Stefano Beltrame dopo la Juve: “In Indonesia vivo da superstar ma vorrei zittire chi dice che sono finito”
Stefano Beltrame era uno dei calciatori giovani più promettenti della Juventus e in tanti avrebbero scommesso sul suo futuro ad alti livelli. Questo classe '93 qualche mese fa ha ha deciso di lasciare l'Europa e trasferirsi in Indonesia, più precisamente al Persib per cercare di rimettere in piedi una carriera che più volte è stata scossa da infortuni e situazioni di vario tipo che non gli hanno mai permesso di avere la continuità che voleva.
La squadra di proprietà di Erick Thohir, ex presidente dell'Inter dal 2013 al 2016, insegue la vittoria del campionato che manca dal 2014 ed è una delle più tifate del paese: Beltrame è stato voluto dall'allenatore Robert Rene Alberts e sta rispondendo alle aspettative del suo nuovo club, visto che in 12 partite ha messo a referto 4 gol e 3 assist.
Il Persib si giocherà la Championship Series, ovvero i playoff per la vittoria del titolo, e Beltrame ha ritrovato il sorriso e la voglia di giocare: "Non è stata una scelta facile ma molto felice di essere qua". Questo ragazzo ha sempre mostrato di avere tecnica e velocità, oltre ad una grande intelligenza tattica, ma ha dovuto fare i conti con la miriade di problemi fisici che lo hanno accompagnato nel suo girovagare per tutta Europa, dall'Olanda al Portogallo fino alla Bulgaria.
Fino al 2020 tutto girava intorno alla Juve, con cui ha fatto il suo esordio in Serie A nel gennaio 2013: la società biancoenra è stata proprietaria del cartellino durate i vari prestiti a Bari, Modena, Pordenone e Pro Vercelli in Italia e in Olanda, dove ha vestito le maglie di Den Bosch e Go Ahead Eagles; prima della cessione a titolo definitivo al CSKA Sofia. A Fanpage.it Stefano Beltrame ha raccontato la sua avventura in Indonesia e ci ha portato all'interno della sua carriera, dagli inizi alla Juventus fino ai vari prestiti in giro per l'Europa tra storie personali e aneddoti inediti.
Stefano, com’è la vita da calciatore in Indonesia?
"Ma guarda, finora ti posso parlare solo bene di qua. Ti dico la verità, non è stata una scelta facile, però era tanto che ero a casa, aspettavo una chiamata che non arrivava. O meglio, non arrivava quella che mi stuzzicava. Poi mi ha contattato proprio il mister di questa squadra, del Persib, e lui mi conosceva già dai tempi dell'Olanda. Era molto interessato alla mia situazione, vedeva che ero svincolato e voleva dare un'ulteriore scossa alla squadra. Non è stata una scelta facile. Non me l'aspettavo e non pensavo mai di arrivare fino in Indonesia. Alla fine ho deciso di provare questa esperienza nuova in un calcio completamente diverso, che si sta rivelando molto azzeccata. Mi piace, sto bene qua, c’è un gruppo fantastico e un calcio che non pensavo a questo livello perché si sta evolvendo molto con l'innesto di parecchi giocatori stranieri. Sono molto felice".
Per noi è un contesto molto lontano, aiutaci a immaginarlo: in cosa è diverso dal calcio europeo, dentro e fuori dal campo?
"La vita extra calcio qua è un po' assurda, nel senso che sei visto come una superstar. Non me lo aspettavo. Quando andiamo in giro per la città ci fermano tantissime persone a fare foto e chiedere autografi. Il Persib è una delle squadre più grandi in Asia ed è la più grande e la più seguita qui in Indonesia, quindi molte persone conoscono i giocatori del Persib e al di fuori del campo è una vita incredibile. Non me l'aspettavo un impatto così a livello mediatico. Nel tempo libero sono un tipo tranquillo, mi piace stare a casa, gioco ai videogame, guardo serie tv e leggo come un ragazzo normalissimo. Poi qui a casa ho palestra, piscina… tutti i comfort".
Lingua, cibo, stile di vita: ti sei dovuto adattare molto o fai la vita di sempre?
"I primi tempi è stato un po’ complicato. È un altro mondo, un'altra cultura rispetto a quella europea, quindi all'inizio ero un po' spaesato. Poi ho iniziato a conoscere dei supermercati dove hanno comunque roba europea, italiana addirittura, e quindi tante volte mi faccio da mangiare a casa. Cucino io, mangio sempre le stesse cose: pollo, verdura, pesce, pasta. Altrimenti si va a mangiare fuori sperimentando altri tipi di cucina oltre a quella locale".
