Un’attenuante ha dimezzato la condanna di Dani Alves: un gesto che “esprime una volontà riparatrice”
Dani Alves resterà in prigione dopo la condanna a 4 anni e 6 mesi di reclusione per stupro, pronunciata stamattina dalla 21sima sezione del Tribunale provinciale di Barcellona. Una sentenza inferiore a quella che si paventava per il brasiliano (tra i 9 e i 12 anni), arrivata in questi termini grazie a una sola attenuante riconosciutagli dai giudici: il risarcimento alla vittima elargito "indipendentemente dall'esito del processo", dettaglio quest'ultimo decisivo, visto che "esprime una volontà riparatrice che deve essere considerata come una circostanza attenuante".
La condanna di Dani Alves: non solo il carcere
Il 40enne ex calciatore di Barcellona, Juventus e PSG è stato riconosciuto colpevole del reato di violenza sessuale dopo 10 giorni di attesa dalla fine del processo: secondo i giudici è dunque accertato – in base a prove, dichiarazioni e testimonianze – che Dani Alves abbia abusato di una ragazza di 23 anni in una discoteca di Barcellona nella notte tra il 30 e il 31 dicembre 2022 e che non ci fosse in alcun modo la consensualità del rapporto invocata dal brasiliano. Oltre ai 4 anni e 6 mesi di prigione, la condanna prevede anche 5 anni di libertà vigilata che verrà applicata una volta scontata la pena detentiva, il divieto di avvicinarsi all'abitazione o al luogo di lavoro della vittima entro un raggio di mille metri e di comunicare con lei con qualsiasi mezzo per un periodo di 9 anni e 6 mesi, nonché un risarcimento di 150mila euro e il pagamento delle spese processuali.
Perché Dani Alves è stato ritenuto colpevole
La corte ha ritenuto sufficientemente provato che "l'imputato ha afferrato bruscamente la denunciante, l'ha gettata a terra e, impedendole di muoversi, l'ha penetrata vaginalmente, anche se la denunciante ha detto di no, che voleva andarsene". Una ricostruzione che "integra il caso dell'assenza di consenso, con l'uso della violenza e con l'accesso carnale". La sentenza spiega che "perché sussista violenza sessuale, non è necessario che si verifichino lesioni fisiche , né che vi siano prove di un'eroica opposizione da parte della vittima ad avere rapporti sessuali". E precisa che "nel caso di specie troviamo anche lesioni sulla vittima che rendono più che evidente l'esistenza di violenza per forzarne la volontà, con successivo accesso carnale che non viene smentito dall'imputato".
Nella sentenza si precisa ancora che "non solo il consenso può essere revocato in qualsiasi momento, ma è anche necessario che il consenso venga prestato per ciascuno dei vari comportamenti sessuali presenti nell'incontro sessuale e non vi è prova che, almeno per quanto riguarda la penetrazione vaginale, la denunciante abbia dato il suo consenso, anzi l'imputato ha anche sottomesso la volontà della vittima con l'uso della violenza".
Il tribunale "è giunto alla convinzione dei fatti avendo valutato positivamente la testimonianza della vittima al processo, insieme ad altre prove che corroborano la sua storia". I magistrati ritengono che, nel nucleo essenziale della sua deposizione, la vittima è stata "coerente e soprattutto persistente, non solo durante tutta l'istruttoria del caso, ma anche in seduta plenaria, senza che si riscontrasse la presenza di rilevanti contraddizioni rispetto a quanto ha affermato in precedenza nell'inchiesta". Contraddizioni che invece, come sappiamo, sono state numerose – e screditanti per la sua linea difensiva – per Dani Alves, che ha dato addirittura cinque versioni diverse dell'accaduto: dall'iniziale non conoscere assolutamente la vittima, passando per un semplice incrocio nel locale, per arrivare all'ammissione del rapporto ma sostenendo che fosse consensuale.
L'attenuante che ha dimezzato la pena di Dani Alves
Se il brasiliano se l'è cavata con una condanna inferiore alle previsioni, è grazie ad una sola e unica attenuante riconosciutagli dai giudici. Nella sentenza emessa si precisa che è stata applicata "l'attenuante del risarcimento del danno all'imputato Daniel Alves". Risulta infatti "che prima del processo la difesa ha depositato sul conto del Tribunale la somma di 150mila euro da consegnare alla vittima, senza alcun tipo di condizione". Elemento quest'ultimo che è risultato decisivo, visto che secondo il tribunale, "sebbene l'atto d'accusa stabilisca l'obbligo dell'imputato di pagare una cauzione di 150mila euro, il fatto che egli abbia dichiarato di chiedere che tale somma venga consegnata alla vittima indipendentemente dall'esito del processo, esprime una volontà riparatrice che deve essere considerata come una circostanza attenuante".
Questa è stata l'unica attenuante presa in considerazione dai giudici nel ridurre la pena di Dani Alves. La difesa dell'ex calciatore durante il processo aveva affermato che era ubriaco, versione confermata dalla moglie Joana Sanz, ma è stato ritenuto che la presenza di alcol non fosse provata e dunque non ne è stato tenuto conto. Alla luce dunque dell'attenuante recepita dal tribunale, la sentenza ha ridotto della metà la pena richiesta dalla Procura (9 anni), comminando 4 anni e 6 mesi al brasiliano.