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Tutti i limiti e gli errori di Gattuso messi a nudo dal Verona di Juric

Al Napoli come al Milan, Gattuso ha perso ancora una volta la Champions all’ultima giornata. Per qualche punto in più sprecato per strada. Lasciando dietro di sé una scia di veleno. Perché l’Hellas abbia giocato la partita della vita conta poco, è roba da bar sport. La realtà è che tra andata e ritorno non ha mai capito come affrontare e battere un bel gruppo di giovanotti messi bene in campo.
A cura di Maurizio De Santis
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Aveva sofferto e perso male al Bentegodi. Ha fatto peggio al Maradona (che D10s li perdoni). Annullato, colpito e mandato al tappeto. Il doppio confronto con il Verona traccia l'assoluta inadeguatezza sulla panchina del Napoli di Gennaro Gattuso. È l'alfa e l'omega di ciò che ha rappresentato la sua esperienza. Non è mai riuscito a dare una lettura diversa alla partita, trovare un'alternativa all'unica cosa che aveva in mente: costruzione dal basso ostinata per puntare tutto sui lanci verso Osimhen, bloccato da Gunter (non Baresi). Non è un brocco oggi, nemmeno è mai stato quel calciatore (come Cavani e Higuain) la cui assenza pesa (e come). Semplicemente, anche le sue qualità vanno gestite e indirizzate per evitare che vada a schiantarsi.

La mano dell'allenatore anche in questo senso non s'è mai vista. Anzi, proprio il match con gli scaligeri sconfessa l'attenuante finora usata per giustificare le difficoltà della squadra: Gattuso aveva l'attaccante nigeriano nella forma migliore ma qualcosa non ha funzionato (copione già visto con il Sassuolo, sempre tra le mura amiche). E la questione emotiva c'entra fino a un certo punto.

Il pareggio per 1-1 (in casa, senza quasi mai tirare nello specchio della porta e dopo essere passato addirittura in vantaggio nonostante una pessima prestazione) scandisce il fallimento di una stagione che la squadra aveva in pugno assieme al proprio destino: s'è buttata via a un passo dal traguardo. E il gol subito in quel modo? È bastato un lancio dalla metà campo avversaria per mandare all'aria il castello di carta.

Tra andata e ritorno la squadra di Juric ha conquistato 4 punti, segnato 4 reti, fatto scomparire la palla e neutralizzato l'unico sistema di gioco che l'avversario avesse a disposizione per propri limiti tattici. Non è Guardiola, né Mourinho, né Allegri. Ha solo fatto bene il suo mestiere. Tra andata e ritorno Gattuso non ha mai capito come affrontare e battere un bel gruppo di giovanotti messi bene in campo. E le ha prese sul muso, consegnandosi all'avversario (anche) per la testardaggine di tenere in campo un lento/lentissimo Bakayoko (che fine ha fatto Demme?) e lasciando il fianco destro sguarnito con Di Lorenzo smarrito nella tormenta (perché Lozano è stato preferito a Politano?). Lui va via, i cocci restano qua. Perché l'Hellas abbia giocato la partita della vita conta poco, è roba da bar sport. I fatti dicono che hanno prevalso confusione (5 attaccanti e niente centrocampisti nel finale) e paura (eccessiva).

Messo da parte il folklore del ‘ringhio', del veleno, del sergente di ferro, dell'uomo tutto d'un pezzo, della mistica del gruppo pronto a gettarsi nella fiamme per lui cosa resta della sua avventura? Un settimo e un quinto posto (che definì "imbarazzante" quando prese il posto di Ancelotti trattando con De Laurentiis alle spalle dell'amico), due anni fuori dalla Champions con un ridimensionamento ulteriore degli introiti già gravati dalla pandemia, la percezione di una splendida incompiuta, l'onere e i rischi di una ripartenza con meno soldi in tasca per il futuro prossimo. De Laurentiis lo ha messo alla porta con un tweet, liberandosi di lui in fretta come si scaccia con la mano una mosca fastidiosa. Al Napoli come al Milan, Gattuso ha perso ancora una volta la Champions all'ultima giornata. Per qualche punto in più sprecato per strada. Lasciando dietro di sé una scia di veleno.

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Da venticinque anni nel mondo dell’informazione. Ho iniziato alla vecchia maniera, partendo da zero, in redazioni che erano palestre di vita e di professione. Sono professionista dal 2002. L’esperienza mi ha portato dalla carta stampata fino all’editoria online, e in particolare a Fanpage.it che è sempre stato molto più di un giornale e per il quale lavoro da novembre 2012. È una porta verso una nuova dimensione del racconto giornalistico e della comunicazione: l’ho aperta e ci sono entrato riqualificandomi. Perché nella vita non si smette mai di imparare. Lo sport è la mia area di riferimento dal punto di vista professionale.
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