Trentalange a Fanpage: “Trasparenza e comunicazione, così cambio il mondo degli arbitri”
In campo col fischietto tra le labbra dall’età di quindici anni, cominciando dal settore giovanile fino all’esordio in Serie A nel 1989 in un Napoli-Pisa con Maradona in campo. La Champions League e le gare tra nazionali, poi il ritiro e la stella d’argento al merito sportivo del Coni. Componente della Commissione arbitrale Fifa dal 2012 al 2016, Referee instructor Uefa dal 2017: Alfredo Trentalange ha sempre vissuto per gli arbitri, e oggi scende in campo per diventarne rappresentante, sfidando Marcello Nicchi per la presidenza dell’Aia. Non dimentica, però di essere nato come “uomo di campo”. Ne parla a Fanpage.it, in una lunga chiacchierata.
Partendo proprio dal campo, lei ha arbitrato in quella che a guardarla oggi sembra un’altra epoca. Secondo lei l’arbitraggio è cambiato? E se si, in cosa?
"Innanzitutto è cambiata la tecnologia a disposizione, per esempio con il Var, la Goal Line Technology, il numero delle telecamere. E questo ha cambiato anche il modo di stare in campo: per quanto anche prima le terne fossero allenate e comunicassero, oggi la squadra arbitrale è sempre più allargata, basti pensare a quelli che erano gli addizionali e alla stessa Var. Oltre a questo, sono cambiate molte regole e il gioco che oggi è molto più veloce".
Il calcio oggi è molto più simile a una scienza
"È così. Pieno di dati per così dire “oggettivi”, che possono aiutare l’arbitro a diventare anche un “ricercatore”, capace di associare l’utilizzo della tecnologia allo studio delle tattiche, dei movimenti, delle dinamiche delle partite per massimizzare concetti basilari dell’arbitraggio, come quello di “proximity” (vicinanza all’azione, ndr). Un modello di arbitro-ricercatore che eserciti autorevolezza ma non autoritarismo e che faccia della comunicazione uno strumento efficace".
Come slogan della sua campagna lei batte molto sul fatto di essere “nuovi e diversi”. Ma per tanti anni è stato a capo del Settore Tecnico, proprio nella squadra di Nicchi. Cosa c’è di nuovo?
"La citazione completa recita “Per fare cose nuove e diverse, noi per primi dobbiamo essere nuovi e diversi”, che è un’assunzione di consapevolezza. Io e la squadra con la quale abbiamo progettato l’AIA del domani non siamo il “nuovo”, è vero, ma siamo l’esperienza che porta al nuovo. Un’esperienza che nasce anche dal lavoro al Settore Tecnico dove ho sperimentato non solo gli argomenti di campo di cui abbiamo già parlato, ma anche che si cresce non solo per didattica ma soprattutto per confronto. Per cui, intanto possiamo cominciare dal lavoro di squadra come elemento distintivo, dobbiamo lavorare sulle competenze, sull’innovazione, la progettualità. Vogliamo portare i principi che affermavamo al Settore Tecnico, tecnica, etica, organizzazione, umanizzazione, all’interno del management dell’AIA. E’ una mentalità e un’impronta di netta discontinuità".
Quali sono tre caratteristiche per lei imprescindibili per l’Aia del futuro, e perché
"Condivisione, Trasparenza, Comunicazione. Gli arbitri hanno tutti gli strumenti culturali per migliorare la comprensione di loro stessi. La preparazione fisica, quella tecnica, i sacrifici che si compiono per arrivare a certi livelli, come si prepara una gara, quanto si deve studiare. Per noi il tema della Trasparenza è centrale tanto che renderemo pubbliche le linee guida, bilanci, retribuzioni e contratti. Inoltre condivideremo con arbitri, assistenti e osservatori in tempo reale i voti, le posizioni in classifica, le relazioni degli OT per evitare che a fine stagione ci siano anomalie come già successo".
“Condividere” sembra essere una parola chiave. Quando lo dice intende condividere… con tutti? Quindi gli arbitri per lei dovrebbero parlare?
"Fatti salvi alcuni episodi che devono essere giudicati dal giudice sportivo, se sussistono le condizioni ambientali per farlo e intendo il rispetto reciproco che ci deve essere tra tutte le parti in causa, arbitri, giocatori, allenatori e giornalisti, non vedo perché non ci possano essere momenti di lettura comune di episodi".
Che ne pensa del progetto di cui parla Nicchi ultimamente di una “sala Var” unificata?
"Avere un’unica stanza per gli arbitri al monitor è utile perché può essere uno strumento di comunicazione e formazione. L’ho vista all’opera ai Mondiali di Russia ai quali ero presente come istruttore FIFA e credo possa essere una buona soluzione che va accompagnata a momenti formativi comuni".
Posto che spetta all’Ifab stabilire protocolli e linee guida, c’è qualcosa che cambierebbe nell’uso della tecnologia?
"Non si conosce ciò che non si sperimenta, si potrebbe discutere la chiamata dell’allenatore per quanto riguarda il ricorso al VAR ma spetta appunto all’IFAB stabilire i protocolli".
Dopo anni al vertice in Italia e nel mondo l’Aia appare un po’ in difficoltà sui nomi. L’unico Elite è Orsato, ad esempio, e ci sono sempre meno internazionali. I grandi di un tempo si sono ritirati e sembra non esserci un ricambio adeguato. Come si inverte la rotta? A quando un nuovo Rizzoli, un nuovo Collina? Oggi occupiamo posizioni dirigenziali apicali ma in campo stiamo scomparendo.
