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Siamo sicuri che rinnovare il contratto a Gattuso sia un bene per il Napoli?

Il rinnovo del contratto di Gattuso slitta di qualche settimana per alcuni dettagli da sistemare. L’esperienza del tecnico sulla panchina del Napoli ha toccato il punto più basso con la sconfitta dell’Olimpico contro la Lazio. Al netto di attenuanti generiche come le assenze, qualcosa ancora non va nella sua squadra. E non può trattarsi solo di errori individuali o difetto di mentalità imputabili al gruppo.
A cura di Maurizio De Santis
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Il rinnovo del contratto di Gennaro Gattuso con il Napoli slitta ancora. Ci sono dettagli da sistemare, intese da smussare prima di arrivare alla fumata bianca. Per fortuna o purtroppo, dipende dai punti di vista. La retorica dell'uomo forte che non fa sconti alla squadra, prende i calciatori per le orecchie, usa bastone (molto) e carota (poca), li affronta muso a muso, chiede loro di sputare veleno fa parte del gioco. Piace tanto, soprattutto ai tifosi. Ma oltre al folklore del sergente Hartman che arringa i suoi marines usando più o meno gli stessi concetti di ‘Ringhio' ("dato che sono un duro non mi aspetto di piacervi, ma più mi odierete e più imparerete") serve dell'altro. Poteva andar bene per colmare quel vuoto enorme lasciato dalla rivoluzione che scalzò Ancelotti (quello che le aveva suonate al Liverpool e aveva lasciato Anfield col fiato sospeso), dalla necessità di salvare capra e cavoli in una stagione balorda, addolcita dalla conquista della Coppa Italia. E questo altro, al momento, non c'è stato o non c'è ancora.

Il Napoli ha perso contro Sassuolo (male), Milan (malissimo), Inter (ha dominato a San Siro ma senza segnare e gli sono saltati i nervi), Lazio (inguardabile sia sotto il profilo tattico sia della personalità). E se due indizi fanno una prova, l'impostazione della gara dell'Olimpico (prima ancora della prestazione) ha alimentato forti perplessità sulle scelte dell'allenatore: non si è trattato solo di errori individuali o difetto di mentalità imputabili al gruppo. Nemmeno le assenze bastano a spiegare tutto. Anzi, proprio al netto della mancanza di giocatori chiave, contro un avversario in palese difficoltà, sarebbe stato ragionevole sistemare la formazione con equilibrio e consapevolezza che – per la situazione contingente – si può anche ipotizzare una gara ‘sporca' ma redditizia per portare a casa un risultato utile. E il fatto che l'allenatore abbia creduto che Lozano-Petagna-Politano potessero avere lo stesso effetto di Insigne-Mertens-Lozano (aspettando Osimhen) fa riflettere.

Fa riflettere anche un'altra questione: qual è l'identità tattica di questa squadra che insiste su una delle rose più complete e competitive della storia recente? Un gruppo che si ‘permette il lusso' di tenere Milik in naftalina. Nemmeno Sarri aveva a disposizione tante opportunità di cambio a gara in corso, a parte il jolly Zielinski, e fu costretto a reinventarsi Mertens prima punta per i guai del polacco. E Benitez, che di quel Napoli è stato un padre putativo, si ritrovò a competere con David Lopez, Gargano e De Guzman a centrocampo, Mesto ed Henrique in difesa arrivando sulle soglie della finale di Europa League. Invece, ‘ringhio' ancora non è riuscito a trovare una dimensione a Fabian Ruiz (furia rossa in Spagna, coniglietto bagnato in azzurro) di cui si conoscono da tempo pregi e difetti, ha perso Demme (colui che venne definito l'equilibratore) per strada assieme a Elmas, ha ottenuto Bakayoko che non è stata la chiave di volta (come immaginava).

È passato all'idea del 4-2-3-1 che tremare non fa il mondo degli avversari ma la sua squadra dopo aver accantonato catenaccio e contropiede sul quale aveva costruito parte delle sue fortune. Pochi fronzoli, molta sostanza e un trofeo in bacheca. Gli manca un giocatore dalle caratteristiche di Osimhen? Sì, sicuramente gli manca quel profilo. Che non è ancora Cavani né ha le qualità di Higuain oppure la duttilità del compagno belga. È un diamante grezzo, come questo Napoli di Gattuso che proprio non riesce (ancora) a brillare.

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Da venticinque anni nel mondo dell’informazione. Ho iniziato alla vecchia maniera, partendo da zero, in redazioni che erano palestre di vita e di professione. Sono professionista dal 2002. L’esperienza mi ha portato dalla carta stampata fino all’editoria online, e in particolare a Fanpage.it che è sempre stato molto più di un giornale e per il quale lavoro da novembre 2012. È una porta verso una nuova dimensione del racconto giornalistico e della comunicazione: l’ho aperta e ci sono entrato riqualificandomi. Perché nella vita non si smette mai di imparare. Lo sport è la mia area di riferimento dal punto di vista professionale.
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