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Stanislav scappa dall’Ucraina ma non può giocare in Italia: non siamo più il paese di Checco Zalone

La surreale storia di un ragazzo che scappa dalla guerra in Ucraina e arriva in Italia ma non può fare il suo lavoro. E nessuna istituzione è disposta ad aiutarlo, né ad ascoltarlo.
A cura di Vito Lamorte
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“Mi capita spesso di non dormire perché questa situazione davvero per me è incomprensibile”. Sono queste le parole che un ragazzo che è arrivato in Italia la scorsa estate mi ha pronunciato più spesso nei dialoghi che abbiamo avuto. Aveva solo un desiderio: giocare a calcio nel nostro paese. Ma non può farlo. Stanislav Nechyporenko è un ragazzo ucraino che è scappato dalla guerra e a giugno si è trasferito a Brescia perché voleva tornare a fare il suo lavoro lontano dagli orrori che stanno devastando la sua nazione.

Stanislav è un calciatore professionista e dopo aver giocato in Ucraina, si è trasferito in Lettonia per un anno, prima di trasferirsi in Polonia dopo lo scoppio della guerra. Ha giocato nella quarta serie polacca per debito di riconoscenza verso chi lo aveva aiutato a sfuggire alla guerra fino a maggio del 2023 ma la situazione economica difficile e qualche canale aperto con alcune società calcistiche italiane lo hanno portato a Brescia nel mese di giugno, dove, tra l’altro, vivono la nonna paterna e due zie. La sua idea era quella di rifarsi una vita qui, nel secondo comune più grande della Lombardia dopo Milano, ma le cose non sono andate per il verso giusto.

Stanislav ha fatto un provino di 15 giorni con il Lumezzane e il club che milita in Serie C avrebbe voluto tesserarlo subito ma, per questioni di regolamento della FIGC – essendo cittadino extracomunitario – non è stato possibile in quanto poteva essere tesserato solamente da società di Serie A o di Serie D. A quel punto si apre una nuova porta, proprio tra i dilettanti, con il Crema. Tutto sembra procedere per il meglio ma dopo l’avvio dell’iter per l’ottenimento del permesso di soggiorno italiano iniziano i problemi: essendo titolare di un permesso di soggiorno temporaneo polacco non può chiedere un analogo documento in Italia per protezione temporanea e tutto è stato bloccato.

Niente più cartellino e niente più campionato. Stanislav ha continuato ad allenarsi e a giocare partecipando a gare amatoriali organizzate tramite app ma tutto il resto è stato bloccato. Si trova in un limbo, senza prospettive per il futuro nel nostro paese perché non arriva nessun Caronte a traghettarlo sull’altra sponda del fiume: questo ragazzo classe 1997 avrebbe voluto solo un contratto di lavoro per vivere senza dover dipendere da altri ma questo non è accaduto.

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Lui e le persone che si sono mosse per aiutarlo hanno studiato e provato a capire il modo per potergli far avere un qualsiasi documento per farlo restare qui, non c’è stato verso. Sono state scritte lettere al ministro Abodi, al presidente della FIGC Gravina, al presidente del CONI Malagò e al presidente LND Abete: zero risposte, nessun interessamento e comunicazioni cadute nel vuoto.

A Nechyporenko sarebbe bastato entrare direttamente in Italia dall’Ucraina anziché andare in Polonia, ed avrebbe il permesso di Soggiorno che gli avrebbe consentito di lavorare come tutti. Ma quel passaggio intermedio ha bloccato tutto e a nulla è valso anche l’interessamento a questa storia da parte dell’Ambasciata Italiana di Varsavia. Gli unici enti che hanno provato a mettersi in gioco per capire come risolvere la situazione e hanno mostrato comprensione per la vicenda sono stati la Questura di Brescia, il Coni Regionale Lombardia e i dirigenti del Lumezzane.

Il profilo di Stanislav Nechyporenko su Wyscout, sito specializzato in scouting e analisi.
Il profilo di Stanislav Nechyporenko su Wyscout, sito specializzato in scouting e analisi.

Stanislav per mesi ha lottato per provare a risolvere questa faccenda, perché si è integrato bene nel tessuto sociale bresciano e ha costruito una rete di amicizie (sportive e non), ma ora è volato in Bulgaria per provare in un club di Serie B, il Dunav Ruse, dopo aver visto chiudersi tutte le porte nel nostro paese.

Qualche giorno fa abbiamo scambiato due chiacchiere e mi ha fatto capire, perché non sempre esterna a parole il suo umore, che non era felicissimo di essere andato via: a Brescia si trovava bene e stava cercando di crearsi una sua nuova dimensione. “Non potevo, però, andare avanti così. Mi bastava solo un contratto per poter vivere normalmente e poter aiutare la mia famiglia finanziariamente o, magari, aiutarla a trasferirsi in Italia, questo si. Questo lo ha detto chiaro. Si è fatto forza e ha rifatto la valigia. Un sorriso sono riuscito a strapparglielo quando gli ho chiesto se sarebbe venuto a giocare a calcio a 8 la domenica successiva. A volte basta poco.

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Vanno bene i banner ai bordi dei campi di Serie A, le patch dove si notifica il risultato della partite e il minuto di silenzio prima delle gare. E poi? Da mesi vanno avanti le manifestazioni di vicinanza al popolo ucraino e vengono proferite parole sull’accoglienza e sull’unione dei popoli, ma se a tutto ciò non si aggiunge un impegno ‘vero’ per integrare queste persone resta tutto lì. Questa poteva essere una buona occasione ma abbiamo portato un ragazzo di 26 anni, che voleva restare qui e rifarsi una vita, a decidere di andare via.

Qualche anno fa Checco Zalone in uno dei suoi fortunatissimi film, Quo Vado, girò una scena ambientata a Lampedusa dove mostrava che solo il migrante bravo a giocare a calcio sarebbe potuto entrare nel nostro paese. Ecco, nel 2023 nemmeno quello.

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