Zidane giocava su una nuvola e il gol contro il Bayer Leverkusen ne è la prova
C’è una frase di Marcello Lippi, che ha allenato Zinedine Zidane nei suoi primi anni alla Juventus, che dice:
“Zidane giocava su una nuvola, una nuvola dove nessuno poteva salire”.
Forse è la frase più chiara e facilmente comprensibile per cercare di spiegarsi e spiegare il mistero Zidane. Sì, perché Zidane era un mistero sotto tanti punti di vista. Prima di tutto tattico. Era una numero 10 ma correva come un mediano, copriva ampi settori di campo, ma allo stesso tempo amava dosare l’ultimo passaggio, era spesso esterno, eppure lo trovavi a concludere in porta al centro dell’area. Aveva una dimensione del ruolo molto fluida, caratteristica che poi diventerà centrale per il calcio del futuro. Questa sua capacità di essere utile alla squadra in tanti modi, fece dire a uno come Edgar Davids:
“Mi ha fatto guardare ai fuoriclasse in modo diverso, un altro al posto suo non si sarebbe impegnato tanto o avrebbe preteso un trattamento privilegiato, lui invece no”.
Era poi un mistero tecnico, perché riusciva in volute atletiche, in passi di calcio completamente innovativi, mai visti perché mai pensati, mai immaginati. Anche in questo caso le parole di un suo allenatore spiegano quello che il corpo di Zidane mostrava ogni giorno.
“Degli anni juventini ricordo tante cose: a cominciare da Zidane, in assoluto il giocatore più forte che io abbia mai allenato. Il rammarico, se così posso dire, è che raramente, in partita, Zidane riusciva a fare le cose mostruose mostrate in allenamento” – Carlo Ancelotti
Era un mistero infine il suo carattere, come si comportava dentro e fuori dal campo, a volte irruente, anzi violento, a volte succube di angherie da parte di difensori che avevano una sola possibilità per fermarlo, quella di stenderlo. A volte incanalato nei binari di una partita docile piegata alle sue volontà, altre volte cocciutamente desideroso di navigare al contrario, prendendosela così con gli arbitri e con tutto quello che c’era intorno. Di questa sua scomponibilità comportamentale e del suo essere unico, ha saputo dire, a modo suo, anche Jorge Valdano:
“Zinedine Zidane è un elefante (supera gli ottanta chili) col cervello di una ballerina. Il suo incedere è lento, ma le sue decisioni sono agili”.
In poche parole, Zidane era Zidane e c’è un momento, tra i tanti a dire la verità, in cui lo mostrò sul palcoscenico più grande che ci potesse essere in quel momento. 15 maggio 2002, Hampden Park di Glasgow, arrivano in finale due estremi. Da una parte il Real Madrid ancora non totalmente galacticos anche se la strada è ben avviata, con Zidane, Figo e Roberto Carlos, ma ancora molto pavones, come viene definita la scelta di far giocare insieme i grandi campioni come Zidane e le migliori scelte del vivaio, come Francisco Pavón. In squadra infatti c’è Raul, Morientes, Helguera, Casillas e il capitano Fernando Hierro.
Dall’altra parte invece la vecchia “metallurgia” tedesca. Il Bayer Leverkusen con calciatori giovani e tremendamente potenti soprattutto a centrocampo, dove vengono schierati Carsten Ramelow, Bernd Schneider e Michael Ballack, atleta del futuro per la sua capacità di essere tante cose insieme in una sola partita. Doveva essere, come si pensa di tutte le finali, una partita tattica, una partita d’attesa e invece dopo 8 minuti, Roberto Carlos batte una rimessa laterale in verticale manda letteralmente in porta con le mani Raul. Un gol da babbei per tanti, ma pochissimi hanno la gittata di braccia del brasiliano, capace di instupidire ogni difesa. Passano altri 7 minuti e Bernd Schneider batte una punizione dal lato di corto di sinistra dell’area di rigore del Real Madrid. La palla è tesa e incoccia la testa di Lucio, difensore di 24 anni che nessuno ancora conosceva. 1-1 con l’eccitazione che sale al massimo nello stadio e a casa davanti alle televisioni.
La partita un po’ si calma, ci sono pochissime altre azioni pericolose, perché dopo le sfuriate iniziali entrambe le squadre pensano più a coprirsi le spalle che ad attaccare. Al 45’ Roberto Carlos passa il pallone a Santiago Solari e scappa in avanti, sull’out di sinistra. Grazie alla sua velocità guadagna spazio rispetto a Zoltán Sebescen e Solari lo capisce subito, servendolo sulla corsa alzando la parabola. La palla gli cade davanti ma è in piena corsa per cui non può calibrare un cross teso o preciso. Si limita a calciare la palla che si impenna quasi fuori area. La fortuna per Roberto Carlos vuole che la palla inizi a scendere in picchiata proprio dove c’è Zinedine Zidane. Mentre corre dovendo seguire l’azione, Zidane frena, si ferma e inizia a contorcere il corpo proprio come un ballerino, mostrandoci l’elefantiaca grazia di cui parla Valdano. Il pallone scende veloce, perpendicolare e arriva sulla figura di Zidane. La contorsione quasi impossibile di Zidane serve a predisporre la coordinazione ad un colpo difficilissimo, una volée di sinistro in cui il pallone deve essere preso pieno, altrimenti si rischia di lisciarlo, di schiacciarlo troppo o di tirarlo in aria. C’è solo una frazione infinitesimale in cui con il corpo in quella posizione innaturale deve colpire il pallone per spedirlo dritto davanti a sé. Zidane coglie quell’attimo e fa il 2-1 finale. Dirà anni dopo lo scrittore Pietro Sermonti:
“Alcuni calciatori hanno costruito una fetta importante della storia contemporanea. I miracoli di uno come Baggio non hanno niente da invidiare alle performance di Marlon Brando. E quelli di Zidane sono degni del miglior Nureyev”.
È proprio così. Quello è un gesto di danza applicata al calcio. Un passo scenico meraviglioso, capace di essere funzionale e lasciare a bocca aperta. Dopo quel gol la partita continua ma virtualmente è assegnata “per estetica” al Real Madrid, che fa sua la nona Coppa dei Campioni/Champions League della sua storia. Osare di più dopo quel gol era impossibile. Anche se i giocatori tedeschi al momento non la vedevano così, macchiare quell’opera con un pareggio o con un gol del 3-1 era blasfemo, in pratica la partita finì al 45’ con la meravigliosa immagine di quel gesto di classe che solo Zidane poteva immaginare. Ritornando alle parole di Lippi, Zidane ci fece vedere la nuvola dove poggiava i piedi e dove soltanto lui poteva davvero volare.