Serse Cosmi: “L’imitazione di Crozza e la Gialappa’s mi hanno tolto tanto. Un boomerang incredibile”
Serse Cosmi è stato spesso raccontato come ‘personaggio' ma conosce il calcio e lo analizza in maniera molto chiara e dettagliata. Parlare con l'ex allenatore di Perugia, Udinese, Lecce e Genoa è un piacere e si nota subito la passione per questo sport in tutti i suoi aspetti. Cosmi diventò allenatore col massimo dei voti (110 e lode) con una tesi intitolata "Il Trequartista" e per questo le sue parole sui moduli e i sistemi non suonano strane: "Il discorso tattico è il paradiso di chi ha molto poco sentimento per il calcio e si affida agli aspetti numerici".
Il celebre allenatore perugino, dopo la sua ultima esperienza in panchina al Rijeka, si è reso protagonista di una nuova sfida: il teatro. Dopo aver calcato i campi di calcio di tutta Italia, poco prima di Natale Cosmi ha portato in scena il suo spettacolo teatrale dal titolo ‘Solo Coppi temo’: un omaggio al padre che scelse di chiamarlo Serse in onore del fratello di Fausto ma in cui si possono ritrovar l'amore per il ciclismo dei miti e uno spaccato della sua vita da allenatore, dai campetti dei dilettanti alla Champions League.
A Fanpage.it Serse Cosmi ha parlato della sua esperienza a teatro e ha toccato alcuni momenti della sua carriera sportiva tra aneddoti e storie poco conosciute: dal Perugia al Trapani passando per il Genoa e la Pontevecchio.
Cosmi, da dove nasce l'idea di uno spettacolo a teatro?
"Una persona che conosco, che organizza festival, che si chiama Alessandro Riccini era venuta a casa mia per propormi la candidatura a sindaco di Perugia, che io ho rifiutato più di una volta. Una volta messo da parte questo aspetto, ci siamo conosciuti meglio e mi ha chiesto se volevamo mettere giù uno spettacolo teatrale. Lì per lì ero un po’ dubbioso ma piano piano la cosa ha preso forma e mi ha preso tantissimo. È nata questa idea per raccontare alcuni momenti della mia vita che non riguardino il calcio ed è stata sviluppata. Abbiamo scelto la location giusta ed è venuto fuori questo spettacolo con la presenza sul palco di un jazzista come Giovanni Guidi e dj Ralf. Mi ha dato molta soddisfazione e solo dopo ho capito quello che avevo fatto. Adesso la stiamo strutturando per portarla in giro e mi piacerebbe farla soprattutto nelle città dove ho allenato. Al momento sono solo ipotesi ma ci stiamo lavorando".
Perché il titolo “Solo Coppi temo”?
"È una frase di mio padre che aveva scritto su un Ape".
A proposito di suo padre… lei portò per la prima volta la Pontevecchio in D: è vero che era uno dei sogni di suo papà, uno dei fondatori della società umbra?
"Assolutamente sì, perché negli anni ’60 la Pontevecchio non era riuscita mai a fare il salto pur avendo squadre forti. Allora c’era la Promozione e poi la D, non erano divisi come oggi i campionati. Dentro di me io sentivo che potevo realizzare questo sogno, prima da calciatore e soprattutto da allenatore: quando è successo il pensiero subito è andato a lui".
Da qualche anno allenatori giovani trovano subito spazio su panchine importanti: quanto è stata importante la gavetta nei campionati dilettantistici per Cosmi e se crede che lo sia tutt’ora per avere delle basi solide per affrontare le varie situazioni che si presentano.
"Io credo che la gavetta sia importante e più andiamo avanti e più ne sono convinto, visto che il ruolo dell’allenatore è sempre più complicato. Ma questo è solo il mio pensiero però quello che conta sono le scelte fatte dai dirigenti: se pensano che si possa fare a meno, io mi attengo alla vita. Secondo me avere un’esperienza è importantissimo. Però si è arrivati a questo perché molti non considerano l’allenatore un altro mestiere ma l’appendice della carriera di calciatore: se venissero considerati due mestieri a se stanti sarebbe diverso. Chi ha giocato a certi livelli già ha dei vantaggi rispetto a chi viene dai dilettanti e ci sono esperienze fatte in maniera diversa: questo non toglie che un grande giocatore possa diventare un grande allenatore ma mi piacerebbe che venisse fuori da un percorso. Questo è solo il mio parere, sia chiaro".
