Thuram a Fanpage: “Chi è neutrale sul razzismo va nella stessa direzione dei razzisti”
Lilian Thuram conosce bene l'Italia. La definisce "la mia seconda casa" in una lunga chiacchierata con Fanpage.it sul tema che più gli sta a cuore: la lotta al razzismo, nel calcio e nella società. Portatore di valori importanti già nel corso della sua carriera da calciatore, dopo il ritiro l'ex campione di Parma e Juventus ha iniziato un percorso votato all'impegno sociale e alla sensibilizzazione su temi delicati, dall'immigrazione alle diseguaglianze. Nel 2008 ha dato vita alla ‘Fondazione Thuram' per l'educazione contro il razzismo. Da lì in avanti la sua battaglia si è spostata su carta, attraverso i suoi tre libri (pubblicati per Add Editore): ‘Le mie stelle nere', ‘Per l'uguaglianza' e ‘Pensiero bianco'. Nella sua ultima opera Thuram cambia punto di vista per provare a cambiare la realtà. Quella che ancora oggi racconta di razzismo negli stadi italiani, con Kalidou Koulibaly preso di mira con offese a sfondo razziale. "È un problema di mancata conoscenza della storia", ci racconta Thuram.
Lilian Thuram, cosa intende quando parla di pensiero bianco?
“Per me il pensiero bianco è l’ideologia politica che ha costruito l’idea della superiorità della ‘razza’ bianca ovunque nel mondo. Dire che uno è bianco o non bianco vuol dire tanto: c’è una storia e vorrei che la gente conoscesse questa storia, che conoscesse chi ha creato questi meccanismi. Oggi si indica una persona nera come una persona di colore. Per me è molto più interessante chiedersi questo: il bianco non è un colore? Che cosa vuol dire essere bianco? Perché i bianchi si vedono diversi dagli altri?”.
Quando si parla di questo argomento, si parla anche di lotta di classe. Che vantaggio le ha dato la popolarità e il successo in questo senso?
“Quando si subisce il razzismo si riceve una violenza alla nostra autostima. Anche lo sguardo della gente fa capire tanto, e a volte è più violento della parola. Il fatto che io fossi un calciatore garantiva comunque un'alta autostima: guadagni bene e diventi un giocatore della nazionale francese. La gente ti riconosce come francese e ti rispetta. Questo vuol dire che puoi fare un lavoro che ti dà anche il coraggio di parlare. Ci sono tante persone, non bianche, di un certo livello, che non denunciano il razzismo della società perché hanno paura. La storia dimostra che quando si affronta una tematica come questa, si paga sempre un prezzo. Per questo faccio sempre l'esempio di Nelson Mandela e Martin Luther King che sono andati in galera e hanno pagato la loro voglia di far sentire la propria voce contro il razzismo. Io ho capito che questa libertà era una fortuna per me e spesso quelli che hanno avuto questa fortuna sono gli sportivi di grande popolarità. Io non voglio aggredire la gente, voglio farla riflettere: perché accettate il razzismo?”.
James Baldwin parla di come ai neri non sia permessa la rabbia a differenza di quanto “concesso” ai bianchi, lei ci si ritrova?
"Innervosirsi è peggio, perché la gente poi crede che tu possa essere violento. Dobbiamo controllare il nostro corpo perché tanti hanno paura del corpo nero. Nel calcio, quando il giocatore nero ascolta i buu razzisti allo stadio, si arrabbia, l'arbitro estrae il cartellino giallo e lo ammonisce per tranquillizzarlo. A volte però, il giocatore in questione vuole anche uscire dal campo. Sarebbe meglio controllarsi, questo è il pensiero bianco. Il razzismo è un problema dei bianchi, questa è la realtà. La gente non capisce che noi tutti siamo il frutto della storia. Tante persone non capiscono perché non conoscono la storia”.
A un certo punto ha pensato di non parlare più di razzismo con le persone bianche, per citare la scrittrice Reni Eddo-Lodge?
