Van Basten a Fanpage.it: “Oggi il calcio è business e il budget è l’unica cosa che conta”
Fragile. Come quella maledetta caviglia che lo ha costretto al ritiro a soli 28 anni. Fragile, ma anche commovente, come quell'ultimo giro di campo in una calda serata d'estate a Milano. Fragile è il titolo dell'autobiografia di Marco van Basten: un campione leggendario e mai dimenticato da tutti i tifosi olandesi, italiani e soprattutto milanisti. L'ex cigno di Utrecht ha raccontato se stesso nel volume uscito qualche settimana fa anche in Italia: trecento pagine dove l'olandese ha riacceso la malinconia rossonera raccontando aneddoti e squarci di una vita vissuta dentro e fuori dal terreno di gioco.
Lo ha fatto senza censure e nella maniera più sincera, ritornando anche a parlare di quel 18 agosto 1995 e di quell'ultimo emozionante omaggio che la San Siro rossonera ha voluto dedicargli. Un momento tragicamente indelebile, che van Basten ha messo nero su bianco anche nella sua autobiografia.
"Sotto gli occhi degli ottantamila, sono testimone del mio addio. Marco van Basten, il calciatore, non esiste più. State guardando uno che non è più. State applaudendo un fantasma. Corro e batto le mani, ma già non ci sono più. Forse perché tutto è stato organizzato spontaneamente, per questo fatico a rendermene conto, ma è così. Non ho mai voluto credere che questo momento sarebbe davvero arrivato".
"In realtà non è stato difficile parlare di me stesso – ha spiegato van Basten, raggiunto telefonicamente da Fanpage.it – Si trattava di riprendere le fila della mia vita, dalla gioventù alla vita adulta, e di raccontare sia il calcio che la vita privata. Ma soprattutto mi sembrava importante essere corretto, ricordare i momenti importanti. Fare una mappa della propria vita, e incastrare tutto come in un puzzle. In cui però ogni pezzo doveva essere veritiero e corretto".
Perché hai deciso di scrivere la tua autobiografia?
"Tutto è cominciato quando Edwin Schoon (giornalista sportivo olandese, ndr) mi ha chiesto di realizzare un documentario sulla mia vita, e io ho detto di no. Poi però, nella conversazione, abbiamo parlato della possibilità di fare un libro. E questa era un'idea che mi piaceva molto, invece. Avevo letto di recente ‘Open' di Andre Agassi, e mi era piaciuto davvero tanto. Per cui ero sempre più convinto, e cominciavano a passarmi per la testa tanti ricordi. Solo che non sapevo da dove cominciare. Finché Edwin ha creato la struttura giusta per contenere la storia, e abbiamo iniziato. Spero di riuscire a far rivivere ai lettori tutte le cose belle che ho vissuto io".
Quali sono gli aneddoti più curiosi e interessanti che hai inserito in ‘Fragile'?
"È difficile capire che cosa sia interessante per gli altri, per i lettori. Nel mio libro si parla molto dei miei problemi alla caviglia, è un tema che affascina molte persone. Ma tratto anche di questioni finanziarie, del calcio, di cosa vuol dire smettere di giocare, di fatti privati. Sono tutte cose che fanno parte della mia vita allo stesso modo, non faccio differenza tra l'una e l'altra. E se all'inizio per me è stato molto difficile smettere di fare il mestiere che amavo più di ogni altro, ora posso guardare indietro ricordandomi tutte le cose belle che ho vissuto. Nonostante abbia giocato per un periodo relativamente breve, è stata un'esperienza molto ricca. Quindi posso dire che per me il bicchiere è certamente mezzo pieno".
Cosa ne pensi dello stato attuale del calcio italiano: oggi più che mai diviso tra coloro che guardano solo agli interessi economici e chi invece crede ancora nei valori dello sport.
"Al momento il calcio non è importante. Il calcio è lusso. Se tutto va bene, è un bel gioco, ma nei momenti difficili, come adesso, è irrilevante".
Il Coronavirus ha fermato il calcio dappertutto. Quando pensi si potrà tornare in campo?
"Non saprei dire, sinceramente non ho nessun’idea al riguardo. Penso sia necessario ascoltare gli esperti che sicuramente ne sanno più di me e di noi. Al momento, penso che la salute e la sicurezza di tutti sia la cosa più importante. Quindi è inutile preoccuparsi del calcio".
Ti riconosci ancora in questo sport?
"A differenza del periodo in cui ho giocato io, mi sembra che ora vado tutto più veloce, che ci sia meno spazio e che il gioco richieda ancora più tecnica. Devi agire e pensare ancora più velocemente di prima. Ma penso che i talenti dei miei tempi sarebbero dei talenti anche oggi: si allenerebbero ora, con questo diverso modo di giocare, seguirebbero le richieste che gli vengono fatte e sarebbero grandi anche ora".
Quando guardi questo Milan cosa provi?
"Non seguo molto il calcio italiano, a dir la verità, ma posso dire che il Milan dei miei tempi ha dominato il mondo del calcio, mentre quello di oggi sta lottando per sopravvivere al campionato. Mi sembra una differenza non da poco".
Cosa deve fare il club rossonero per tornare ai vertici del calcio italiano ed europeo?
"Il calcio sta diventando sempre più un business, in cui il denaro e il budget sono l'unica cosa che conta, perché più entrate un club ha, migliori sono i giocatori che si può comprare. Ci sono alcuni club che stanno diventando sempre più piccoli, e questo sinceramente mi dispiace. Credo che la UEFA dovrebbe cercare di fare in modo che i club si avvicinino gli uni agli altri, non che siano sempre più diversi come valore dei giocatori, come è avvenuto progressivamente negli ultimi venticinque anni. Le differenze stanno diventando troppo grandi, sarà sempre più difficile colmarle".