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Colbrelli eroico alla Roubaix, dietro di lui il vero Inferno del Nord: “Ho vomitato tanto”

L’immagine di Sonny Colbrelli che alza la bicicletta in segno di trionfo poi la lascia per terra, s’adagia sul prato piangendo, ferma il tempo, restituisce l’idea più genuina dello sport. Dall’inferno del Nord della Parigi-Roubaix è uscito vincitore, correndo lontano anche dai suoi demoni. “Quando fai tanti sacrifici e non ottieni risultati capita che la testa vada nel pallone. Pensi di non farcela, ma è solo la tua testa che te lo fa pensare. Ero io a mettermi un limite”.
A cura di Maurizio De Santis
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Settantacinque secondi posti. Ogni volta che Sonny Colbrelli inforcava la bicicletta portava dietro di sé la zavorra pesantissima di una carriera durissima e difficile, che lo aveva visto sempre a un passo dalla gloria fino a sfiorarla con un dito e poi vederla sfuggire di mano. E solo lui sa quanto possa avergli reso un inferno quella fama di bravo ma non troppo, forte ma non abbastanza da essere campione, dotato di grade potenziale ma altrettanti limiti emotivi, sempre a confrontarsi con i "se" e i "ma", con quella vocina che – implacabile – gli ronzava in testa.

Settantacinque secondi posti, una manciata di vittorie senza mai salire sul podio di una grande classica. Nemmeno il titolo italiano conquistato a giugno oppure quello d'Europa gli bastavano più. A un certo punto Colbrelli ha rischiato di assuefarsi all'idea che forse era (solo) colpa sua anche quando problemi fisici gli piazzavano sassi nelle tasche. Che non avrebbe meritato di meglio. Pedalava e sentiva le gambe pesanti nemmeno avesse scalato una montagna: tossine e pregiudizi, ci vuole del tempo e una grande forza d'animo per liberarsene.

Metalmeccanico per professione e ciclista per passione, Sonny è divenuto grande macinando silenzio e chilometri, coltivando un sogno nato tra le nebbie del Garda, sussurrato piano lungo la strada. Ha superato la miopia che gli impediva di scrutare un po' più in là del proprio naso. A vederlo oggi in sella, con quel fisico così forte e scattante, asciutto e potente, forgiato dalle intemperie, nemmeno riconosci quel ragazzino che aveva chili di troppo. Un inferno anche quello.

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La vittoria della Parigi-Roubaix tra fango, sudore, pioggia e quel pavé che rende epica una corsa storica è arrivata dopo gli Europei, due trionfi che hanno reso straordinario il suo 2021. Nell'inferno del Nord il campione italiano ha trovato pane per i suoi denti, travolgendo in volata il belga Florian Vermeersch e l'olandese Mathieu van der Poel. Nulla che non conoscesse già e che non abbia imparato a gestire, combattere, dominare trasformando quelle energie negative in altre per avanzare. E vincere, finalmente. Merito di Sonny e della mental coach (Paola Pagani) che lo ha aiutato a correre lontano dai suoi demoni. "Quando fai tanti sacrifici e non ottieni risultati  – ha ammesso Colbrelli – capita che la testa vada nel pallone. Pensi di non farcela, ma non è vero, è solo la tua testa che te lo fa dire. Ero io a mettermi un limite".

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Sporco, distrutto dalla fatica, col viso rigato dalle lacrime. Dietro di lui il vero inferno del Nord. "Ho vomitato tanto a causa di problemi allo stomaco", le parole esalate con un filo di voce da Greg Van Avermaet: vincitore nel 2017, ha chiuso al 32° posto. E l'immagine di Colbrelli che alza la bicicletta in segno di trionfo poi la lascia per terra, s'adagia sul prato piangendo, ferma il tempo, restituisce l'idea più genuina dello sport. "Ero al limite ma ce l’ho fatta – ha aggiunto -. Ho sempre cercato di stare davanti nei tratti di pavé. Sì, è uno dei miei sogni che si realizza". Sì, ce l'ha fatta. Dall'inferno è uscito a riveder le stelle.

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