Verratti tra la rivincita e il fallimento: il bivio del vero leader di Italia e PSG
Nella rosa attuale del Paris Saint Germain, nessuno vanta gli anni di permanenza di Marco Verratti, che da ormai dieci anni ha messo radici a Parigi facendone la sua seconda casa. Era nell'estate del 2012 che al suo arrivo al Camp des Loges, centro sportivo del Psg, veniva osservato con sorpresa e curiosità da uno Zlatan Ibrahimovic che si sarebbe innamorato del suo calcio al primo allenamento. Molto amato dai tifosi e adesso in totale sintonia calcistica con Neymar, Messi e Mbappé, il pescarese è chiamato adesso a un doppio riscatto con l'Italia. In primis per trascinare la nazionale ai mondiali del Qatar con il suo modo unico di gestire il pallone in mediana. In secondo luogo per cancellare l'onta dell'eliminazione dei francesi agli ottavi di finale di Champions contro il Real Madrid.
Come Xavi
Avvolto da una nube di mediocrità e di depressione, domenica Verratti è uscito dal campo a Montecarlo privo di forze e pieno di dubbi. Eppure, negli ultimi mesi è stato lui l'unico, insieme a Kylian Mbappé, a mantenersi costantemente a un livello elevato di rendimento, senza lasciarsi coinvolgere dalla mediocrità di un gruppo che per il potenziale del quale dispone non sta dimostrando praticamente nulla. Il numero che veste sulle spalle, però, non è casuale. È quel 6 che avrebbe potuto indossare anche dall'estate del 2017 al Barcellona, prendendo l'eredità di Xavi Hernández. In quell'occasione lo stesso Messi fu uno dei principali sostenitori dell'acquisto del pescarese, che poi fu trattenuto dal Psg.
L'argentino aveva visto nell'italiano il clone ideale di quello che per anni era stato il regista delle più belle pellicole prodotte in blaugrana. Verratti, che con la squadra parigina ha un legame solidissimo, è stato anche il primo a imporsi nelle simpatie di un Messi appena arrivato al Camp des Loges. Già amico di Neymar, Paredes e Di Maria, il capitano della Selección rimase impresso dal modo di interpretare il calcio di Verratti, il quale lo ha anche sedotto a livello umano con la sua simpatia e la sua allegria spontanea. Unico tramite tra il clan dei sudamericani e quello dei francofoni, il pescarese è amico di tutti fuori ma soprattutto dentro il campo, dove è un collante totale per il gioco di un Psg che senza di lui in campo gioca a un altro sport.
Profeta all'estero
Lanciato con un razzo supersonico dalla Serie B alla Ligue 1 nell'estate del 2012, l'abruzzese ha vissuto la peculiare condizione di elemento fisso della nazionale senza aver mai giocato in minuto in Serie A. Qualcosa di unico per quanto riguarda l'Italia, che da sempre ha fatto leva su calciatori cresciuti nel campionato tricolore. Verratti rappresenta un'eccezione storica. Un'eccezione alla quale Roberto Mancini deve aggrapparsi in un momento decisivo nel quale non ci sono più margini di errore. Chiamato per la prima volta in azzurro da Cesare Prandelli nell'ottobre del 2012 in occasione di un'amichevole contro l'Inghilterra, l'abruzzese ha da quel momento quasi sempre fatto parte del gruppo dei convocati, sebbene i tanti infortuni gli abbiano impedito di disputare una competizione importante come l'Europeo del 2016.
Adesso, a trent'anni compiuti e con una stagione praticamente finita a Parigi dopo l'eliminazione dalla coppa nazionale e la Champions League, a Verratti toccherà guidare l'Italia in un momento delicatissimo, per alcuni tratti molto meno facile da gestire rispetto gli incontri da dentro o fuori del vincente Euro 2020, dove mancava il peso dell'obbligo di vincere.
Assente per squalifica nel ritorno del drammatico spareggio dell'ottobre 2017 contro la Svezia, Verratti è chiamato a una prova totale. Lontano da Neymar, Messi e Mbappé, ma con addosso la maglia di un'Italia che porta sempre nel cuore. Per una rivincita fondamentale in una stagione che, in caso di mancata qualificazione al mondiale, diventerebbe del tutto fallimentare.