“Un semidio, con un potere economico da nausea”: Walter Sabatini ricorda l’Inter di Zhang
Walter Sabatini al momento è senza un incarico ufficiale. Uomo di calcio, da sempre, tra i più capaci, richiesti e determinanti dirigenti del nostro panorama calcistico ha legato per anni la sua figura alle più importanti società di Serie A, dal Palermo alla Lazio, dalla Roma, all'Inter e il Bologna. Oltre ad aver giocato, ha anche allenato – una piccola parentesi per completare il suo curriculum – senza grande fortuna, la stessa che però lo ha accompagnato negli anni alla scoperta di talenti, dando indicazioni di mercato e scelte vincenti.
Nel suo recente passato ha vissuto tre esperienze più tribolate e veloci del solito. Prima all'Inter, portando per mano il giovane Steven Zhang, per nemmeno un anno per poi passare alla Sampdoria, litigare con il presidente Ferrero e quindi andando al Bologna con un incarico interrotto lo scorso settembre non privo di polemiche. Eppure Sabatini è sempre al centro del discorso, quando si parla di calcio, materia che mastica da quasi 50 anni e del quale conosce anche i più segreti risvolti, le pieghe in cui si celano particolari che ne fanno la differenza. E quando parla non è mai banale, come nel caso in cui ricorda il suo breve interludio in nerazzurro.
A Milano, Sabatini arriva nel maggio 2017 sull'onda emotiva del cambio di proprietà interista, con l'avvento di Suning e la famiglia Zhang che ne preleva le redini da Thohir senza non poche difficoltà. Una proprietà straniera, cinese, vista e guardata con diffidenza, su cui si speculano voci sulla reale sostenibilità economica, sul vero interesse sportivo e non solo finanziario di prelevare un club storico come l'Inter. In tutto questo Walter Sabatini non ha un ruolo secondario, è il responsabile coordinatore dell'intera area tecnica del "Suning Group" di cui oltre all'Inter fa parte anche la società Jiangsu.
Anche per questo iniziano i sempre più frequenti voli in Cina, nel cuore del potere della famiglia che gestisce l'Inter perché Sabatini è abituato a vedere, valutare, tastare con mano le situazioni senza interposte persone. E nel nuovo ambiente nerazzurro, la realtà con cui si è scontrato lo ha portato a concludere anzitempo il rapporto con la famiglia Zhang. Nei giorni successivi all'addio, non preventivato, consumatosi nel marzo 2018, Sabatini parlò in punta di piedi: "Non essendoci i presupposti ho preferito ringraziare Suning. Ma qui non avrei potuto fare il mio calcio né contraccambiare fino in fondo la fiducia: procedure e modo di affrontare la vita del club non affini al mio modo di sviluppare questa attività".
Un giro di parole, per circumnavigare il problema principale che negli anni è pian piano emerso in altre circostanze, in cui si è ritrovato a parlare della sua esperienza nerazzurra. Diversità di vedute, affinità elettive sbagliate: "Diciamo che l'Inter è un piccolo capolavoro: provate a trovarmi nella storia del calcio una squadra che incassa 200 milioni con un utile di 120 milioni, gran parte dei quali va in Cina e non si sa che fine fanno – aveva detto non più tardi di qualche mese fa – Un club che intanto cambia allenatore e nonostante tutto è quantomeno all'altezza di Milan e Napoli".
E così, in questi giorni, è arrivato un altro piccolo dettaglio, il risvolto che cela la natura dello strappo: un ulteriore particolare che completa la cornice dell'interludio interista. E che ha portato Sabatini a non condividere il modo di intendere e volere il calcio con cui si è confrontato: "Ho avuto occasione di vedere in Cina direttamente la potenza di Zhang. Era considerato da tutti un semidio, non era nemmeno considerato un essere umano. Una potenza economica da far venire la nausea…"