"Dobbiamo velocizzare la carriere e dobbiamo rivedere i limiti di età. Mi spiace molto che un grande arbitro come Rocchi, ad esempio, non abbia avuto una deroga che ci avrebbe permesso di avere due arbitri ai prossimi Europei. Abbiamo bisogno di un programma di formazione strutturato che parta dai giovanissimi fino alla Serie A, la progettualità è essenziale. Gli Organi Tecnici devono parlare di più tra loro, deve essere maggiore coordinamento. In più dovremo aprirci a strumenti tecnologici che analizzino le con dati oggettivi le performance, come già accade in molti club con la figura del match analyst".
Nel suo programma c’è un esplicito riferimento all’obbligo di “due mandati non derogabili al presidente”: sembra una frecciata a Nicchi.
"Fin dall’inizio la mia campagna è sempre stata di proposta e mai contro. Sono convinto che 8 anni sia un arco temporale congruo per verificare se verificare se i progetti messi in campo abbiano raggiunto gli obiettivi prefissati. Questo vale per il Presidente dell’AIA, ma non per i Presidenti di Sezione, che vivono i contesti territoriali e rappresentano sono realtà tra loro molto diverse tra loro, che vogliamo condividere per trovare soluzioni comuni. “Se il tuo problema è anche il mio, allora è la Politica, con la P maiuscola, altrimenti se ognuno si risolve il proprio problema è l’Avarizia”, per citare Don Milani".
Capitolo violenza sui direttori di gara: l’ultimo documento pubblicato dall’Osservatorio riporta i dati della stagione 2018-19: 457 episodi, con picchi altissimi in seconda e terza categoria, soprattutto al sud. Come si combatte questa cosa?
"Con la cultura. Ovviamente, e direi anche purtroppo, non possiamo prescindere dai metodi repressivi, quindi bisogna punire chi compie atti di violenza. Ma la soluzione strutturale al problema è nella cultura. Con il doppio tesseramento, lasciando che i giovani calciatori possano anche arbitrare e toccare con mano questa che è un’esperienza formativa di grande spessore, possiamo provare ad abbattere quel muro che si crea tra chi gioca e chi arbitra. E poi ci sono altre opportunità legate anche allo sviluppo di progetti insieme all’ANCI, al MIUR e alle istituzioni coinvolte nella formazione dei giovani. Possiamo rinforzare i canali di comunicazione con la Federazione, con le leghe, con l’AssoCalciatori e con gli allenatori. Qualcosa già si è fatto ma possiamo fare di più. In più possiamo potenziare la comunicazione “formativa” del regolamento, aprire spazi come i Webinar, che ormai sono una cosa piuttosto comune, aperti a tutti".
Si, ma l’Aia ha sempre meno iscritti: negli ultimi 6 anni si sono persi addirittura 6.099 associati. Come si convince un giovane a fare l’arbitro?
"Si convince con la formazione, con il doppio tesseramento, con incentivi, con la revisione dei rimborsi. Oltre a questo, un ruolo importante lo gioca il fattore emozionale, un senso di appartenenza che raccoglie tutti i fattori menzionati ma che li arricchisce con orgoglio e un sano e virtuoso senso civico. Parafrasando Don Bosco, “Prima che bravi arbitri, dobbiamo creare bravi cittadini”".
Sembra che lei voglia puntare molto sull’identità: che cos’è essere un arbitro per lei?
"Uno strumento di Pace che esercita il suo potere in una logica di servizio. L’arbitro è quella figura che permette alle partite di finire perché è la rappresentazione in campo dei valori dello sportività e della giustizia. Mi spiego: un giocatore che ha subito condotta violenta in area di rigore avversaria, non cerca vendetta perché sa che gli viene resa giustizia attraverso la sanzione impartita dall’arbitro, nel caso specifico l’espulsione e il calcio rigore a favore della sua squadra. In campo il lavoro dell’arbitro comincia e finisce con una stretta di mano".
Prima ha menzionato l’aumento dei rimborsi per gli arbitri. Ci sarebbe anche il problema dei tempi lunghissimi di erogazione. Da dove prendere questi soldi?
"Ci sono capitoli di spesa che vanno razionalizzati e siamo sicuri che con una politica di comunicazione e, come si dice nell’ambiente del marketing, di “brand positioning” ci aiuterà molto a dare maggiore valore proprio al brand AIA e aprire relazioni commerciali che, in questo senso, renderanno sostenibili questa progettualità".
Lei sa perfettamente di essere visto come una “rivoluzione” da tantissimi. Sente la pressione di tutte queste promesse?
"Noi abbiamo proposto un progetto per un’AIA che metta al centro valori di Condivisione e Trasparenza. Un’AIA capace di rinnovarsi. Lo abbiamo fatto in oltre 90 ore di videocall con tutti i Presidenti di Sezioni e Delegati. Il programma è stato elaborato nel corso dei mesi precedenti e lo abbiamo arricchito con le proposte raccolte proprio nel corso di queste call. La promessa che abbiamo fatto è stata la creazione un “Tavolo dei Presidenti” sul territorio per condividere problematiche e risorse. Per questo ci metteremo tutto il nostro impegno. Si può fare".