Stellini in lacrime in conferenza stampa: ma non c’entrano né il Tottenham né Conte
Il Tottenham riparte da Cristian Stellini dopo lo shock della separazione da Antonio Conte, decisione apparsa inevitabile dopo il clamoroso sfogo del tecnico pugliese nel dopo partita del deludente pareggio in casa del Southampton ultimo in classifica. Un 3-3 – dal vantaggio di 3-1 per gli Spurs – che ha fatto esplodere l'ex allenatore di Juventus e Inter, che ha sparato a zero sui giocatori ma anche sul club, sottolineandone la storia di insuccessi negli ultimi anni.
La dirigenza della società londinese ha optato per una soluzione di ‘traghettamento' fino al termine della stagione, promuovendo a primo allenatore l'ex vice di Conte (dai tempi dell'Inter, nel 2019) Cristian Stellini, che già aveva iniziato la sua carriera come assistente in panchina del tecnico leccese nel 2010, entrando nel suo staff al Siena e poi alla Juventus, dopo essere stato un suo giocatore l'anno prima al Bari. Toccherà dunque al 48enne milanese provare a salvare la stagione degli Spurs, conservando l'attuale quarto posto che vale la Champions: un'impresa molto difficile, considerando che hanno due partite in più degli inseguitori.
Il cammino di Stellini inizierà domani col posticipo in casa dell'Everton, un match presentato in una conferenza stampa in cui c'è stato un momento di profonda commozione del tecnico per motivi non legati al suo attuale impiego al Tottenham o alla situazione emotivamente pesante degli ultimi tempi con Conte. È stato quando gli hanno chiesto del suo lavoro in panchina con i Survivor: accadde quando – dopo essersi dimesso da assistente di Conte alla Juve nell'agosto del 2012 per il suo coinvolgimento nello scandalo del calcioscommesse, che portò alla sua squalifica – in quel periodo, in cui non gli fu consentito lavorare nel calcio professionistico, decise di allenare a Torino una squadra composta da rifugiati e richiedenti asilo, chiamata appunto Survivor.
Sotto la sua guida, i Survivor hanno conquistato il titolo del Balon Mundial, un torneo delle comunità migranti organizzato dalla UISP in diverse città italiane. Quando ha iniziato a parlare di quel periodo, Stellini si è commosso, gli occhi gli si sono inumiditi e ha soffocato a fatica le lacrime per poter parlare: "È molto emozionante parlare di quell'esperienza. Mi ha permesso di crescere come uomo, non come professionista, perché loro non erano professionisti, erano rifugiati. Hanno cercato di avere qualcosa di nuovo nella loro vita".
È stata un'esperienza che ha mostrato a Stellini che i suoi guai di allora non erano niente rispetto a quelli delle persone che allenava: "No, esattamente. Quella era l'importanza del mio lavoro lì e quello che ho imparato è stato che a casa avevano più problemi di me. Ovviamente ero triste per la mia situazione, ma loro hanno sorriso, hanno lavorato sodo. Avevamo 35 persone che sono venute al campo senza scarpe, solo con i calzini e hanno detto: ‘Posso allenarmi?'. Abbiamo detto: ‘Sì, puoi, ovviamente, ma hai bisogno di scarpe'. Hanno detto: "Scarpe? Io gioco senza scarpe'. E noi: ‘Come puoi giocare senza scarpe contro giocatori con i tacchetti? È pericoloso per te'. ‘No, non è pericoloso, non ti preoccupare'. E ho formato 35 persone così".
