
Il rinnovo del contratto di Gennaro Gattuso con il Napoli slitta ancora. Ci sono dettagli da sistemare, intese da smussare prima di arrivare alla fumata bianca. Per fortuna o purtroppo, dipende dai punti di vista. La retorica dell'uomo forte che non fa sconti alla squadra, prende i calciatori per le orecchie, usa bastone (molto) e carota (poca), li affronta muso a muso, chiede loro di sputare veleno fa parte del gioco. Piace tanto, soprattutto ai tifosi. Ma oltre al folklore del sergente Hartman che arringa i suoi marines usando più o meno gli stessi concetti di ‘Ringhio' ("dato che sono un duro non mi aspetto di piacervi, ma più mi odierete e più imparerete") serve dell'altro. Poteva andar bene per colmare quel vuoto enorme lasciato dalla rivoluzione che scalzò Ancelotti (quello che le aveva suonate al Liverpool e aveva lasciato Anfield col fiato sospeso), dalla necessità di salvare capra e cavoli in una stagione balorda, addolcita dalla conquista della Coppa Italia. E questo altro, al momento, non c'è stato o non c'è ancora.
Il Napoli ha perso contro Sassuolo (male), Milan (malissimo), Inter (ha dominato a San Siro ma senza segnare e gli sono saltati i nervi), Lazio (inguardabile sia sotto il profilo tattico sia della personalità). E se due indizi fanno una prova, l'impostazione della gara dell'Olimpico (prima ancora della prestazione) ha alimentato forti perplessità sulle scelte dell'allenatore: non si è trattato solo di errori individuali o difetto di mentalità imputabili al gruppo. Nemmeno le assenze bastano a spiegare tutto. Anzi, proprio al netto della mancanza di giocatori chiave, contro un avversario in palese difficoltà, sarebbe stato ragionevole sistemare la formazione con equilibrio e consapevolezza che – per la situazione contingente – si può anche ipotizzare una gara ‘sporca' ma redditizia per portare a casa un risultato utile. E il fatto che l'allenatore abbia creduto che Lozano-Petagna-Politano potessero avere lo stesso effetto di Insigne-Mertens-Lozano (aspettando Osimhen) fa riflettere.
Fa riflettere anche un'altra questione: qual è l'identità tattica di questa squadra che insiste su una delle rose più complete e competitive della storia recente? Un gruppo che si ‘permette il lusso' di tenere Milik in naftalina. Nemmeno Sarri aveva a disposizione tante opportunità di cambio a gara in corso, a parte il jolly Zielinski, e fu costretto a reinventarsi Mertens prima punta per i guai del polacco. E Benitez, che di quel Napoli è stato un padre putativo, si ritrovò a competere con David Lopez, Gargano e De Guzman a centrocampo, Mesto ed Henrique in difesa arrivando sulle soglie della finale di Europa League. Invece, ‘ringhio' ancora non è riuscito a trovare una dimensione a Fabian Ruiz (furia rossa in Spagna, coniglietto bagnato in azzurro) di cui si conoscono da tempo pregi e difetti, ha perso Demme (colui che venne definito l'equilibratore) per strada assieme a Elmas, ha ottenuto Bakayoko che non è stata la chiave di volta (come immaginava).
È passato all'idea del 4-2-3-1 che tremare non fa il mondo degli avversari ma la sua squadra dopo aver accantonato catenaccio e contropiede sul quale aveva costruito parte delle sue fortune. Pochi fronzoli, molta sostanza e un trofeo in bacheca. Gli manca un giocatore dalle caratteristiche di Osimhen? Sì, sicuramente gli manca quel profilo. Che non è ancora Cavani né ha le qualità di Higuain oppure la duttilità del compagno belga. È un diamante grezzo, come questo Napoli di Gattuso che proprio non riesce (ancora) a brillare.
