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Un piano costato anni di sconfitte: così il Belgio ha costruito la nazionale più forte al mondo

Se confrontati con la propria storia calcistica e con una popolazione di appena 11 milioni di abitanti, i risultati che la nazionale belga sta ottenendo negli ultimi anni sono impressionanti. Questi sono frutto di una generazione d’oro, che in sette anni (dai 28 di Lukaku ai 35 di Vertonghen) vede condensata l’ossatura dei Diavoli Rossi. Non è un caso. Dopo i fallimenti degli anni ’90, la federazione ha deciso di cambiare mentalità: via quella difensiva e risultatista, sostituita da una propositiva e incentrata sulla valorizzazione di ogni singolo ragazzo.
A cura di Valerio Albertini
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Quando si vede giocare la nazionale belga non si può fare a meno di chiedersi come possa rappresentare una nazione di soli 11 milioni di abitanti. In Europa, nel calcio, hanno sempre dominato le rappresentative dei Paesi più grandi e potenti: Italia, Francia, Inghilterra, Spagna e Germania. Questi ospitano i maggiori campionati del continente e le loro nazionali sono sempre o quasi additate come tra le favorite per vincere Europei o Mondiali. Da qualche tempo, però, il Belgio si è ritagliato uno spazio decisamente importante, confermato dal primo posto nel ranking FIFA.

Eppure, non si tratta di una selezione con una grande storia alle spalle, rinfrancata soltanto da buoni piazzamenti tra gli anni '70 e gli '80, tra cui un quarto posto a Messico '86, un terzo e un secondo posto rispettivamente agli Europei del 1972 e del 1980. Anche la storia recente, fino al 2014, è costellata di insuccessi. Dall'eliminazione agli ottavi di finale ai Mondiali del 2002, fino alla rassegna brasiliana, il Belgio non ha partecipato a due campionati del mondo e tre Europei, scomparendo, di fatto, dalla mappa del calcio internazionale per dodici anni.

Dal 2014, invece, sono arrivati i quarti di finale sia in Brasile che agli Europei del 2016, il terzo posto a Russia 2018 e, in questa edizione di Euro 2020, la formazione belga è approdata di nuovo ai quarti, dove affronterà l'Italia per un posto in semifinale. Questi risultati sono figli di una generazione d'oro, che non può ed effettivamente non è un caso. Tra i 28 anni di Romelu Lukaku e Thorgan Hazard e i 35 di Jan Vertonghen e Thomas Vermaelen, esponenti più anziani del gruppo, si inseriscono i 29enni Kevin De Bruyne, Thibaut Courtois e Thomas Meunier, i 30 anni di Eden Hazard, i 32 di Axel Witsel e Toby Alderweireld e il 34enne Dries Mertens. In sette anni è condensato quello che più o meno è l'undici titolare del Belgio e le ragioni di tale golden generation sono ben precise.

La rivoluzione del 1998 e il ruolo di Michel Sablon

È figlia di una scelta datata 1998. I Diavoli Rossi sono stati appena eliminati dai Mondiali di Francia, a causa di tre pareggi ottenuti nel girone con la vicina Olanda, il Messico e la Corea del Sud. La federazione belga, che fino a quel momento non aveva lavorato in maniera unificata sulla crescita dei giovani calciatori, si incontra per capire come dare una svolta a una situazione che da anni non dà ormai alcun frutto. Le nazionali belghe giocano un 4-4-2 o un 3-5-2 difensivi, improntati sulla marcatura a uomo e sul contropiede. Nel '98 decidono di cambiare, vogliono un calcio propositivo e impongono il 4-3-3 a tutte le formazioni giovanili della nazionale belga. L'obiettivo è quello di far crescere ragazzi avvezzi al dribbling, ai duelli e al palleggio. I risultati, naturalmente, non sono immediati e i Diavoli Rossi escono malamente anche da Euro 2000.

A questo punto entra in scena Michel Sablon, direttore tecnico del Belgio in quegli anni. È lui a mettere in atto concretamente una serie di riforme che consentano al calcio belga di progredire, tutte incentrate sul caposaldo dell'analisi scientifica. Sablon è deciso a cambiare la mentalità di coloro che si occupano di calcio nel suo Paese: al centro delle strategie di crescita deve esserci il ragazzo, non il risultato. E allora basta con la ricerca del risultato a tutti i costi e con la classificazione dei ragazzi in base alla bravura. Sablon istituisce scuole che consentano ai ragazzi di allenarsi di più e meglio, pur restando vicino casa. Oltre agli investimenti, il Belgio cambia anche il modo di allenare i suoi ragazzi. Come scritto sopra, si passa al 4-3-3 e le sessioni sono incentrate sulla tecnica e sulla tattica individuale, in modo che ogni giocatore possa prima crescere singolarmente e poi fornire il suo apporto al gruppo. Allo stesso tempo, però, la federazione è decisa a fornire ai giovani calciatori un'educazione a 360 gradi, che presuppone la necessità di un'istruzione efficace, in modo che chi non riesca a sfondare nel calcio abbia comunque i mezzi per crearsi un'alternativa di vita. Tutto questo nonostante, comunque, i ragazzi più talentuosi spesso escano presto dal Belgio per approdare nei Paesi con una migliore tradizione calcistica, come successo anche ai fratelli Hazard o al trio difensivo Alderweireld-Vermaelen-Vertonghen, tutti e tre trasferitisi giovani all'Ajax. Un programma che richiede anni di lavoro e pazienza, a fronte dei risultati. Il Belgio accetta il rischio di non essere competitivo e salta tre Europei e due Mondiali.

La formazione degli allenatori al primo posto

A far la differenza, forse più di tutto il resto, sono stati gli investimenti nella formazione degli allenatori dei ragazzi. La federazione belga, conscia di dover affrontare un cambio repentino e totale di mentalità, ha promosso corsi per i tecnici, che hanno imparato come sviluppare le qualità dei ragazzi da quando hanno cinque o sei anni. Via l'ansia del risultato, sostituita dall'attenzione maniacale sul giocatore, senza avere la fretta di intravedere un potenziale campione, ma dando a tutti i giovani calciatori la possibilità di crescere e dimostrare il loro valore. Ovviamente, un pizzico di fortuna non è mancato, perché negli ultimi anni gli allenatori belgi hanno avuto la possibilità di formare ragazzi dalle qualità innate, come De Bruyne, Eden Hazard o Lukaku. L'interista, però, è l'esempio concreto del lavoro fatto dal Belgio, che l'ha portato dal peggior risultato nel ranking Fifa (66° posto nel 2009), alla testa della classifica in appena sei anni. Big Rom era un diamante grezzo che, grazie al cambio di mentalità apportato nel 1998 e al conseguente lavoro maniacale su di lui, l'ha portato ad essere uno dei migliori centravanti al mondo. La generazione d'oro del Belgio, dunque, è figlia di una rivoluzione, frutto a sua volta del coraggio di cambiare se le cose non vanno nel verso giusto, che ha fatto sì che un Paese di 11 milioni di abitanti potesse diventare una delle più importanti realtà calcistiche del mondo. Ora, sarà interessante capire se si tratterà soltanto di un periodo o di un cambiamento permanente, che porterebbe stabilmente i Diavoli Rossi a giocarsi Mondiali ed Europei.

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