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Cosa fa oggi Vincenzo Nibali, l’ultimo Squalo del ciclismo italiano: “Vi racconto il mio segreto”

Vincenzo Nibali, lo Squalo di Messina, ha rivissuto i suoi 18 anni di straordinari successi a Fanpage tra Tour, Giro, Vuelta, le Classiche Monumento. L’ultimo a far innamorare l’Italia di un ciclismo fatto di talento e passione: “Cercavo sempre la prestazione, ora sto davvero metabolizzando i miei successi. Ma non dite che ho fatto la storia, quella l’hanno fatta Pantani, Bartali, Gimondi”
A cura di Alessio Pediglieri
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Diciotto stagioni da professionista, uno dei sette ciclisti unici al mondo ad aver vinto tutti e tre i grandi Giri (la Corsa Rosa per ben 2 volte) uno dei quattro ad aver unito alle grandi corse a tappe almeno due Classiche Monumento (il Lombardia in due occasioni) oltre a vestire in due occasioni la maglia di campione nazionale e in altrettante festeggiare alla Tirreno-Adriatico. Sono questi (solo) alcuni numeri di Vincenzo Nibali, uno dei più grandi e forti ciclisti sul panorama internazionale che a inizio del Terzo Millennio ha fatto innamorare di nuovo l'Italia della bici.

Lo Squalo da Messina, uno scalatore d'altri tempi, un guastatore di tappe che si è imposto in ogni situazione. Gregario, leader, campione, Nibali nella sua carriera è riuscito ad imporsi in tutte le gare in cui decideva di lasciare il proprio segno: "Ma non dite che ho fatto la storia" si schermisce dietro alla proverbiale modestia che lo contraddistingue da sempre. "Sono solo un semplice tassello della storia e dopo di me ne verranno altri". Fatto sta che ai microfoni di Fanpage.it, Vincenzo Nibali si è raccontato rivivendo i più bei (tanti) momenti di una carriera a tratti irripetibile, tra aneddoti e ricordi unici: "Come quando Pellizotti mi regalò la vittoria al traguardo, un gesto bellissimo. Ma il giorno dopo dimostrai di saper vincere da solo ugualmente".

Un epoca in cui tutta Italia pedalava con lui, costellata da enormi successi che nascondevano anche un piccolo grande "segreto", per cui solo oggi riesce a comprenderne e ad assaporarne il gusto: "Ora che mi manca l'adrenalina, il senso del  traguardo… in corsa ero concentrato al prossimo obiettivo, non mi godevo fino in fondo il successo. Ma forse proprio questo è stato il segreto per aver fatto quello che ho fatto".

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Come trascorre le proprie giornate Vincenzo Nibali lontano dalle gare?
Esco in bici appena posso, perché no? Mi piace sempre pedalare, la fatica, sia in strada o in mountain bike, appena posso. Poi però ci sono anche settimane in cui anche volendo, non ho il tempo per pedalare tra i tanti impegni che mi richiamano, da quello di ambassador, al presenziare ad eventi legati sempre al ciclismo, senza dimenticare qualche evento sui pedali come qualche granfondo dove c'è tanto richiamo, come consulente senza dimenticare la famiglia. Diciamo che a volte ci vorrebbe un doppione per fare tutto…

Ti sei ritirato nel 2022, a 37 anni e dopo 18 stagioni da professionista. Qualche rammarico?
Nessun rimpianto o rammarico, o dico col cuore e tranquillità. l'unica cosa che avevo e che era più semplice era la programmazione della giornata visto che era cadenzata dagli impegni: mi allenavo e correvo, punto. Poi recuperavo a casa ma non dovevo pensare ad altro. Ora, invece, i pensieri giustamente essendo in proprio ci sono anche su come riorganizzarsi e tenere il passo degli impegni in calendario. Molte volte ci sono sovrapposizioni e alcuni eventi arrivano nello stesso momento ed è difficile gestirle.

Da bambino, quando hai capito che la bici sarebbe stata il tuo futuro?
Prima di tutto parto dalla base che ho sempre fatto ciò che mi è sempre piaciuto. mi piace la bici, il mezzo meccanico, usarla cambiarla, testare. E poi il senso del sacrificio e della fatica. Come ero ragazzino, è stato un avvicinamento a tappe con il raggiungimento della vittoria del giro. È stata una cosa graduale e così anche i risultati sportivi sono cresciuti in modo graduale. Vincevo tra i giovani ma poi anche nei professionisti: ecco forse non mi rendevo conto di ciò che stavo davvero facendo perché mi sembrava maturale il gesto atletico. Non capivo che cosa avevo costruito.