Per quanto riguarda il calcio e il lato sportivo, invece…
"All'inizio venivo da sei mesi di inattività ed è stata un po’ dura, anche perché poi il clima qua è completamente diverso, è tanto umido e quindi si fa molta fatica. Noi ci alleniamo al mattino alle 8, perché poi si scoppia dal caldo e a parte il mese di Ramadan ci alleniamo alla sera. Inizialmente non è stato proprio semplice. Poi c'è stata la sosta di Natale lunga, durante la quale mi sono allenato a casa, e tornato qua abbiamo ancora avuto tre settimane di preparazione prima del campionato: ho lavorato bene e ho subito fatto gol in campionato, che a livello di morale aiuta sempre".
Un bilancio della stagione?
"Sta andando bene, ho fatto quattro gol e un assist in 10 partite. Sono contento io, sono contente le persone intorno a me e finalmente tornato a giocare nel mio ruolo naturale, quindi dietro la punta. Sono molto felice".
La tua storia è simile a quella di tanti altri giovani italiani in questo momento storico del calcio: un prestito dopo l’altro e si va avanti così per anni. Cosa non funziona in questo sistema?
"Guarda, io l'ho sempre detto, ho avuto esperienze all'estero e da quando sono uscito dall'Italia sono rinato, proprio come giocatore e come uomo. Quando vai fuori dall'Italia e sei abbastanza giovane, come ho fatto io, ti accorgi che c’è un altro mondo fuori. Sono andato via quando avevo 22 anni, impari a crescere, maturi, fai esperienza. Per quanto riguarda i prestiti io ho un’opinione precisa, perché le stagioni dipendono da tante cose. Ti mandano a giocare, ma se non va bene quell’annata poi ti mandando da un’altra parte e può capitare un infortunio o qualcos’altro che magari non ti aiuta. Secondo me un giocatore del vivaio sul quale tu punti tanto deve avere una possibilità. Se non gli viene mai data non può dimostrare quello che vale in campo. Avere paura che un ragazzo giovane sbagli è assurdo, perché è dagli sbagli che capisci che tipo di calciatore può diventare. Se poi al primo errore lo mettiamo in croce anche per un ragazzo dotato diventa dura, perché magari di testa non si è ancora così pronti, come è normale che sia. Posso fare un esempio pratico?".
Prego.
"L’anno scorso al Maritimo avevo un compagno di squadra in prestito dallo Sporting. Si chiama Geny Catamo ed è stato uno dei giocatori migliori della sua squadra quest’anno. Al Maritimo è stato infortunato ed è stato fuori molto tempo, non ha fatto una gran stagione perché ha fatto pochi gol da esterno, al di sotto di quello che ci si aspettava. Però comunque lo vedevi che era un giocatore forte, con molta qualità. Quest'anno lo Sporting non l'ha rimandato in prestito, l'ha tenuto lì ed è venuto fuori. Un ragazzo di 21 anni, con un potenziale enorme, che gioca titolare nello Sporting e ha vinto il campionato portoghese. Tante volte un ragazzo giovane fa più fatica a giocare fuori, in prestito, in squadre minori, piuttosto che giocare in una grande squadra".
Ne sembri molto convinto.
"Sì perché ti confronti con gente che parla la tua stessa lingua. Di conseguenza se sei un giocatore forte, le tue qualità vengono esaltate. Poi è ovvio che ci sono altri mille fattori: la testa, il professionismo, come ti comporti dentro e fuori dal campo, sacrifici e tutto il resto. Però se sei predisposto a fare quella vita lì, quando sei in una squadra forte e tu sei un giocatore forte, secondo me è più facile venire fuori. E lo sta dimostrando questo ragazzo qua, che ha fatto una stagione importante, nonostante la stagione scorsa abbia avuto problemi e ha fatto fatica. Fosse successo in Italia, lui sarebbe stato rimandato di nuovo in prestito".
C’è stato qualcosa, una persona, una situazione, un momento, che ancora oggi ti fa pensare: non hanno creduto in me.
"Uscivo dalla Juve Primavera come uno dei migliori '93 e c’era tanta aspettativa. Io ho sempre fatto un mea culpa, nel senso che a 19 anni non ero pronto mentalmente come posso esserlo da quando ho 24-25 anni. Pensavo che uscito dalla Primavera mi fosse un po' tutto dovuto. Invece non è così. Poi ho avuto problemi fisici, oltre che mentali. In passato soffrivo di ansia e mi capitava anche in campo, dove non riuscivo a performare come avrei voluto. Quindi non è stato facile per me".
