Valverde spiega il successo: “Ricevi messaggi privati da ragazze che neanche ti avrebbero guardato”
Federico Valverde è un pilastro del Real Madrid di Carlo Ancelotti, che lo utilizza indifferentemente da centrocampista o attaccante esterno, e all'occorrenza perfino da terzino. Giocatore duttile se ce n'è uno, dotato di tecnica, fisico e personalità, insomma il prototipo del calciatore adorato da ogni allenatore, il 25enne uruguaiano è stato gratificato la settimana scorsa dal Real col rinnovo del contratto fino al 2029, con contestuale aumento dello stipendio a oltre 6 milioni netti più bonus. Valverde viene da una famiglia povera e ha raccontato a ‘The Players' Tribune' come il successo abbia stravolto la sua vita, in maniera tale da non potersene vantare.
"Attraverso il calcio ho potuto cambiare la situazione della mia famiglia. Purtroppo ha cambiato anche me – ha ammesso Valverde – Quando sono diventato professionista con il Peñarol a 16 anni, pensavo di essere un Dio. Non credo che la gente capisca quanto sia folle passare dall'essere nessuno al camminare per strada nella tua città e all'improvviso trovi uomini adulti che vogliono farsi un selfie con te. Ricevi messaggi privati da ragazze che la settimana prima non ti avrebbero nemmeno guardato. Tutti vogliono essere tuoi amici".
Essere trascinati via è un attimo: "Anche se hai genitori fantastici come i miei, è impossibile non allontanarsi dal sentiero. Per quelli di noi che sono cresciuti nell'era dei social media, l'influenza è troppo forte. Ricordo che mio padre mi disse: ‘Ehi, perché non esci più con Tal dei tali? Cos'è che non va? Era il tuo amico fin dai tempi in cui giocavi per strada!' Ma avevo sostituito i vecchi amici con dei nuovi, come tanti giovani calciatori".
La notorietà acquisita all'improvviso ha fatto assumere a Valverde atteggiamenti che adesso il nazionale uruguaiano non può che biasimare: "Ricordo che i bambini aspettavano dietro il cancello il mio autografo e io pensavo: ‘Ehhhh, sono troppo stanco oggi'. Tutti quei ragazzini che gridavano: ‘Fede! Ehi, Fede! Per favore!'. Mi sarebbe costato due minuti e gli ho voltato le spalle. Ripensandoci, mi uccide, perché i miei genitori non mi hanno educato in quel modo. In realtà non ero nessuno. Ero solo un altro idiota che giocava a calcio e lottava per i suoi sogni. Cosa è successo al bambino che era felice con una Coca-Cola? L'unico modo in cui posso spiegarlo è che ero accecato dalla fama improvvisa".