Una passione che è un affare di famiglia, anche tuo fratello Antonio correva
Ha corso anche mio fratello Antonio ma il suo percorso e il suo avvicinamento lo ha fatto gradualmente senza alcun mio aiuto, al contrario di come spesso si è raccontato o detto. Mio fratello era ben formato, quando tirava faceva la differenza, selezione. Antonio che era capace di restare nel finale e faceva il lavoro sporco in modo più che bene. Ma ha anche sofferto un cognome pesante come il mio e da lui si aspettavano di tutto e di più. E anch'io, spesso, l'ho vissuto questo peso perché l'ho sentito su di me: come se ciò che vincevo a volte non bastasse mai. Mi si chiedeva sempre di più, ed è stato a volte anche abbastanza pesante, difficile da digerire.

Come vivevi i tuoi tantissimi successi?
Sostanzialmente sto metabolizzando solo adesso che cosa ho compiuto. Ora che mi manca l'adrenalina, il senso del  traguardo: ora capisco il vero significato e il senso del vivere il momento giusto in gara dove scattare e fare la differenza, sentire la strada… oggi mi manca. Allora non metabolizzavo la vittoria, non ne assaporavo il piacere e non mi godevo fino in fondo ciò che avevo fatto. Ero concentrato solo sull'obiettivo, considerandolo ciò che era, un mezzo.

Eppure di trionfi ne hai vissuti in 18 anni…
Non davo eccessivo valore alle vittorie, ma forse è stata proprio questa la mia forza perché non mi sono mai accontentato, mi sono sempre posto un altro obiettivo successivo. Io mi ponevo uno scopo, principalmente decidere di vincere determinate gare e facevo tutto per farlo, per arrivare alla perfezione in quel momento. poi capitava la stagione in cui si vinceva dall'inizio alla fine, ciò che io considero l'anno perfetto che ti capita però solamente una o due volte nella vita…

Modestia a parte, lo Squalo ha imperversato più di un paio di stagioni: tra il 2010 e il 2014 vincendo tutto
Sì, è vero i numeri sono quelli però sono stato altalenante, non ero continuo. Anche quando facevo ritiri in altura – e ne facevo molti – soffrivo e non riuscivo mai ad esprimermi subito, avevo bisogno di una o due gare, preparandomi a fondo facendo un gran lavoro per poi puntare a vincere la gara che mi ero davvero prefissato in testa.

Quanti sacrifici ci sono per diventare un ciclista?
Sono sacrifici immensi e più avanti si va è anche peggio perché oggi tutto costa molto di più. Prendi una bici, ai miei tempi te la cavavi con 5-6 mila euro, oggi si arriva serenamente ai 15 mila. Sono soldi che si devono spendere, sia da parte del gruppo sportivo sia della famiglia e se si tratta di bambini tutto si complica. Ci sono le trasferte, si lavora tantissimo sulla multi-specialità perché oggi ai bambini fanno fare di tutto. Il campione può arrivare da qualsiasi sport e quindi si integrano le specialità per acquisire gli skill che poi rimangono da grandi. E questo significa che servono a volte anche 3 bici diverse, più le spese per le trasferte, i mezzi meccanici, il materiale, l'allenatore, il nutrizionista… spese enormi che arrivano ben prima del possibile professionismo.

E i sacrifici dietro alle gesta dello Squalo?
Anch'io ho fatto enormi sacrifici per fare ciò che mi piaceva. Mi sono spostato da una terra molto lontana, la mia Sicilia, e ho vissuto e sono cresciuto in Toscana: mi spostavo con il treno, ancora quando non c'era internet e le distanze erano davvero molto maggiori. Mi sono distaccato dalla mia famiglia che è rimasta in Sicilia: in Toscana ho vissuto la mia palestra di sport e di vita: non ho fatto il militare ma è stato quello il mio militare, perché è lì che ho imparato a fare tutto, da solo.