Alla Juventus sei arrivato in prima squadra.
"Feci un discreto esordio sfiorando anche il gol. Era il 26 gennaio del 2013. A fine partita chiesero a Conte se avesse bisogno di un quinto attaccante, perché giocava con due punte e ne aveva solo quattro: lui rispose di no perché aveva Beltrame e mi allenavo da parecchio tempo con loro. Poi dopo quattro giorni esce la notizia dell'acquisto di Anelka. In quel momento lì, pur essendo un ragazzino che ha vissuto il sogno di esordire con la propria squadra del cuore, un pochino ci sono rimasto male anche alla luce delle parole del mister. Non che mi aspettassi di giocare alla Juve per tutta la vita, ma in quel frangente lì se avessi avuto l'opportunità di restare di più con la prima squadra magari le cose sarebbero andate diversamente. Poi Anelka non fu esattamente l'acquisto dell'anno, ecco".
Forse Conte non avesse parlato in quel modo, tu non te la saresti neanche presa più di tanto.
"No, esatto, io da quando poi è arrivata Anelka non sono proprio più andato in prima squadra in quegli ultimi sei mesi, cioè sono andato una volta una rifinitura prima della partita dei Champions contro il Bayern Monaco. Stop. Prima sì, i sei mesi precedenti sì. Da novembre io ero fisso in prima squadra ad allenarmi con loro e ho fatto quei tre mesi sempre con loro dove ho fatto discretamente bene in un amichevole. Mi ricordo a Vinovo feci quattro gol in una partita. Stavo bene, mi trovavo bene con loro e anche loro mi aiutavano, mi davano consigli. Mi sarebbe piaciuto se fosse andato in un'altra maniera, ecco".
Ha parlato di attacchi d'ansia in campo…
"Sì. Ho risolto tutto con l’aiuto di uno psicologo, quindi sono riuscito a venire fuori da questa situazione. Ci soffrivo ma non ne parlavo neanche con i miei genitori, perché sono un ragazzo molto riservato e se ho qualche problema, magari sbagliando, preferisco tenermi tutto dentro piuttosto che coinvolgere altri che hanno già i loro problemi. Tante volte mi è capitato di tenermi tutto dentro e non riuscivo più a gestire la situazione. Con l'aiuto di uno psicologo sono riuscito a dare la svolta e ora va molto meglio".
Ti sei affacciato in prima squadra nella Juve nella stagione dei 102 punti con Conte. Com’era quel gruppo visto a 19 anni?
"Trovarsi in un contesto del genere è incredibile. Mi allenavo con dei giocatori clamorosi, al top mondiale: Buffon, Bonucci, Chiellini, Pirlo, Vidal, Marchisio, Pogba, Quagliarella, tanti altri… Me le ricorderò sempre le prime due settimane con loro: tornavo a casa e tra me e me dicevo ‘Ma che c'entro io qua? Cosa ci faccio?'. Poi con l'aiuto dei compagni, che ti mettono a tuo agio e ti aiutano tantissimo, inizi a prendere i loro ritmi, a capire le loro giocate. Parliamoci chiaro, con giocatori del genere basta che fai un movimento e la palla ti arriva lì. Io con loro mi trovavo molto molto bene. Era un gruppo forte, molto unito, che ha fatto la differenza negli anni a venire. Perché poi la base della Juve, la spina dorsale, è rimasta durante quei dieci anni di fila in cui si è vinto. E poi c'era un allenatore top, perché Conte è un allenatore incredibile, capace di tirarti fuori tutto quello che hai. È stata un'esperienza bellissima".
Sugli allenamenti di Conte ci sono tanti racconti da antologia, tu li hai vissuti da giovanissimo appena arrivato in prima squadra: sono davvero tremendi?
"Allenarsi con Conte è dura perché si fa tutto ai 2mila all'ora. Sia con la palla che senza palla. Però poi è quello che fa la differenza. Quella Juve lì non ha perso una partita perché andava più forte. Oltre a essere una squadra forte correva e pressava più degli altri: quindi tutti quei sacrifici, quegli allenamenti, ripagano il lavoro in campo ed è stato dimostrato".
Ad un certo punto della tua carriera hai cominciato a girare il mondo. In Olanda sei stato diversi anni: cosa ti porti dietro?
"Dei tre in Olanda l'ultimo è stato il più bello perché ho fatto 14 gol e con il Den Bosch abbiamo sfiorato la promozione in Eredivise. Dopo quell'anno mi aspettavo un trasferimento importante, perché avevo dimostrato che nella seconda lega olandese potevo fare la differenza, e speravo di arrivare in Serie A. La sfiga ha voluto che in preparazione mi venisse trovato un problemino al cuore e sono stato fuori tre mesi".
