“Un pazzo che guarda calcio tutto il giorno”: ‘El Loco’ Bielsa alla conquista della Premier
Nell'estate del 2004, mentre la città di Leeds piangeva la retrocessione in seconda divisione inglese tredici stagioni dopo il suo terzo titolo di campione d'Inghilterra e dopo dodici annate di seguito in Premier League, nella lontana urbe argentina di Rosario Marcelo Bielsa prendeva un respiro dopo cinque intensi anni alla guida della Selección. Rinchiuso nella sua casa con vista sul fiume Paraná, il tecnico argentino proclamatosi campione olimpico ad Atene il 28 agosto si prendeva un periodo di riflessione alla fine del quale, il 15 settembre, avrebbe rassegnato le dimissioni alla federcalcio argentina.
Il capolavoro olimpico
Stanco delle pressioni dei media del suo paese, che ancora non gli perdonavano l'eliminazione ai gironi dei mondiali del 2002, il rosarino aveva dato un passo indietro nonostante l'appoggio totale dei suoi calciatori.
Tra i tanti Javier Saviola, all'epoca al Barcellona e parte della rosa campione olimpica: "La medaglia d'oro fu il giusto premio al lavoro di Bielsa – ha raccontato a Fanpage.it –. Poche settimane prima avevamo perso la finale della Coppa America in rimonta contro il Brasile e la nazionale maggiore era devastata psicologicamente". L'ex blaugrana ricorda che fu fondamentale il lavoro psicologico dell'allenatore: "Bielsa aveva formato un gruppo compatto, nel quale solo tre erano i veterani. A lui piace lavorare con i giovani e forse fu proprio quella la chiave del successo della nostra spedizione. Ci convinse che potevamo trionfare ad Atene, nonostante alcuni di noi venissero dalla cocente delusione per la sconfitta in finale di Coppa America. E la vittoria ad Atene fu la degna chiusura del suo percorso in nazionale".
Il culto della personalità
Praticamente agli antipodi di Rosario, geograficamente e culturalmente, Leeds è solo l'ultima tappa della continua mistificazione di Bielsa, un guru del calcio capace di andare sempre al di là dei risultati ottenuti per il suo modo di vivere la passione per uno sport nel quale è sempre stato direttore tecnico. Come accade nella sua città natale, dove i tifosi lasciano ogni giorno messaggi o dispacci a lui rivolti presso l'edicola di un suo amico fraterno nel barrio Martin, l'argentino ha sviluppato, senza volerlo, un autentico culto alla sua personalità.
Proveniente da una famiglia dell'alta borghesia argentina, ‘El Loco', come lo ribattezzò un suo calciatore al Newell's Old Boys per i suoi rigidi metodi di allenamento, si è invece sempre sporcato di fango dal primo giorno in cui giocava a calcio per le strade di Rosario. Durante la sua adolescenza, quando gli infortuni e la tendenza a prendere peso non erano ancora sopraggiunte a frenare la sua evoluzione calcistica, il giovane Marcelo accumulava disaccordi con le autorità e dedicava la sua vita totalmente al calcio. Memorabili resteranno i suoi viaggi con un FIAT 147 con il quale, a metà degli anni '80, percorse 8000 km in lungo e in largo nel cuore delle province argentine per scoprire talenti puri come Gabriel Batistuta, al quale dava un alfajor (tipico dolce argentino) dopo ogni gol, o Mauricio Pochettino.
"Un pazzo che guarda calcio tutto il giorno"
Bielsa non gira più in una vecchia utilitaria, ma continua a essere visto come "Un pazzo che guarda calcio tutto il giorno. Non esiste una squadra che non conosca a menadito. Parliamo di una persona che vive il calcio a 360 gradi", come dice a Fanpage.it Carlos Gurpegi, ex capitano dell'Athletic Bilbao e allievo dell'argentino dall'estate 2011 all'estate 2013. Il difensore basco visse un'esperienza paradossale durante la prima stagione agli ordini di Bielsa, quando si ruppe il legamento crociato a novembre: "Appena arrivai all'allenamento per comunicare il mio infortunio, Marcelo mi si avvicinò e mi abbracciò, sussurrandomi all'orecchio ‘adesso non potrai allenarti ma ho dei compiti per te'. Praticamente mi aveva assunto come terzo allenatore e toccava a me dare una mano a lui e al suo secondo nell'analisi dei futuri avversari".
Quella sorta d'investitura aprì la mente di Gurpegi, il quale ammette di dovere tantissimo all'argentino: "Mi ha reso un calciatore migliore, oltre a farmi capire davvero qual è la vera bellezza del calcio. Inoltre il suo gioco è sempre pulito, offensivo, spettacolare, e con i suoi metodi di allenamento e la sua retorica è capace di portarti sempre oltre i limiti fisici e mentali".
Un modo diverso di vivere la sconfitta
Anche a Marsiglia, dove un suo speech in seguito a una sconfitta contro il PSG è diventato un manifesto pubblico della sua filosofia relativa al "riconoscimento della sconfitta per migliorare", lo ricordano con tanto affetto, nonostante Bielsa abbia allenato l'Olympique solo per una stagione. René Malleville, 73enne e storico tifoso dell'OM, è ancora, cinque anni dopo il suo addio, tra i più grandi estimatori dell'allenatore argentino, un uomo "che vive calcio, mangia calcio, respira calcio, caga calcio".
Adesso che, a 65 anni, continua a reggere i suoi quasi 100 kg sulle sue solide ginocchia mentre guarda le partite dei suoi, disdegnando il comodo appoggio della panchina, Bielsa ha imparato a soffrire meno, o forse meglio. E si trova davanti alla grande sfida della Premier League, competizione nella quale ha debuttato una settimana fa facendo tremare il Liverpool ad Anfield.
Probabilmente anche quest'anno non vincerà nulla, ma "quel che è certo è che non è nessun perdente, perché tutte le squadre dove lui passa restano marchiate a fuoco dalla sua idea di calcio", aggiunge Gurpegi. Come da lui stesso detto ai tempi di Marsiglia, "preferisco l'amore e la stima dei tifosi ai titoli". E a Leeds, come a Rosario, Marsiglia, Bilbao e in Cile, possono tutti testimoniare che la sua Champions League è quella vinta sugli spalti, tra "i tifosi, i veri protagonisti del calcio", come lui stesso li definì tempo fa.