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Stefano Borghi: “Spero che le italiane giochino una Champions League coraggiosa, così abbiamo ridotto il gap”

A Fanpage.it Stefano Borghi ha parlato delle sue impressioni sul nuovo format della Champions e delle altre competizioni europee, dello status e delle ambizioni delle italiane, svelando anche alcuni punti di vista interessanti sul mondo del giornalismo e delle telecronache.
A cura di Vito Lamorte
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Stefano Borghi è uno dei telecronisti più amati e apprezzati d’Italia da qualche anno. La sua voce ha raccontato momenti indelebili del calcio, italiano e internazionale, negli ultimi anni e da questa stagione porterà ai tifosi anche le emozioni della Champions League, visto che è entrato a far parte della grande squadra dei telecronisti di Sky Sport. 

Dopo l'esordio in occasione della Supercoppa Europea tra Real Madrid e Atalanta, Borghi sarà una delle voci che accompagnerà i tifosi e gli osservatori nel corso della stagione calcistica 2024-2025. Ha realizzato tra le 1.500 e le 2.000 telecronache ma farà il suo esordio in Champions con Bologna- Shakhtar Donetsk.

A Fanpage.it Stefano Borghi ha parlato delle sue impressioni sul nuovo format della Champions e delle altre competizioni europee, dello status e delle ambizioni delle italiane, svelando anche alcuni punti di vista interessanti sul mondo del giornalismo e delle telecronache.

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Il nuovo format della Champions League fa pensare e sperare in un torneo ancora più spettacolare?
"Ne sono convinto anch'io. Come tutte le cose nuove vengono prese sempre con un pochino di ritrosia. Prima di capirle davvero, però per l'idea che mi sono fatto è che effettivamente poi in corso d'opera troveremo grande divertimento, per molti motivi. Obiettivamente la fase a gironi della Champions League, come era prima diventava un po' noiosa, quasi inutile, soprattutto nelle ultime due settimane. Mentre questo formato ci garantisce il fatto che fino all'ultimo minuto dell'ultima partita ci saranno delle cose in ballo: le giornate sono otto, la classifica è molto corposa e io sono convinto che arriveremo al gran finale con differenze reti, parità di punti che ci faranno abbastanza palpitare. In più c'è il vantaggio che in tutte le settimane di gioco avremo delle grandi partite. Basti vedere solo il calendario delle italiane, con il Milan che apre con il Liverpool e poi andrà a Madrid, l'Inter che ha subito il Manchester City. Mi sembra veramente molto intrigante, per cui sono sicuro che, come al solito, molta gente si approccerà con un po' di ritrosia e poi si divertirà tantissimo"

La classifica generale e i playoff limitano ancora di più la possibilità di vedere ‘sorprese’ nella fase ad eliminazione diretta?
"Non ne sarei così sicuro. È vero che sempre ad una prima visione, ma la prima visione può essere superficiale, verrebbe da pensare cje le gerarchie saranno ancora più cristallizzate perché su un arco di otto partite con la classifica, la big è avvantaggiata rispetto all'outsider. Secondo me è vero fino a un certo punto, perché se nelle prime otto le sorprese sono meno probabili, ma dico meno probabili e non impossibili, e quindi questo secondo me un pochino ci sta; attenzione a tutta quella fascia che poi porta al cosiddetto playoff, perché secondo alcuni calcoli con 8, 9, 10 punti sei sicuramente nella fase del play-in quindi questa è alla portata di molti perché vuol dire dover vincere 3 partite. Poi, occhio, perché siamo così sicuri che nel momento in cui si giocheranno queste sfide dentro-fuori i valori non saranno ancora più livellati? Può stare meglio in quel momento di una squadra che è arrivata undicesima? Io non sono così sicuro, anzi potrebbe anche favorire delle sorprese. L'unica certezza che ho davvero su questa Champions è che verrà fuori qualcosa che ci divertirà tanto e che ogni minuto ci potrà portare anche delle sorprese perché essendo qualcosa che non siamo abituati in ogni minuto potrebbe saltar fuori qualcosa".