Da solo ma sempre in squadra. Ti è mai accaduto di vivere una situazione come quella di Tonelli e Tarozzi, compagni insieme al traguardo?
A volte accade ed è particolare. A me capitò al GP Industria e Artigianato quando ero ancora giovanissimo. Ero in squadra con Pellizotti: sul finale della corsa lui scollina con i 10 secondi davanti a me. Io dietro provo a chiamarlo per radio ma non mi sente, poi si gira, mi vede e mi ha aspettato. Quando siamo arrivati al traguardo mi ha concesso la vittoria, dicendomi: ‘vinci davanti al tuo pubblico questa è una corsa di casa tua'. Fu un gesto bellissimo e fu uno dei motivi per cui rimasi legatissimo a Pellizotti. Però il fatto più divertente è che il giorno dopo c'era il Giro di Toscana e lì vinsi di nuovo. Quindi fu una vittoria ‘regalata' ma ci fu la dimostrazione proprio il giorno successivo che ero davvero capace di vincere nuovamente e quello fu per me davvero importantissimo

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Come ci si sente ad aver fatto la storia del ciclismo?
Io la storia? Non ho fatto la storia, no. La storia è lunga e tanta, con campioni veri. Non è un caso se fino a ieri si è parlato di altri, che hanno davvero marcato un'epoca di cui non è possibile non parlarne e non rappresentarla. Come ad esempio Marco Pantani, ma non solo. C'è anche l'epoca che ha dato il via al ciclismo attuale, quella marcata da Fausto Coppi e da Gino Bartali prima, passando per i campioni stranieri e per ritornare da noi con Saronni, Moser, Gimondi. La storicità del ciclismo non si ferma solo a me, io sono semplicemente un tassello, dopo di me ce ne saranno sicuramente altri.

Però i numeri però dicono che lo Squalo ha vinto almeno una volta tutti i grandi Giri e al mondo siete solo in 7…
Si è tutto vero, ma non resteremo in 7 ancora a lungo. Chiaramente in un futuro a livello internazionale su questo podio si potranno fra poco aggiungere anche altri campioni moderni. Penso ad esempio a Tadej Pogacar o un altro corridore come Roglic che ha già vinto la Vuelta e il Giro e proverà il Tour quest'anno. Anche loro possono fare come me ed entrare nel lotto ristretto di questi campioni.

Hai ricordato Marco Pantani, tu sei stato l'ultimo italiano (16 anni dopo) a vincere Giro e Tour come lui. Un ricordo?
Io Marco lo vedevo da bambino, lo seguivo in tv e facevo il tifo per lui. Avrei voluto vederlo un po' più da vicino, ma non riuscii ad incontrarlo come avrei voluto anche quando arrivò una tappa del Giro d'Italia vicino a casa mia. Ci provai, volevo una foto con lui ma una volta tagliato il traguardo non riuscii a raggiungerlo. Il mio ricordo legato a lui è ovviamente per le gesta che compiva quando era in strada, quando correva e vinceva.

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Insieme al ricordo di Pantani c'è quello per il povero Michele Scarponi, tuo grande amico e compagno.
Con Michele la storia è un po' più particolare perché inizialmente eravamo avversari, poi siamo diventati amici e compagni. Da compagni condivideva con me la camera in ritiro e quindi era diventato un amico, un consigliere. Poi era una persona divertentissima, una macchietta, una persona unica. Professionista esemplare, in allenamento serissimo e preparato, un leader e gran professionista ma ti prendeva in giro, con una serie di sfottò unici di cui ho ancora qualche video inedito che lo riguarda.

Proprio Scarponi si ritrovò primo in un Giro d'Italia, e tu secondo, con Contador squalificato. Cosa accadde?
Con ‘Scarpa' facemmo un Giro d'Italia molto particolare, quello in cui Contador poi venne squalificato. Lui arrivò secondo, io terzo ma sapevamo che su Alberto c'era una sentenza che stava arrivando. Con quel pensiero, anche un secondo posto poteva pesare tantissimo: non dico che a volte pensavamo solo al secondo posto ma quasi, perché Contador era inarrivabile. Io ero giovanissimo nel 2011 e quello fu un Giro durissimo e Alberto era di certo il più forte.

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Poi per Contador arrivò la squalifica, una scelta che ritieni corretta?
Non so quanto ha potuto influire a livello mentale quanto poi avvenne e non so ancora oggi se sia stato totalmente giusto aver tolto la vittoria ad Alberto. Lui quel giro l'ha corso, l'ha vinto, c'era. Toglierglielo successivamente è stata una scelta difficile che ha scosso a livello internazionale. Noi sapevamo che c'era anche questa possibilità, ma forse era giusto anche non farlo correre direttamente se poi la scelta è stata quella di cancellargli il successo.

