Dal tappone alpino alla semitappa da cicloturisti, l’autogol del Giro: “Ci siamo fidati delle app”
La 13a tappa del Giro d'Italia doveva essere il classico "tappone alpino", quello delle prime montagne, tanto attese per oltre una settimana, che avrebbero dovuto ridare onore, dignità e senso ad una corsa dilaniata da tantissime polemiche, ritiri clamorosi, un'epidemia interna di Covid e una infinita sequenza di cadute. Invece, nella giornata di venerdì 19 maggio è andata in scena una delle peggiori pagine del ciclismo italiano e non solo: dei 199 chilometri di percorso ne sono rimasti 70, con una finta partenza e il viaggio in pullman, per superare il tratto impraticabile per intemperie, freddo, ghiaccio e neve a salvaguardia dei ciclisti. Peccato che non c'era nulla di tutto ciò.
Per capire l'autogol del Giro d'Italia 2023 e del ciclismo in generale basti riavvolgere il nastro alle concitate ore del mattino di venerdì quando prima serpeggia la voce di un possibile ribaltone del percorso della Borgofranco d'Ivrea-Crans Montana, già deturpata della sua Cima Coppi per un'incomprensibile disguido con la Svizzera che mai aveva concesso il passaggio sul Gran San Bernardo. Bene, a pochissime ore dalla partenza, la notizia: i corridori non vogliono correre la tappa, condizioni meteo inaccettabili.
Un fulmine a ciel sereno, lo stesso che alla fine troveranno lungo il percorso i corridori, cui seguono febbrili trattative e voci che si rincorrono, fino alla comunicazione ufficiale: si è deciso di evitare il Gran San Bernardo, impraticabile e ripartire dal Croix de Coeur. In pratica il tappone da 199 km si trasforma in una semitappa pomeridiana cicloturistica da 70km, alla faccia delle centinaia di persone dislocate lungo il percorso aostano e sul tracciato, raggiunto giorni prima per tifare i corridori e vivere le emozioni del Giro. Che ne esce malissimo da tutto ciò perché nel corso della giornata, tra contraddizioni e piccole bugie, resta solo un'unica certezza: la decisione si rivela un enorme autogol, che mette in ridicolo tutti, sindacati, organizzazione e soprattutto i corridori.
Sul percorso non c'è traccia di condizioni proibitive, sia mentre i corridori passano in pullman sulle strade cancellate della tappa sia quando ripartono, sedere in sella, sull'inedita salita del Croix de Coeur: qualche goccia di pioggia, temperature attorno ai 4/5 gradi, strade leggermente bagnate. Delle intemperie che avevano chiamato a gran voce l'applicazione del protocollo e spinto a chiedere il taglio della tappa, nulla. Con ulteriori polemiche che erano già nate in seno al gruppo – spaccato – e che all'arrivo non sono finite, anzi.
Alla fine non si è capito nulla di quanto sia accaduto se non che ci sia stato un compromesso in cui i corridori sono stati, ancora una volta, vittima sacrificale da buttare in mano all'opinione pubblica. Si parlava di un 80% che si era rifiutato di andare sul Croix de Coeur ma poi quella salita è stata fatta, cancellando il Gran San Bernardo per un accordo tra l'organizzazione e le associazioni e sindacati.
Il Giro non voleva perdere la salita più spettacolare e così si è arrivati al papocchio, la cui giustificazione è stata peggiore dell'intero spettacolo andato in diretta mondiale: "Ci siamo fidati delle app meteo", dirà Cristian Salvato, presidente dell’Accpi, l'associazione dei ciclisti italiani che ha partecipato alle riunioni della mattina. "Non solo le applicazioni che avete voi nei telefonini, sono molto più sofisticate, attendibili. Ci scusiamo con i tifosi… c'è stata una mediazione in base alle previsioni, poi alla fine effettivamente il mal tempo non c'è stato, ma sappiamo quanto le condizioni cambino in fretta in montagna". E nel ciclismo, a seconda degli interessi.