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Se per le pretendenti, probabilmente, dobbiamo andare a bussare sempre alle solite porte, che Champions può essere quella delle italiane?
"Quando si gioca la Champions League la squadra da battere è sempre il Real Madrid. E secondo me anche quest'anno la squadra più forte, se vogliamo parlare di squadra più forte, è il Manchester City. In questi primi passaggi di calcio, non so quanto siano indicativi perché si è giocato col mercato aperto o in questi calendari sempre più compressi, ma il Liverpool mi ha dato l'idea di un cambio che è piaciuto alla squadra e Slot è un allenatore molto interessante. Però, occhio a tante cose. Noi continuiamo a considerare la Premier League il campionato più ricco, numero uno al mondo, ed è vero, però, che i club inglesi in ambito internazionale devono recuperare un po' di smalto. Noi italiani partiamo sempre un po' rabberciati ma poi nessuno ci vuole incrociare perché sappiamo far girare l'invento dalla nostra parte, con la tattica, con l'astuzia e con la capacità proprio di giocare i ‘mano a mano' come dicono in Sud America. Mi auguro che sia una Champions coraggiosa quella delle italiane, lo stesso che ci ha portato a ad avere risultati in Europa negli ultimi anni. Noi partiamo con un gap che proprio il coraggio di certe idee e di certi modi di intendere cose ci ha portato a ridurre le distanze negli ultimi anni, che eravamo messi molto peggio".

Come stanno Inter, Milan, Juventus, Atalanta e Bologna?
"L'Inter è una big internazionale, la metti nel lotto delle big. L'anno scorso la Champions League è stata sfortunata perché è uscita ai rigori con l'Atletico Madrid e per come è stata eliminata mi fa parlare di sfortuna. L'anno prima è arrivata in finale con pieno merito. L'Inter è una big, ha operato anche sul mercato, e la mettiamo tra quelle 10-11 squadre che giocano il passaggio diretto. La Juventus è uno dei motivi di maggior curiosità della stagione europea perché è stato fatto un cambio radicale, perché Thiago Motta è un allenatore che a me intriga tanto e perché alla rosa ha messo degli elementi nuovi ed è una squadra che, secondo me, può avere anche caratteristiche internazionali. Ed è la Juventus, insomma. Con meno certezze logicamente rispetto all'Inter, però io mi aspetto una Juve protagonista su tutti i fronti. Il Milan è un grande mistero, perché è una squadra che per me a livello proprio di pedine, nel senso di caratteristiche e di valore, ma ha una necessità totale di trovare una struttura intesa come proprio assetto di squadra, sul campo e anche una struttura a livello comunicativo. Se si cementa e risulta un'entità in tutte le sue componenti, forte, coesa, allora è una squadra che può fare bene e può avere le caratteristiche per fare bene in Europa. Atalanta e Bologna parlano di quel coraggio che invocavo prima. L'Atalanta è arrivata a vincere l'Europa League affrontando Liverpool, Olympique Marsiglia, Sporting e Bayer Leverkusen in finale. Era sempre sfavorita, ha fatto il proprio calcio, ha mostrato le proprie idee e ha stravinto strameritatamente. Il Bologna è una Cenerentola e deve lavorare per giocarsi i play-off. Il cambio è stato molto forte, la partenza non è stata tanto buona, però io mi aspetto una grande spinta anche da parte dell'ambiente. La prima partita con lo Shakhtar se ci ragioni, e io l'ho fatto  perché devo andare a raccontarla, è importantissima. Se tu fai 3 punti, dopo ci sono sette partite in cui se ne fai 6 o 7 sei probabilmente nel play-off".

Sarà un format totalmente nuovo, quindi si verranno a creare delle nuove dinamiche che ad oggi possiamo solo intuire: a cosa bisognerà fare attenzione in particolare secondo lei?
"A tutto. È il torneo di più alto livello e più difficile in assoluto che ci sia nel calcio del club. Per cui lì sei all'eccellenza e sappiamo bene la vecchia definizione ‘il torneo dei dettagli'. Io credo che, dal punto di vista dell'approccio mentale, torno a quello che ho detto prima: il coraggio di vedere sempre la partita che hai davanti o la porzione di partita che hai davanti come un'opportunità e non come qualcosa da far passare. Penso possa essere questo".

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Sulla falsariga della Champions sono cambiate anche Europa e Conference League: Roma, Lazio e Fiorentina possono essere delle candidate ad arrivare in fondo?
"Se la devono giocare. La considerazione preliminare che faccio è che, dal punto di vista della sportività della competizione, a me piace molto che siano competizioni stagne. L'Europa League e la Conference League venivano, in qualche modo, modificate dalla discesa delle squadre la manifestazione più importante. Ora queste squadre si giocano la coppa ed è giusto che siano loro. Dopodiché, si aveva l'impressione di uno scadimento dei tornei secondo e terzo ma guarda i calendari di Roma e Lazio. Mi sembrano calendari tutt'altro che di secondo piano. Incroceranno squadre forti e sarà una competizione di alto livello.  La Fiorentina in Confederations League è un altro livello ancora. Ci sono i gradini, secondo me, ben definiti. La Viola in quella competizione deve anche un po' vendicare il destino avverso ma deve trovare tante cose per questa stagione. Roma e Lazio sono squadre in cerca di una dimensione, però se ti parlavo di coraggio per le italiane in Champions, per Europa League e Conference ti parlo di ambizione. Bisogna ambire ad arrivare fino in fondo e a cercare gloria in questi tornei".

