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Stefano Tacconi: “Me la sono vista brutta, ma da quando mi sono risvegliato ho un progetto in testa”

Stefano Tacconi a Fanpage.it ripercorre il periodo più difficile della sua vita non usando nessun filtro, tornando sulla sua esperienza dopo l’aneurisma cerebrale e sbottonandosi anche sul calcio.
A cura di Vito Lamorte
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Stefano Tacconi sta vivendo la sua seconda vita. L'ex portiere della Juventus e della Nazionale Italiana si sta riprendendo dopo quel 23 aprile del 2022 che ha cambiato tutto e lo racconta in maniera molto tranquilla e pacata: "Non posso più vivere al massimo come ho sempre fatto, ma non voglio nemmeno privarmi di ciò che posso fare". 

Dopo l'aneurisma cerebrale, i quasi due mesi di coma e le tre operazioni subite, oggi Stefano Tacconi racconta tutto nel suo libro "L'arte di parare", edito da Rizzoli, e a Fanpage.it ripercorre il periodo più difficile della sua vita senza nessun filtro, tornando sulla sua esperienza e sbottonandosi anche sul calcio.

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Come sta oggi Stefano Tacconi?
"Sto meglio. Me la sono vista brutta e non è stato facile, ma adesso sto molto meglio dai".

Dopo quel 23 aprile 2022, una tappa importante per il suo percorso è stata la Casa Sollievo Ospedale di San Pio a San Giovanni Rotondo: l'ha definita un mix di scienza e fede. Per quale motivo?
"Io devo dire grazie a tutti i medici e i professionisti che mi hanno curato perché senza di loro non sarei così adesso, però la tappa di San Giovanni Rotondo per tutti noi è stata fondamentale. Io ho ripreso a fare cose che avevo praticamente dimenticato e la mia famiglia ha sentito il conforto di una comunità intorno. Non è facile trovare un ambiente così, per questo mi ha dato quella sensazione. Oltre alla medicina, ci si può rifugiare anche nella fede. Era questo il senso".

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Vialli le ha mandato un video in occasione del suo compleanno, mentre era ancora in terapia intensiva: ci sono stati altri ex compagni che le sono stati vicino in questo periodo?
"Sì, il video di Luca lo custodisce gelosamente mio figlio. Lui è sempre stato un generoso e manca a tutti. Tanti compagni mi sono stati vicini nei mesi scorsi, non faccio nomi perché non mi piace ma ognuno sa quello che ha fatto. Per quanto riguarda la cena, in realtà quando facciamo le partite con le Leggende della Juve e ci riuniamo ogni tanto ed è sempre un piacere passare qualche ora con amici e compagni. Abbiamo fatto tante cose belle insieme. Anche Totò Schillaci mi è stato molto vicino".

Che dispiacere la morte di Totò…
"Sì, una brutta botta per tutti… Quando è arrivato alla Juve io ero capitano ed era un po' il mio figlioccio. C’è stato subito feeling e sentivo che fosse giusto dargli una mano dato che si sentiva in difficoltà in ambiente nuovo per lui. Un’amicizia che durava ancora oggi. È difficile accettare la sua morte".

Era in tribuna per Juventus-Napoli: che effetto le ha fatto tornare allo stadio dopo tanto tempo?
"È stata una cosa fantastica, l'affetto del pubblico… è stato bello. La medicina mi ha aiutato ma stare in mezzo alla gente, la mia famiglia, mi ha aiutato moltissimo".

Il suo libro si apre con il racconto del gol su punizione preso da Maradona: che anni erano per il calcio italiano quelli rispetto a tutto ciò che è arrivato dopo?
"Non voglio parlare del livello tecnico e calcistico ma dei legami. Secondo c'era un livello diverso di umanità, di unione tra i calciatori negli spogliatoi e questo si vedeva anche fuori. Anche il nostro rapporto con i tifosi era diverso e, secondo me, c'era molto più affetto da parte dei tifosi nei nostri confronti rispetto ad oggi. Quando sono stato in Puglia venivano a trovarmi i tifosi degli Juve Club della zona: momenti bellissimi che mi hanno aiutato, come dicevo anche per lo stadio prima, nel mio percorso. I tifosi si legano a chi gli lascia qualcosa, per me ci vedevano molto più umani e molto più uniti".

