o un camion perdiamo sempre. Dovrebbero esserci delle leggi e delle strutture che aiutino i ciclisti. Quei 70 cm, quel un metro, a lato strada aiuterebbe tutti a stare nella loro parte e aiuterebbe il ciclista ad avere ragione. È una questione di infrastrutture, che andrebbero previste con questa fascia laterale, e di quella famosa legge del metro e mezzo per cui tutti stiamo lottando nel sorpasso. Ma poi deve essere fatta rispettare. È un processo culturale. Probabilmente solo quando si metterà fuori la paletta perché qualcuno ha sorpassato un ciclista troppo vicino allora cambierà qualcosa. Ad oggi le persone scappano dalle strade e vanno negli sterrarti, sui percorsi ciclocross e in pista. E li capisco".

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