Tra le Monumento, fu straordinaria la Milano-Sanremo dl 2018. È vero che non volevi correrla?
Sì, io non volevo partecipare a quella Milano-Sanremo. Poi, parlando al telefono col team, mi avevano venduto la corsa dicendo che ero in buona forma, che dovevo farla, mi avevano visto pedalare bene: ‘Vieni per dare un supporto a Sonny [Colbrelli],  non per fare la gara' mi dicevano. Così decisi di aiutare Sonny e poi è accaduto quel che è accaduto.

E cos'è accaduto?
Avevamo tutti dei ruoli ben definiti: io dovevo muovermi tra Cipressa e Poggio nel caso di una fuga, rimanendo passivo, da stopper. Poi sulla salita finale del Poggio ci fu l'attacco e quando mi girai vidi il vuoto. Eravamo in due io e Neilands: si poteva fare, pensai, così non gli diedi il cambio e la cosa divenne interessante. Io stavo perfettamente, una delle poche volte in cui ti capita di stare davvero bene e così in testa mia ho deciso di provare e provare a vincere. Pensavo: se mi riprendono la mia squadra ha sprinter e possibilità per Colbrelli, altrimenti vinco io.

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È stata la tua più bella vittoria?
Ci ho provato ed è stata straordinaria, la ricordo con molto piacere: negli ultimi 500 metri ho capito che avevo vinto la Milano-Sanremo e avevo un sorriso enorme stampato perché era stata inaspettata, soprattutto pensando che non dovevo nemmeno correrla. Una vittoria importantissima anche perché è stata l'ultimo grande successo. Poi, al Tour successivo mi ruppi la vertebra e dovetti abbandonarlo, quindi affrontai una Vuelta con una serie di problemi e mal di schiena, infine l'anno successivo arrivai 2° al Giro d'Italia

Tour o Giro?
Difficile dirlo, ma il Tour è un po' complicato a definirlo, spiegare cosa significhi realmente vincerlo. La vera consacrazione è l'insieme di ciò che vinci in una carriera ma il Tour è qualcosa di molto simile: è davvero il raggiungimento di una consapevolezza che ti da una risonanza mediatica talmente alta che nessuno può capire cosa sia. Ti proietta in una dimensione completamente diversa e mentalmente se non sei preparato subisci la pressione. Anch'io in parte l'ho subita.

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Il ciclismo di oggi, sempre più votato alla prestazione, ti piace?
Mi piace, mi piace e molto. Sì, c'è un po' di esasperazione maggiore ma anch'io quando correvo cercavo sempre la migliore performance. Mi auto-esasperavo, sfruttando anche gli investimenti del team, per migliorare le prestazioni al limite. Non si lasciava mai nulla di scontato, la nutrizione, l'utilizzo della galleria del vento, gli allenamenti programmati.

Un aspetto meno curato rispetto a quando correvi?
Non credo, già 10 anni fa ci alimentavamo come oggi, studiavamo e utilizzavamo diversi prodotti. Era uno stare al passo con i tempi: oggi la differenza è che lo si sa e se ne discute perché se ne parla di più. E poi la tecnologia, oggi è sempre più in supporto dell'atleta. Un atleta è seguito in tutto, senza ristrettezze. Forse un'attenzione un po' troppo invasiva perché del corridore si sa tutto: da quando si si alza a quando va a letto. Si sa del peso, cosa mangia, come sta, la temperatura corporea. Tutto viene inserito nelle piattaforme a disposizione e il team sa tutto.

Tutto positivo allora, nessun lato negativo?
L'aspetto negativo è che viene meno la privacy. Di buono c'è che la squadra ha il totale controllo e può monitorare, anticipare e gestire alla perfezione le varie situazioni. In questo senso si abbassa anche il rischio di doping attraverso lo studio ottimizzato e il controllo costante. A beneficiarne sono i risultati sportivi, migliori: si studia l'abbigliamento, i caschi, poi si corre indossando le fasce, il controllo dei watt il saturimetro, si analizza l'aerodinamica. Oggi l'atleta è come una macchina, uno strumento. Poi performato e ottimizzato in base all'evento che deve fare.

