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Valeria Ciardiello: “Il calcio femminile e una rivoluzione nata dal basso”

L’intervista a Valeria Ciardiello, giornalista e opinionista televisiva, che ha parlato a Fanpage.it dell’ascesa del calcio femminile, che in Italia sta prendendo sempre più piede.
A cura di Redazione Sport
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La rapida ascesa del calcio femminile, sempre più popolare in Italia e in Europa, sta cambiando la percezione di uno sport tradizionalmente maschile. La popolare giornalista e conduttrice televisiva e opinionista di 90° minuto del lunedì Valeria Ciardiello traccia il bilancio di un movimento sempre più consolidato, grazie a investimenti e attenzione mediatica, ma anche proiettato verso le sfide future.

Valeria, possiamo parlare di un vero e proprio boom del calcio femminile negli ultimi dieci anni?
Ogni rivoluzione ha due facce, per certi versi opposte, che tuttavia non possono sussistere l’una senza l’altra. Anche nel calcio il motore del cambiamento è arrivato dall’alto, con l’esigenza della maggior parte dei club di Serie A di investire sui campionati femminili, scoprendo un nuovo mondo. Una scintilla alimentata dalla passione, che però va sostenuta anche dal basso, attraverso consapevolezza e responsabilità, a partire dalle scuole.

Cosa manca ancora al movimento femminile?
È arrivato il momento di una presa di coscienza collettiva che coinvolga e offra concretamente le stesse opportunità sportive a tutti, studenti e studentesse, senza distinzione di sesso o età. E con il supporto delle società di calcio, più presenti e ricettive a livello di inclusività e possibilità.

Cosa si può fare per dare un supporto ancora più concreto a questo sport?
La direzione è quella giusta, visto che negli ultimi anni i grandi club hanno contribuito alla crescita del calcio femminile attraverso investimenti tecnici e progetti politici, aprendo le porte dello Stadio Meazza o l’Allianz Stadium. Ma servono anche modelli di riferimento presenti sul campo e una strategia a livello comunicativo affidata a professionisti del settore, per ampliare la community e dialogare nella stessa lingua delle giovani generazioni.

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Il calcio femminile è sempre più popolare tra le giovani generazioni.
Il futuro dello sport, oggi è in mano ai ragazzi e alle ragazze che riusciranno a scalare la montagna per diventare campioni, con impegno e sacrifici. Un percorso per pochi, ma l’opportunità di intraprenderlo va concessa a tutti, senza distinzioni. Colmando il gap tra l’élite delle società più prestigiose, e le bambine che muovono i primi passi per avvicinarsi al mondo del pallone, con passione e in strutture adeguate.

Il tennis in questo senso può essere un modello di riferimento?
Un bell’esempio per tutti sono le vittorie di Sinner, diventate un volano straordinario per il tennis italiano, ma Jannik, Berrettini e Sonego e le azzurre della Billie Jean King Cup sono solo la punta di un iceberg che affonda nei circoli sportivi, e nell’impegno politico sul territorio.

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Un investimento prezioso per il futuro delle nuove generazioni.
Lo sport è condivisione. Di esperienza, emozioni, ma anche la capacità di capire i tempi, anticipandoli. Una lezione che ho imparato in casa. Mia madre, Giuditta Longari, ha vinto tanto nel ciclismo su strada e su pista, ma al primo mondiale a cui ha partecipato, lei e le sue compagne non avevano neanche le tute per gareggiare. E se le sono fatte regalare dai ragazzi. Crescendo ho capito che quello sforzo iniziale e prezioso, è stato decisivo per il movimento ciclistico femminile. Anni fa erano le atlete in prima persona ad essere pioniere, oggi un impegno sempre più concreto da parte della classe dirigenziale, e delle governance, insieme ad atleti e allenatori fa la differenza.

Il movimento femminile è ancora prigioniero dei soliti stereotipi?
C’è un duplice errore ricorrente nella narrazione mediatica sul calcio femminile. Il primo riguarda la copertura degli eventi, in cui troppo spesso si tende a puntare i riflettori solo sugli avvenimenti eccezionali, come i Mondiali. Il secondo è l’equivoco del paragone, più o meno esplicito, con il calcio maschile o con altri sport, un parallelismo concettualmente errato.

A questo punto quale può essere la soluzione?
Ciascun movimento deve seguire il suo percorso unico. Senza fermarsi all’esaltazione o alla cronaca dei risultati di campo, è necessario coinvolgere tutti i luoghi della vita pubblica, dalle scuole alle piazze, dalla televisione ai social media.

In quale modo?
Si possono anche cambiare alcune regole pratiche, come le dimensioni del campo o delle porte, che sarebbero perfettamente in linea con le esigenze specifiche di riferimento: parlare di discriminazione significherebbe ancora una volta non possedere la conoscenza della materia, ignorarne le necessità.

Sarebbe un passo decisivo.
Siamo in una fase storica, culturale, sociale nella quale sentiamo il bisogno di un nuovo sguardo e il calcio, in questo senso, può essere un mezzo straordinario per il cambiamento che vogliamo.

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