Lei ha vissuto un periodo lunghissimo in panchina, dagli anni ’90 fino a pochi mesi fa: c’è davvero tutta questa differenza di approccio dei giocatori alla realtà che li circonda?
"Le varie epoche storiche si rispecchiano nelle persone e, di conseguenza, negli atleti. I calciatori che allenavo io in Serie A nel 2000 erano diversi da quello degli anni ’80. È normale, è la società che cambia e cambiano anche i giocatori inevitabilmente. Le figure vicino ai ragazzi sono diverse e hanno esigenze diverse. Intorno a questi ragazzi è cambiato molto e i comportamenti sono consequenziali a quello che c’è intorno a loro. Ai miei tempi il telefonino era la novità, oggi l’equivalente può essere il procuratore. Stabilire se migliore o peggiore è difficile".
Fece grandi cose a Perugia impostando la squadra col 3-5-2: nello scorso decennio la difesa a tre non aveva molti ammiratori, oggi sembra tornato di moda. Nel dibattito calcistico si dice sempre che il gioco si è ‘evoluto’ negli ultimi anni: lei è d’accordo con questa visione?
"Io calcio è cambiato non è evoluto ma l’evoluzione c’è stata in alcuni aspetti come l’aspetto tecnologico per guardare le partite, per la Match Analysis, nell’alimentazione… in questo sì, in altre è cambiato. È cambiata la società e il calcio ha subito anche questa spinta ma non mi piace sentir parlare di evoluzioni. Diventano fondamentali i sistemi di gioco per chi racconta il calcio sui media e per indirizzare alcune opinioni: se vuoi dire che il 3-5-2 è difensivo, dipende da chi lo dice in tv e basta. Nel 3-5-2 che fa Simone Inzaghi ci sono accorgimenti che ci sono sempre stati e per questo lo rendono molto spettacolare. Però posso dirti anche un’altra cosa: il discorso tattico è il paradiso di chi ha molto poco sentimento per il calcio e si affida agli aspetti numerici".
Che personaggio era Luciano Gaucci?
"Assolutamente diverso da come si poneva al di fuori ma nella realtà era molto diverso. Una generosità mai riscontrata in nessun altro nella mia vita, un grande intuito e istinto ma grande difficoltà a gestire queste capacità. Una persona straordinaria, chiaramente io parlo per la mia esperienza, e non è mai stato invadente nel mio lavoro: in qualche caso ci ha provato a dire la sua ma lo faceva attraverso il figlio, che per me è stato come un fratello. L’hanno voluto far passare in un modo ma è una persona che ricordo, al di là di quello che mi ha dato, molto diversa da quello che si è scritto e raccontato".
A proposito di Alessandro Gaucci, avete fatto mercati importantissimi e operazioni clamorose per il Perugia: ma è vero che una volta vi sbagliaste in maniera grossolana e scambiaste un calciatore per un altro?
"Mi dicono che negli anni miei il Perugia fece 120 milioni di plusvalenze ma io devo fare una premessa importante: il direttore era Alessandro Gaucci ma i consulenti diretti erano Sabatini, Angelozzi e Salvatori, per far capire che le cose non nascono per caso. E lo stesso valeva anche per il Perugia. Per quanto riguarda lo scambio di calciatore, andarono a vedere il calciatore Li Tie, che andò in Inghilterra, ma in quella partita Ma Mingyu giocò col suo numero. Arrivò Ma ed eravamo convinti che fosse Li Tie, ce ne siamo accorti un poco dopo (ride, ndr). Ma Mingyu era un calciatore importante ma era a fine carriera e non era il profilo che ci interessava per le caratteristiche".
C’era un po’ del suo Perugia anche nella formazione dell’Italia del 2006 con Grosso e Materazzi: ricorda un calciatore più di altri che ha incarnato il suo spirito calcistico di quegli anni?
"Io ho allenato Milito, Muriel, Di Natale, Cuadrado, Materazzi… ma credo che Miccoli rappresenti qualcosa di superiore agli altri".
Ha partecipato a tutte le coppe possibili, dalla Champions League dalla coppa Primavera di Prima Categoria: c’è una cosa che le manca nella sua carriera?