E finalmente anche in Italia si potrà usare la camera ipobarica.
Sono soddisfatto anche della decisione di aver reso la camera ipobarica consentita anche in Italia. Noi già anni fa avevamo spinto tantissimo non riuscendoci: essendo un dispositivo medico, la vecchia legge diceva che doveva esserci controllo con lo staff medico e non potevi utilizzarla mentre il resto del mondo ce l'aveva ma per noi era considerato doping. Un problema anche sul fronte olimpico perché non potevi nemmeno utilizzarla all'estero mentre tutti ne sfruttavano i vantaggi. Era una limitazione dura e difficile da accettare, un taboo quasi da non poterne parlare nemmeno-

Tra i campioni di oggi, chi ti piacerebbe sfidare?
Sicuramente Tadej Pogacar perché il meno uomo-macchina, il meno strutturato, è quello che attualmente è fuori dagli schemi è meno robotico e più naturale. Mi piace per il suo essere e poi è un ottimo ciclista da grandi giri. Con gli anni giusti sicuramente, come io ho raggiunto la mia maturazione tra i 28 e i 30, al pari e con la stessa forza mi sarebbe piaciuto correre con i 6-7 corridori attuali. Parlo di Evenepoel, Roglic, Vingegaard, Pogacar, van der Poel, Pidcock, van Aert: non ne escludo nessuno perché ognuno ha qualcosa di unico, sono fuori da comune. Tra i nostri c'è anche lo stesso Ganna che è un fenomeno ma è più un cronoman.

Ciclismo moderno che vede in gruppo anche professionisti che arrivano da contest virtuali. Ti trova d'accordo questa scelta?
Chiariamo un po' questo argomento: se si va a pescare il migliore atleta in qualsiasi tipo di sport o evento e lo si seleziona, sicuramente è un atleta che può performare ovunque. Un po' come Sinner che faceva tre tipi di sport differenti e poi ha scelto il tennis che gli dava meno pensieri per gli infortuni. Oppure lo stesso Remco che prima di correre giocava a calcio in nazionale ed era un campione nel suo sport e poi lo è diventato anche nel ciclismo. Se il ciclismo "virtuale"  va a prendere un atleta di certi livelli con caratteristiche eccezionali, sono d'accordo anch'io sull'utilizzo dei rulli e sulla possibilità che danno.

È questo ciò che dobbiamo aspettarci del ciclismo del futuro?
Spero di no, perché quello che passa e che non mi piace è il concetto che i rulli siano il futuro, no. Non è il futuro: puoi prendere quei due/tre elementi da quel mondo e va bene. Ma sono delle eccezioni, sono atleti fisicamente dotati che possono performare anche in altri sport.

Sei stato coinvolto in una discussione sul contest della Zwift Academy: cos'è accaduto?
La polemica? E' nata dopo una diretta dalla nostra SqualoTV in cui abbiamo parlato di questo argomento ironicamente, usando anche un po' di gergo fuori dalla norma ma sostanzialmente senza mai mancare di rispetto verso qualcuno. Poi la situazione è scivolata di mano generando una polemica attraverso commenti e critiche.

Discorso definitivamente chiuso?
Sì, l'unica cosa che non avevo recepito è che Mattia [Gaffuri] non avesse mai preso le distanze direttamente da ciò che era successo. Detto questo, comunque, ciò che sono riusciti a fare Gaffuri e anche Vergallito è importante: sono partiti da una base molto bassa e sono riusciti ad emergere, con una storia molto comune. Vergallito oggi è in un world tour e si sta esprimendo bene, Gaffuri tra i dilettanti non è riuscito ad emergere e ora ci prova giustamente con l'Academy facendosi notare per avere una nuova possibilità.

E nel futuro, cosa farà lo Squalo da grande?
Non lo so, non progetto. La SqualoTV è nata come un divertimento e ora siamo entrati nel mondo della BoboTV e c'è tanta gente che ci segue e segue il ciclismo. Siamo tempestati di domande, anche sui temi attuali che trattiamo sempre oltre a dei format differenti, con tantissimi ospiti. Sicuramente è un progetto che continuerà ad andare avanti. Ritrovarmi in ammiraglia? N o perché in questo momento sono impegnato nel mio ruolo di ambassador e per un altro anno ancora resterà tutto così… La vera domanda è: cosa farà Nibali dal 2026 in poi? Non lo so, è troppo presto. Intanto mi godo la mia famiglia

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