Il racconto del calcio è cambiato tanto negli ultimi anni: l’Italia a che punto è in questa trasformazione? Abbiamo colto il cambiamento che c’è stato oppure inseguiamo anche in questo ambito?
"No no, sarà anche un po' di orgoglio di categoria, però secondo me il racconto del calcio in Italia è un racconto di altissimo profilo. Perché abbiamo tanti registi. Il cambiamento è sotto gli occhi di tutti, non solo nel racconto sportivo o nel giornalismo, ma in tutti gli aspetti della società. La trasformazione che c'è stata nell'ultimo ventennio è stata una delle più veloci nella storia dell'uomo. A me ogni tanto fanno anche un po' sorridere certe considerazioni nostalgiche ma se tu sei un appassionato di calcio, di sport, oggi puoi fruire veramente di tutto raccontato al massimo del livello: sia per quanto riguarda la cronaca del momento, sia per quanto riguarda il contorno dell'evento e per l'approfondimento. Dalla parte puramente giornalistica, con la possibilità in ogni momento di aprirsi una finestra sull'informazione a quella dello storytelling, a cui io sono particolarmente legato. In Italia abbiamo veramente dei maestri di caratura mondiale che hanno una capacità comunicativa di top livello e anche una spinta all'approfondire, a raccontarti delle emozioni incredibili. Poi aggiungo abbiamo anche grandiose capacità produttive perché i nostri prodotti non solo sono estremamente qualitativi dal punto di vista giornalistico e narrativo, ma sono anche molto belli da vedere. Le nuove modalità di fruizione on-demand sono tutte cose estremamente positive. Poi se vogliamo raccontarci altre, possiamo farlo, ma io da appassionato di calcio e sono anche uno tendenzialmente tradizionalista in tante cose, sono poco tecnologico, però a me il fatto di poter vedere una dietro l'altra tutte le partite di una giornata di Serie A o di Premier League per me è un miglioramento. Il modo in cui raccontiamo il calcio in Italia secondo me è assolutamente di altissimo livello. Anche lì ci sono tante opinioni di contrasto e poi c'è sempre la caccia all'errore, alla polemica, alla recriminazione ma è più un retaggio che rimane nell'opinione pubblica che non una realtà perché ripeto se poi analizziamo oggettivamente quello che viene fatto, è fatto tutto molto bene".

Telecronista, podcaster e talent: quale sarà la prossima avventura di Stefano Borghi?
"Se devo auto definirmi, ti dico telecronista. Quella è la mia tazza di tè, perché io adoro la partita. Poi mi è piaciuto tantissimo negli ultimi anni sviluppare anche la parte di studio, perché lì rispetto a quando fai la telecronaca c'è la possibilità di raffreddare un filino. La telecronaca è sempre un seguire il momento. Sullo studio c'è un pochino più di ragionamento. Podcaster, nel senso di narratore, quello credo che sia inevitabile perché mi piace troppo parlare e raccontare il calcio, ri-emozionarmi cercando di emozionare. Quella parte lì non ho nessuna intenzione di abbandonarla. Vediamo, come si diceva prima, il cambiamento è continuo e abbastanza vorticoso. A me le nuove sfide piacciono sempre, però, per adesso, siccome c'è questa grandiosa opportunità devo dire che concentrarmi sulle telecronache, sugli studi e magari anche su qualche lavoro di racconto, penso che sia abbastanza".

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Quali sono le regole ‘cardine’ alla base di una buona telecronaca?
"Non esiste una scienza della telecronaca. Le regole se le fa ognuno per sé, perché c'è molta parte personale. Ci vuole una preparazione maniacale, cioè tu devi essere preparato a qualsiasi scenario e devi sapere tutto perché la telecronaca è un servizio che offri all'abbonato ed è proprio tuo dovere essere estremamente preparato. Altra regola aurea, mai mettersi davanti a niente. L'abbonato si sintonizza per vivere l'evento, per esaltarsi con i protagonisti dell'evento e tu non sei un protagonista dell'evento, sei un filtro e un aiuto, per cui mai mettersi davanti ai protagonisti. Poi cercare di trasferire, almeno quello che cerco di fare io, è cercare di trasferire quello che io sto vivendo sia dal punto di vista della percezione tecnica e giornalistica sia dal punto di vista dell'emotività, di trasferire allo spettatore quello che io sto vivendo lì in mezzo a quello stadio, vedendo quell'evento, vivendo quell'evento da persona il più preparata possibile. Queste sono le regole. Poi ci sono tanti trucchi del mestiere però questo è l'approccio che io adotto. Se non sono preparato al 100% mi sento in difetto proprio eticamente ma faccio in modo che non succeda mai".