"Manca la Coppa delle Coppe, perché l’avevano tolta (ride, ndr). Le ho fatte proprio tutte, dai dilettanti alla Champions".
Si parla spesso di ‘impresa’ ma quella che lei stava facendo a Trapani lo era per davvero: che ricordi ha di quell’esperienza?
"Io la considero comunque un’impresa, non nel risultato finale ma per quello che si era creato. Era l’anno in cui il Leicester vinse la Premier e si potevano realizzare due situazioni quasi impossibili all’inizio. È stata un’esperienza umana e sportiva stupenda che mi porterò per sempre dentro perché avremmo meritato la promozione, nonostante di fronte avessimo un Pescara superiore a noi, ma Trapani meritava di vivere la Serie A. Una cosa indescrivibile".
Quanto fa male ancora la promozione revocata col Genoa per cose molto lontane dal campo?
"Quella è stata una delle cose più terribili che io abbia vissuto perché nel Genoa avevo riposto tanto: io avevo fatto quattro anni di Serie A ed ero andato a Genova felice perché ero convinto di riportarlo su. Poi ci fu quella situazione maledetta, si sono concatenate alcune cose ma negli annali del Genoa quella è la squadra che ha fatto più gol nel dopoguerra, lo stadio sempre pieno… è stata dura ripartire. Anche se Udine è stata l’esperienza professionale più grande con la Champions League, ma avevo lascito il cuore e la mente a Genova. Dopo quell’anno sarei dovuto rimanere fermo ma allenare il Genoa è stato qualcosa di bellissimo: l’epilogo non lo prendo in considerazione perché sto male ancora oggi, a distanza di vent’anni. Non mi è piaciuta la lettura delle cose che è stata data successivamente perché qualcuno ha provato ad accusare l’allenatore e la squadra di non essere stati in grado di gestire il vantaggio che avevamo, come se quello che è accaduto fosse una giustificazione. Noi soffrimmo tanto, troppo, nel girone di ritorno ma questo non vuol dir nulla e non vuole essere una giustificazione".
È vero che Liam Gallagher la voleva come allenatore del Manchester City perché indossava il cappellino?
"Erano gli anni in cui allenavo il Perugia e un mio amico, che vive a Londra mi disse: ma sai che ho letto un’intervista a Gallagher in cui gli dicevano chi vuoi per il Manchester City e sembra, sembra, che lui abbia detto che come allenatore gli sarebbe piaciuto quell’allenatore col cappellino che allenava in Italia. Ora, all’epoca col cappellino c’ero solo io. Avesse detto pelato eravamo in tanti, ma col cappellino solo io. Ho avuto possibilità di andare all’estero ma all’epoca il campionato italiano era il più forte. In un torneo dove c’erano Zidane e Ronaldo io andavo via? No. Ci sono state possibilità con squadre che oggi sono di grandissimo livello. Allora la Serie A era l’approdo finale e non una tappa per i calciatori, lo stesso valeva per gli allenatori".
Serse Cosmi sarebbe pronto per una nuova avventura in panchina se la chiamassero domani?
"Anche adesso! Ma devo essere sincero, mi piacerebbe viverla in maniera diversa dalle ultime panchine dove spesso si andava anche l’oltre l’impresa. Mi piacerebbe avere una società con la mia stessa passione e si parlasse di calcio, oltre ad essere valutati per i risultati parlando anche di aspetti umani".
L’imitazione di Crozza ha aiutato Cosmi o ha danneggiato la sua immagine?
"Da un punto di vista di popolarità, a quei tempi se ti imitava la Gialappa’s era il massimo che potevi ottenere a livello di visibilità, ma quasi subito capii che sarebbe stato un boomerang incredibile. Da un lato mi ha dato tanto affetto, notorietà, ma sotto l’aspetto professionale mi ha tolto tanto".
La squadra che piace di più a Serse Cosmi nella Serie A 2024-2025 e quella che le piace di meno.
"Il Napoli mi piace molto. Sapevo e pensavo che avrebbe reagito ad un’annata tremenda come quella passata ma così velocemente no. Pensavo che avrebbe lottato per il vertice ma non prima così. In maniera negativa direi la Roma, di cui sono tifoso, fino ad ora è la delusione più grande".