Vitaliy Kutuzov: “Ho smesso col calcio per colpa delle scommesse. Vi dico come funzionava Milan Lab”
Vitali Kutuzov non era uno di quegli attaccanti che rubava l’occhio ma i suoi allenatori non se ne privavano mai. Intelligente tatticamente e sempre al posto giusto, il bielorusso è diventato un idolo in diverse piazze italiane per il suo modo di giocare e per il suo modo di vivere il calcio, dentro e fuori dal campo.
Dopo il suo approdo al Milan, ha girato l’Italia in lungo e largo lasciando ovunque un buon ricordo. A Fanpage.it Kutuzov si racconta tra passato e presente, tra aneddoti di campo e uno sguardo sulla contemporaneità e la guerra in cui è coinvolta anche la sua Bielorussia che stravolge la vita di tutti.
Cosa fa oggi Vitali Kutuzov?
"È uscito da poco il mio libro e adesso sono proprio in Bielorussia per la presentazione, magari un giorno lo tradurrò in italiano. Intanto sto lavorando sempre nell’ambito del calcio, ad un sistema che permette alle società di lavorare nel modo migliore possibile con il pubblico. Più manageriale. Anche se è difficile parlare di calcio in questo momento con la guerra".
Che situazione state vivendo in Bielorussia?
"È una situazione molto triste. Calcio poco, giochiamo poco, la nazionale gioca all'estero, in paesi tipo Ungheria o Azerbaijan. È tutto molto difficile e speriamo di superare questo momento per averne altri migliori. Il punto di partenza è la pace, poi tutto viene dopo".
Non tutti lo ricordano, ma lei arrivò in Italia al Milan.
"Sì, è tutto cominciato con la partita di Coppa UEFA Bate Borisov-Milan. È stata una cosa incredibile. Ho scontato un po’ all’inizio la differenza di livello perché non ero abituato a fare certe cose in campo e anche fuori. È stato un periodo molto bello, dove io ho cominciato a maturare come persona e anche come calciatore. Ho imparato tanto vicino a giocatori fortissimi, puntando sempre più sui dettagli per andare verso la perfezione. Io poi arrivai nell'epoca di sviluppo di Milan Lab, quindi anche sotto quel punto di vista fu incredibile. Ho appreso tantissime cose che mi hanno aiutato nel percorso successivo e nella mia vita calcistica".
C’è sempre stato un alone di mistero su Milan Lab. Ci racconta cos’era e come funzionava?
"Praticamente ti testavano e sulla base di questi test andavi a lavorare per limitare la possibilità di avere infortuni. Noi abbiamo tutti corpi diversi e il Milan cercava di curare personalmente ogni giocatore, per ridurre il rischio di avere problemi. Poi qualcosa non è andata per il verso giusto perché qualche allenatore voleva il controllo su tutto, ma secondo me non era un’idea stupida. Spesso la parte tecnica e Milan Lab andavano in contrasto ed era difficile dividere le responsabilità quando le cose non andavano bene in merito ad un infortunio o un problema fisico".
In Serie A ha fatto benissimo anche a Bari. Che esperienza è stata in Puglia?
"Il Bari è stata l'ultima mia esperienza calcistica, quella più lunga, cinque stagioni. È la città dove ho vissuto per più tempo e mi sono trovato benissimo, senza nulla togliere agli altri posti dove sono stato".
Lei a Bari ha avuto anche Antonio Conte.
"Una macchina da lavoro, che ti fa venire voglia di lavorare insieme a staff, società e tutto l’ambiente perché poi vedi i risultati. È un grande allenatore. Dietro di lui c’era un lavoro molto importante come quello di Ventrone, un preparatore bravissimo. Lui è stato un grandissimo e per me è stato un piacere lavorare con lui. Una volta venne qui a fare degli stage e mi disse: ‘Vengo, basta che tu vieni con noi'. Una bravissima persona e un professionista incredibile".
Facendo un salto temporale andiamo a Pisa, dove avete sfiorato la Serie A dopo una stagione clamorosa.
"A Pisa sono stato soltanto un anno rispetto al Bari, ma è stato molto bello. Una squadra molto giovane, e io ero tra i più vecchi, ho ritrovato Ventura. Ci siamo divertiti molto e ci è mancata un po' di panchina per poterci giocare la promozione".
Ricordo una coppia d'attacco con Castillo molto divertente…
"Ha fatto una valanga di gol, abbiamo legato da subito ed è stato bello giocare insieme a lui. Il cuore di quella squadra era formata da argentini e con la filosofia di Ventura ci siamo divertiti molto. Ogni partita era una storia a sé e con le vittorie il pubblico ci è stato sempre molto vicino. Un anno di grande felicità".
Che ricordi ha dei gol nel derby Avellino-Salernitana?
"Vivevamo un po' di stanchezza, perché con mister Zeman vivi nella stanchezza, ma è una di quelle partite che capitano ogni tanto. Avevamo avuto un anno difficile a livello societario, con allenamenti che si facevano in campi sempre diversi e poi, alla fine, è arrivata la retrocessione, ma la squadra ha cercato di dare tutto quello che aveva. Conservo un bel ricordo di quella tifoseria, tra le più belle in Italia, ed è un peccato che manchi il calcio vero ad Avellino. Il derby fu una questione anche di fortuna: il primo gol è nato con un rimbalzo, il secondo gol è stato bello e c’era anche un coro che ricordava quella partita".
Nel 2016 è stato assolto per il caso calcio-scommesse: cosa vuol dire essere accusati di qualcosa che non si è fatto?
"È stato difficile, ho smesso di giocare perché ho avuto difficoltà nell'andare a combattere con questo meccanismo. Io ero un calciatore e volevo giocare pallone, ma dovevo fare i conti con altre cose, mi sono stancato e ho mollato. Tutto quello che è capitato a me, può succedere a qualunque persona nel mondo. Spesso noi non possiamo gestire certi episodi che capitano nella nostra vita, ma dobbiamo saper rispondere anche a quello. Sono cose che capitano. È importante che io oggi posso essere sincero con i tifosi perché ho dato sempre tutto fino all’ultimo".
Ha giocato anche a hockey, nella Diavoli Rossoneri: ci racconta questa sua passione?
"Quando ha smesso di giocare a pallone ho dedicato un po' di tempo all'hockey amatoriale italiano e ho conosciuto tantissima brava gente, che va in campo per divertirsi. Mi ha dato emozioni che magari non ho avuto con il calcio. Ti faccio un esempio, dopo una partita entro nel spogliatoio e la squadra mi fa un applauso. Non è mai successo nel calcio. Io dissi: ‘Ragazzi, ma cosa fate?'. Mi volevano ringraziare. Poi a me non è mai andato giù fare palestra, preferisco gli sport di squadra, così decisi di fare quell’esperienza".
Segue sempre la Serie A? Che opinione ha sul nostro calcio italiano in questo momento.
“Sì, quando posso guardo volentieri e mi sembra che molti ragazzi non hanno più la stessa disponibilità al sacrifico di un tempo. Secondo me, questo è un problema. I talenti ci sono l'abbiamo, l'Italia non smetterà mai si produrre talenti ma spesso il talento solo non basta e ci vuole anche il lavoro di tutti giorni per diventare calciatori importanti. Dopo aver lavorato con Ventrone credo che se l’avessi avuto prima nella mia carriera forse avrei fatto qualcosa in più: la cultura del lavoro è importante".