La cosa più incredibile che le è capitata durante una telecronaca?
"Capita qualsiasi tipo di contrattempo, dal non essere riusciti ad andare in bagno prima del fischio d'inizio oppure le condizioni meteo. O l'errore. Perché la gestione dell'errore è importante. Ti cambia la psicologia della telecronaca ma non puoi fermarti e devi cercare di portare a casa il tutto fino alla fine. Io devo stare nella mia bolla e ci sono tante componenti che possono fartela incrinare ma fino alla fine devi essere dentro".

La telecronaca a cui è più affezionato e quella che sogna di fare?
"Il gol di Palermo al Perù rimane sempre nel mio cuore ma certi Clasicos, con Messi che segna all'ultimo minuto al Bernabeù, ma anche il primo big match che ho fatto in Serie A, certi SuperClasicos. Oggi non riesco a dirne una però Bologna-Shakthar sarà il mio debutto in Champions League e quella è una cosa che ti smuove. Questa è la mia ventesima stagione in un network nazionale ma non ho mai avuto un obiettivo dichiarato, non mi sono mai svegliato la mattina e mi sono detto ‘io voglio arrivare a fare la partita'".

Lo stadio migliore e quello peggiore per raccontare una partita.
"I telecronisti si regolano anche a seconda di postazioni. Quando c'è da pensare, retrocede o viene promossa questa squadra piuttosto che quell'altra, non c'è mai una simpatia. A me uno stadio che ha dato grandi emozioni e ha una postazione straqualitativa è il Bernabéu. Io ho fatto la telecronaca in quelli che considero i quattro principali templi del calcio europeo: Bernabeu, Camp Nou, San Siro e Wembley. Non ho mai fatto una telecronaca ad Anfield ma ci sono stato e spero possa capitare perché l'atmosfera è unica. Purtroppo in Italia dovremmo migliorarle alcune postazioni però posso farti un esempio che a me fa riflettere: a volte ti chiedi perché nello stadio più bello d'Italia, più funzionale e più nuovo, come quello della Juventus si vede splendidamente da ogni angolo tranne dalla postazione del telecronista che è sull'ultima fila in alto".

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Come si adegua un telecronista a raccontare una partita di 100 minuti in un contesto in cui i ragazzi sono abituati a scrollare dopo pochi secondi? Come si fa a tenere vivo l'interesse?
"Devi semplicemente cercare di trasferire quello che sta avvenendo. Possono raccontarmi quello che vogliono e potranno anche avere ragione ma per me il gioco del calcio rimane sempre una delle cose più divertenti che si possa fare a livello ricreativo. Di conseguenza che le partite debbano durare meno o che uno debba guardare un condensato invece che la partita intera a me non entrerà mai né in testa né nel cuore. Senza mistificare la realtà non mi è mai capitato di dire che una partita brutta fosse bella o altro. In quel momento cosa si può fare? Innanzitutto analizzare perché la partita è brutta ma nel gioco del calcio tutto può cambiare nel giro di dieci secondi".

Stefano Borghi è uno dei giornalisti più apprezzati d’Italia in questo momento: che consiglio darebbe ad un giovane che vorrebbe provare a fare questo mestiere?
"Sì, me lo chiedono spesso, me lo chiedono soprattutto tanti ragazzi e mi mettono in difficoltà perché io non ho una ricetta da dare. Io sono stato anche fortunato nei tempi e nelle occasioni che ho avuto. Posso dire che ci ho sempre messo il massimo della passione e soprattutto il massimo della dedizione, poi sta anche un po' a come vanno le cose e c'è anche tanta percentuale di ‘ce l'hai o non ce l'hai'. Non c'è una ricetta. Io dico sempre ragazzi di studiare perché il percorso di studi è fondamentale, anche solo per arricchimento culturale non perché ti porti per forza un lavoro. E poi provateci, credeteci. Ma una ricetta non c'è".

Oggi è a Sky e si è messo alle spalle un'esperienza importante, ci dici una cosa bella e un rimpianto che ti porti dietro?
"No no, anche questa fa parte delle cose che considero fortunate nella mia vita. Non ho mai avuto un rimpianto. Con DAZN sono stati sei anni di grandi arricchimenti e di grandi opportunità perché mi sono misurato sulla Serie A. Io stavo molto bene a fare il calcio estero, però la considero importante per un percorso di crescita. Il lavoro anche fatto extra telecronaca, soprattutto in Sunday Night Square, negli studi con Marco Cattaneo, è stato un grande arricchimento per me. Io non ho nessun rimpianto nella mia vita in generale e nella mia carriera. Certo, adesso mi sento nel posto migliore possibile per continuare a fare quello che ho sempre voluto fare, ovvero raccontare il calcio al massimo livello".

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