Vincenzo D’Amico è morto, il tumore s’è portato via un pezzo di Lazio e di calcio italiano
Vincenzo D'Amico è morto oggi all'ospedale Gemelli, le sue condizioni s'erano aggravate nelle ultime ore. L'ex calciatore, 68 anni, è deceduto per un brutto male per il quale era in cura da tempo, quel tumore che non gli ha dato tregua per un paio di anni rendendo vano ogni tentativo di cura. I tifosi della Lazio lo ricordano per le sue imprese alla corte di un'icona in panchina, Tommaso Maestrelli, e gli appassionati che hanno i capelli bianchi ne rammentano le prodezze in campo in quella squadra che nel 1974, con Giorgio Chinaglia, portò lo scudetto sotto la metà del cielo biancoceleste della Capitale.
"Mi dicono che i malati oncologici tirano fuori forze inaspettate! Io ci sto provando", è il post su Facebook che risale a maggio scorso e nel quale l'ex dieci condivise pubblicamente le proprie condizioni di salute. Con lui se ne va un pezzo di storia della Lazio e del calcio italiano legato ad altri tempi, altri uomini. Tra questi c'era il ‘Maestro', l'allenatore che volle quel ragazzino della Primavera con sé perché gli aveva visto fare cose che solo un talento del genere poteva ispirare.
Nel racconto di quel giorno c'è tutto lo stupore e l'intima soddisfazione di quel giovanotto che, nonostante il passare gli anni e la malattia, ha conservato intatti i ricordi più belli. Accadde tutto all'improvviso, a sua insaputa. Ma non era scherzo. Maestrelli faceva sul serio. "Credevo di dover andare a giocare al Flaminio con la Primavera – è l'aneddoto più noto, di cui ha parlato spesso D'Amico – invece mi hanno preso e portato all’hotel Fleming dove ho scoperto di essere convocato per la partita del giorno dopo".
Non era ancora tutto, la sorpresa più bella sarebbe avvenuta qualche ora dopo, quando gli dissero che avrebbe indossato la maglia da titolare e sarebbe andato in campo. "Credevo che quella gara l'avrei vista dalla tribuna, invece giocai dall'inizio".
In uno dei post che risale a un po' di tempo e pubblicato su Facebook, D'Amico aveva sbloccato un altro degli episodi he rendono più preziosa la sua carriera: la rete segnata contro il Napoli di Maradona nella stagione 1984-1985 e terminata 1-1. "Soddisfazione immensa", le parole a corredo di quel momento. Uno dei tanti di una vita professionale spesa con la maglia della Lazio addosso. Quindici anni e una parentesi al Torino (1980-1981).
Leggenda biancoceleste e coraggioso capitano nei momenti difficili della Società, Vincenzino, come tanti lo hanno sempre continuato a chiamare – si legge in un passaggio della nota ufficiale della Lazio -, ha fatto innamorare i tifosi di diverse generazioni con le sue magie in campo e il suo infinito attaccamento alla maglia.
Ha vestito i colori biancocelesti dal 1971 al 1986 e quando vi tornò dopo l'esperienza in granata c'era scritto nelle stelle che avrebbe dovuto compiere un'altra impresa. Grazie alle sue reti evitò la retrocessione in Serie C della Lazio . In bianconceleste ha collezionato 336 presenze e 49 gol. Dopo la carriera da calciatore non è sparito dai radar ma è rimasto in campo attraverso una prospettiva differente: quella di commentatore televisivo.