"Ricordo che ce n'era uno dall'Afghanistan, molti dal Marocco, molti dal Ghana, Repubblica Democratica del Congo, molti altri dall'Africa – ha spiegato Stellini, che già aveva sostituito con successo Conte durante la convalescenza post operatoria del leccese – Il ragazzo dell'Afghanistan aveva una grande storia. Ha provato a venire su un gommone ma lo hanno riportato in Turchia non una ma tre volte. Il passo successivo per lui è stato nascondersi in una grossa ruota di scorta. Si è nascosto lì fino alla Grecia, per forse 24 ore, e quando è arrivato lo hanno tirato fuori tutto raggomitolato e gli era impossibile stendere le gambe, da lì è scappato ed è venuto in Italia. Era un pugile e anche un uomo non perfetto. Era colpevole di qualcosa e doveva nascondersi in Italia e aveva bisogno di un avvocato, ma veniva ad allenarsi ogni giorno con un sorriso e si faceva chiamare ‘Robben'. Ha detto: ‘Devi chiamarmi Robben, devi chiamarmi Robben'. Mi hanno insegnato molte cose su come godermi la vita".
"Questa è la vita vera, non cerco di raccontare una storia falsa, questa è la vita vera – ha continuato Stellini – L'ho vissuta. Abbiamo giocato tante partite e con loro ho vinto un torneo. Era un torneo con le squadre nazionali della Nigeria, del Marocco, del Brasile… Avevi bisogno di sette giocatori provenienti dal Brasile per giocare una partita e chiamarti Brasile o Perù… Noi eravamo l'unica squadra con così tanti rifugiati. Abbiamo vinto, ma abbiamo vinto con un portiere con un occhio solo. Ho visto questo ragazzo per la prima volta in panchina e ho detto: ‘Chi è questo?'. Abbiamo cambiato tanti giocatori perché a volte arrivavano e a volte no. Io chiedevo dove fosse qualcuno e loro dicevano: ‘Non lo sappiamo', ‘Okay, chi gioca lì?', gli chiedevo io allora".
L'allenatore del Tottenham ha poi raccontato un aneddoto sul portiere semivedente: "Eravamo in questo torneo e tutti i giocatori mi hanno detto: ‘Se andiamo ai rigori, deve fare lui il portiere'. Io ho detto: ‘Ma è senza un occhio?'. E loro: ‘Ma lui è il miglior portiere, para ogni rigore'. In semifinale e finale ha parato tre rigori e abbiamo vinto il torneo. Ho detto: ‘Com'è possibile?'. E loro hanno detto: ‘Riguarda il desiderio'. Era del Marocco. È stata un'esperienza incredibile".
Stellini ha ricordato quando gli è stato chiesto per la prima volta se voleva entrare a far parte della squadra di rifugiati di Torino: "Un amico mi ha detto ‘Se vuoi aiutarmi, Cristian, sarà una bella esperienza', e io ho detto: ‘Perché no?'. Ho provato a spingerli dicendo: ‘Sapete, i giocatori professionisti fanno questo, e dovete migliorare facendo questo…'. E sapete, mi hanno ascoltato. Venivano da molti Paesi, dall'Africa inglese e dall'Africa francese, erano francofoni e anglofoni, e ogni giorno, ad ogni allenamento, le due parti litigavano ed era un problema. Dovevamo dividerli, erano persone grosse e cattive. Quindi è stato un grosso problema, ma ho usato il calcio per creare un'unità. È stata una grande esperienza. Potrei scrivere un libro".
Stellini, che è rimasto in contatto con alcuni dei Survivor attraverso i social, ha spiegato con orgoglio che uno di loro adesso ha una laurea in ingegneria chimica. Ecco perché quando gli è stato chiesto se il Tottenham sia in crisi in questo momento, ha risposto negando che una parola del genere possa essere usata per descrivere una squadra di calcio al quarto posto in Premier League e più in generale un gruppo di persone profumatamente pagate che può svolgere il proprio lavoro serenamente: "Non puoi sentire che è una crisi quando hai un club intorno a te, quando hai dei tifosi intorno a te. La crisi è una cosa diversa. Crisi significa che non puoi giocare a calcio, quando avevamo il Covid, quella era una crisi per tutti. È una crisi quando non hai tifosi nello stadio". Con quel tipo di vissuto non si fa fatica a credergli.