E sei rientrato alla base in Italia.
"Saltato qualsiasi tipo di trasferimento e sono rimasto alla Juve Under 23 fino a gennaio, quando è arrivata la chiamata dalla Bulgaria, dal CSKA Sofia. C’era Giarretta come direttore sportivo: mi conosceva dai tempi di Novara e mi ha voluto lì. Ho accettato perché c'era l'ambizione delle coppe e quella volontà di tornare in Europa dopo qualche anno. E così è stato, perché alla fine siamo riusciti a centrare la qualificazione alla fase a gironi e ho avuto la fortuna di fare cinque presenze in Europa League. Poi la situazione è precipitata perché è esplosa la pandemia".
Ha passato il lockdown in Bulgaria?
"Proprio così, è stato un disastro. Sono rimasto due mesi e mezzo chiuso in casa da solo. Ci portavano i viveri ogni settimana dalla società, non potevo uscire di casca, al massimo andavo sul balcone. Lì ho avuto proprio un crollo. Dico la verità, io ero contento a Sofia, mi trovavo bene perché giocavo in una squadra storica. Ma ho avuto proprio una crisi dopo l’isolamento e mi hanno liberato per poter andare al Maritimo".
Lì in Portogallo hai avuto una bella parentesi: com’è vivere e giocare a calcio nel regno di Cristiano Ronaldo?
"Sono stato un po' sfigatello perché ho avuto parecchi infortuni, lì al Maritimo la caviglia ha fatto crack dopo tre allenamenti. Fuori due mesi e mezzo. Poi rientro, faccio la prima partita per intero e alla rifinitura della partita successiva doppio stiramento muscolare. Una roba mai vista. Un altro mese e mezzo fuori. Rientro per l'ultima partita di campionato, a Lisbona contro lo Sporting, e faccio gol. L’anno dopo faccio tutta la preparazione alla grandissima, stavo veramente bene, e gioco la prima partita ufficiale in coppa. In un allenamento successivo mi rompo la clavicola in tre parti e resto fuori due mesi e mezzo".
Poi però la sfortuna si è placata.
"Alla seconda partita dopo il mio rientro faccio gol e inizio a giocarle tutte. Sono stato il miglior straniero della squadra a fine anno, pur giocando da centrocampista nel 4-2-3-1. È stata una stagione molto positiva a livello personale e di collettivo, abbiamo centrato la salvezza con otto giornate d'anticipo e siamo arrivati a quattro punti dall'Europa in un campionato che negli ultimi 10 anni il Maritimo non aveva mai fatto. L'anno scorso, invece, non è andata molto bene perché ho avuto problemi con la società. Volevano che io rinnovassi subito a ottobre, mentre noi volevamo aspettare un po'. Non gli abbiamo detto di no, solo chiesto di aspettare. Ma loro da febbraio non mi hanno più fatto giocare".
Cristiano Ronaldo lo hai incrociato anche in qualche passaggio alla Juventus: che tipo è?
"Sì, ho avuto la fortuna di allenarmi con lui. È uno molto attento, cura qualsiasi dettaglio. Una specie di cyborg. Aver avuto la fortuna di vederlo così da vicino è stato incredibile. È stato l'unico giocatore che in vita mia mi abbia creato un po' di disagio. La prima volta che l'ho visto era il 2018, l'anno in cui è arrivato. Facevo la preparazione con la Juve, visto che sono andato in tournée in America, e me lo sono trovato davanti il giorno in cui è arrivato a fare la visita alla Continassa: abbiamo fatto tutti la foto con lui e lì io tremavo. È stato l'unico giocatore in vita mia che mi aveva fatto sentire così".
A 31 anni è più forte il desiderio di tornare in Italia o di continuare a portare il tuo calcio in giro per il mondo?
"Ti dico la verità, io vorrei tornare in Italia per far vedere il giocatore che sono oggi, perché tanti si ricordano di me calciatore come il ragazzino che non ha testa, ma solo grande talento. Io vorrei zittire queste voci che si sono create intorno a me. Mi piacerebbe tornare in Italia perché è casa mia, per stare vicino alla famiglia, con la fidanzata e tutto il resto. Ci tornerei con una maturità diversa e una consapevolezza di me differente rispetto a quella che avevo prima. Si dicono tante cose sul fatto che sono venuto in Indonesia, che sono finito, ma mi piacerebbe dimostrare che non è così".