A proposito di legami. Si è spesso parlato della sua rivalità con Zenga: cosa c’è di vero e cosa è stato ‘pompato’?
"Io e Walter siamo amici e spesso abbiamo giocato molto su questa cosa a livello mediatico. Non ci siamo mai tenuti niente l'uno per l'altro ma perché sapevamo che nessuno dei due era permaloso. Ci divertivamo a fare queste interviste particolari perché ci conoscevamo bene. La rivalità tra noi era esattamente quello che accadeva in campo, nulla di più".

Tacconi è uscito dal calcio senza mai rientrarci: le hanno mai proposto di fare l’opinionista in tv?
"Purtroppo ho una lingua un po' particolare e non credo che vogliano persone per fare il processino di tattica. In alcuni casi, senza fare nomi, sapessero almeno cosa dicono… e mi fermo qui. Sono stato sempre un po' atipico ed è meglio così, faccio meno danni (ride, ndr)".

La scuola dei portieri italiana è sempre stata florida e anche ultimamente ci sono diversi profili molto forti: a suo modo di vedere, c’è un nuovo Tacconi o qualcuno che ha le sue caratteristiche?
"Assolutamente no, perché è cambiato tutto. A me non piace il modo in cui mettono in difficoltà i portiere oggi con il gioco con i piedi. Per me il portiere deve parare come prima cosa, il resto viene dopo".

Lei ha vissuto la Juve di Maifredi e fino a qualche settimana fa veniva accosto al nome di Thiago Motta per il percorso in comune Bologna-Juve: credo che questa similitudine regga ancora dopo quasi 10 partite di campionato?
"No, no, assolutamente. Per me si tratta di due percorsi diversi. Poi, guarda, ho parlato con tanti che sono in contatto con Thiago Motta e sta facendo un lavoro strepitoso sia dal punto di vista del gioco sia perché parla con tutti nello spogliatoio e fa sentire i calciatori dentro il progetto. L'altro non faceva così, e lo capii subito. La dirigenza di allora, però, non diede ascolto a me e agli altri calciatori. Per questo motivo quell'anno la Juve finì fuori dalle coppe. Ce ne accorgemmo dalla Supercoppa Italiana persa malamente col Napoli. Bisogna dare un po' di tempo a Motta per fare il suo lavoro e non bisogna avere fretta".

Che impressione le ha fatto la Juventus col Napoli?
"Noiosa. Ma non è solo questa partita,  in generale nelle gare del calcio di oggi non vedi mai un'azione che dici ‘questa può essere pericolosa'. C'è un tatticismo esasperato che a volte fa diventare tutto più noioso. Allo stadio poi, lo percepisci di più. In tv c'è il telecronista che urla e pensi ‘che è successo' ma in realtà non è niente di che".

Tacconi ha sempre detto di sé ‘ho vissuto sempre al massimo, anche oltre’. Come vuole affrontare questa sua ‘seconda vita’?
"Naturalmente sto molto più attento alle cose che devo fare. Prima non mi bastava una giornata per fare quello che dovevo e volevo fare ma ora sono molto più tranquillo e poi ho i miei badanti, i miei figli e mia moglie, che mi tengono sotto controllo in ogni momento. Ho in mente un progetto con mio figlio, voglio aprire un ristorante dove le persone possano bere vino, abbiamo una cantina ad Alba, e mangiare a 15 euro. Ce l'ho in testa da quando mi sono risvegliato".

C'è una cosa che le manca più di altre?
"La libertà di fare ciò che mi passa per la testa ma, come dicevo prima, ora devo stare più attento a tutto".

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