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“Avevo la foto nel taschino”, la dedica di Colbrelli al suo angelo custode speciale

Sonny Colbrelli è salito di un altro gradino in classifica nel ranking internazionale dell’Uci, adesso è sesto al mondo dopo la vittoria nella Parigi-Roubaix, vicinissimo al colombiano Egan Bernal (vincitore dell’ultima edizione del Giro d’Italia). Nel raccontare l’impresa compiuta con le ruote bucate ha rivelato anche un retroscena molto personale.
A cura di Maurizio De Santis
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Da te non ci scappi nemmeno se sei Eddie Merckx. Forse "Freccia" aveva ragione e lo sa anche Sonny Colbrelli che coi suoi demoni ha fatto i conti e li ha risolti, ha imparato a tenerli a bada, li ha guardati negli occhi, sfidati a una corsa in bici. E ha vinto. Ha messo in fila anche loro, li ha lasciati nell'inferno del Nord, nel fango della Parigi-Roubaix e, oggi che il "Cannibale" lo ha definito "un campione che ha piegato altri campioni e non una sorpresa", li ha seppelliti assieme assieme alla paura di non farcela, alla testa che gli metteva un limite per quell'etichetta di eterno secondo, bravo ma non abbastanza da essere un vincente che gli faceva da zavorra.

Nel Ranking internazionale stilato dalla Uci (la federazione iridata) Colbrelli è salito di un altro gradino in classifica: ora è in sesta posizione a quota 2553 punti, col fiato sul collo del colombiano Egan Bernal (il vincitore dell’ultima edizione del Giro d’Italia è a quota 2576). La scalata prosegue, la forza nelle gambe e nelle braccia l'ha temprata nei turni in fabbrica, tra maniglie e tubi, quand'era ancora un ragazzo. "Alle 6 del mattino li tiravo fuori dal forno e li caricavo sui camion" poi inforcava la bici e in sella correva verso il suo sogno col cuore leggero perché pedalare e digrignare i denti per lo sforzo rispetto al duro lavoro da operaio "sono il paradiso".

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Alla sua età, 17/18 anni, sogni di spaccare il mondo, lui voleva farlo su due ruote. E c'è riuscito. Nell'intervista al Corriere della Sera il campione bresciano parla di tutto, scalando allenamenti durissimi e preparazione altrettanto serrata a livello mentale per le gare. Ma c'è una cosa che non può dimenticare, un ricordo strettamente personale al quale s'è aggrappato nel momento più difficile della Roubaix, quando ha affrontato la volata con le ruote bucate. La luce nell'ora più buia: nel taschino aveva la foto del nonno. Ha rivolto lo sguardo verso il cielo, ha trovato quel gancio che gli è servito strada facendo.

Ho alzato lo sguardo al cielo e ho detto: nonno, aiutami a farmi fare il numero della vita – ha confessato al Corsera -. Mi veniva a prendere a scuola, mi portava in pista. Sognava di vedermi professionista, è morto in due settimane per un tumore. Spero di averlo ricambiato.

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