"Per me è impossibile cambiare le cose senza parlare con i bianchi. È difficile perché alcune persone bianche non capiscono niente del razzismo e vogliono dirti cosa pensare. A volte provano a metterti il dubbio che le vittime del razzismo siano i razzisti. Ma è un po' come per il sessismo: per cambiare le cose devi educare gli uomini”.
Possiamo dire che c’è ancora razzismo nel mondo del calcio?
“Io credo che il razzismo nel mondo del calcio sia dovuto al razzismo della società. Ci sono persone che vogliono mettere sempre in cattiva luce lo sport. I buu allo stadio invece sono dovuti alla storia: i bianchi che fanno buuu perché non fanno i versi del gatto o del cane, ma il verso della scimmia? Perché durante i secoli la scienza e la politica hanno costruito l’idea che la ‘razza’ bianca era superiore alle altre ‘razze’ e la ‘razza’ nera era l’anello mancante tra l’uomo e la scimmia. Oggi quante persone pensano ancora che i bianchi sono superiori?”.
Durante gli Europei l’Italia ha fatto fatica ad inginocchiarsi contro il razzismo con una certa naturalezza, se n’è parlato per giorni. Che idea si è fatto vedendolo dall’esterno?
“Io ho giocato in Italia dieci anni. L’Italia è il mio secondo paese dopo la Francia. Conosco la mentalità italiana e non mi stupisco di tutto ciò. Ci sono tante persone che quando parlano di razzismo credono di poter essere neutrali. Invece la neutralità non esiste perché essere neutrali vuol dire che si va nella stessa direzione di chi è razzista. Alla fine mettersi in ginocchio che vuol dire? Vuol dire che si sta aiutando la società a diventare più giusta. La gente che si inginocchia vuole denunciare l’ingiustizia che tocca i neri. Le persone che non vogliono inginocchiarsi, sono quelle a cui non interessa che cosa la società fa ai neri”.
Tra gli stessi calciatori c’è stata diversità di vedute sul tema. È corretto dire che il razzismo nel calcio va oltre i cori che possono arrivare dagli spalti ed è un problema più profondo?
“C’è molta ipocrisia e non mi stupisce, perché la maggior parte dei bianchi se ne frega del razzismo. Secondo loro questo è un tema che tocca solo le persone che lo subiscono e basta. Quando c’erano i buuu allo stadio ero sempre nervoso e tanti mi dicevano che non era una cosa grave. Io capivo che loro volevano aiutarmi però quello era allo stesso tempo un atteggiamento sbagliato. Quando dici "lascia stare” vuol dire che ciò che sta accadendo non è grave. Io sono arrivato in Italia nel 1996 e oggi nel 2021 la storia continua, vuole dire che umiliare i neri non è un fatto molto grave”.
Suo figlio Marcus è stato vicino ad un trasferimento in Serie A e chissà che non possa ripresentarsi in futuro questa possibilità. Come gli racconterebbe l’Italia?
“A lui dico la verità. Io ho vissuto dieci anni in Italia e sono stato molto bene, Marcus è nato in Italia, parla italiano e vuole giocare per una grande squadra e se una big lo vuole deve solo essere felice per questo. L’Italia non è soltanto buuu razzisti e non è nemmeno fatta di sole persone razziste”.
Si è fatto un’idea sulla partenza difficile della Juve?
“Mi stupisce che la Juventus abbia iniziato così il campionato. È veramente strano. Per sapere cosa sta accadendo bisogna essere dentro la società. L’unica cosa che si può dire è che la Juve è un grande club e verrà fuori da queste situazioni".
Conosce la famiglia Agnelli e anche il mondo Juve. Si aspettava potessero farsi promotori di un progetto come la Superlega?
“Non c'è una risposta rapida da dare. Il calcio secondo me è l’immagine della società dentro la quale viviamo. Alla fine l’idea della Superlega dice delle cose della nostra società".
(servizio di Francesco Raiola e Fabrizio Rinelli)