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Sebastien Frey: “Un giorno ho chiamato Roberto Baggio e il suo racconto mi ha cambiato la vita”

Sebastian Frey si racconta a Fanpage.it, con un viaggio nella sua carriera, tra calcio e vita fuori dal campo, fino a toccare temi di stretta attualità.
A cura di Vito Lamorte
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Sébastien Frey è stato uno dei più portieri più forti della Serie A degli ultimi trent’anni. Il suo approdo a San Siro da un piccolo quartiere francese gli fece capire che il suo sogno si stava tramutando in realtà. L’unico rimpianto è la nazionale francese: “Perché non è dipeso da me ma da altri”.

Roberto Baggio gli ha cambiato la vita dopo l’infortunio del 2006: “La mia carriera era a rischio e ho vissuto un periodo complicato, con tanti dubbi e incertezze. Ad un certo pinto ho pensato a Baggio, a quello che aveva vissuto, e l’ho chiamato”.

Frey si racconta nel libro “Istinto puro” e a Fanpage.it fa un viaggio nella sua carriera fino a toccare temi di stretta attualità.

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Da dove nasce la sua passione per il calcio?
“Nasce in famiglia. Mio papà era un portiere. Quando sei bambino vedi tuo papà come un supereroe e io subito mi sono detto che volevo fare come lui. Quando ho iniziato, i primi tuffi, i primi allenamenti… quel dolore del tuffo per me è stato bello, mi è piaciuto tanto, e non ho mai voluto cambiare ruolo perché poi mi affascinava. Mi piaceva avere qualcosa in più degli altri: i guanti, la maglia di colore diverso… questo mi piaceva e mi affascinava”.

Oltre a papà, ci sono dei portieri che l’hanno ispirata?
“Michel Preud’homme, Gordon Banks e da ragazzo più cosciente Peter Schmeichel per la sua personalità”.

Dopo gli inizi tra Vence e Cannes, arriva l’Inter.
“È stato talmente tutto bello e tutto molto veloce che ho fatto fatica a realizzare quello che mi stava succedendo. Ho cominciato a realizzare tutto quando sono andato a firmare. La sera prima della firma c’era la Coppa UEFA in casa a San Siro contro lo Strasburgo. Già vedere quello stadio per la prima volta per un ragazzo che non l'ha mai visto, è qualcosa di fuori dal mondo, unico. Era pieno e io ero lì, seduto vicino a Massimo Moratti. Sandro Mazzola mi porta sotto negli spogliatoi, arriva Ronaldo e mi regala la sua maglia. Pagliuca e Benoit Cauet mi salutano, così come tanti altri. Poi Youri Djorkaeff, che era nella nazionale francese, e mi dice ‘Tutto bene Seb? Sono contento che l'anno prossimo sei con noi' e gli rispondo ‘Guarda che non ho ancora filmato' ma lui fa ‘Non ti preoccupare, so che domani firmerai e andrà tutto bene'. Da lì ho iniziato a rendermi conto di quello che stavo facendo e l’anno dopo mi sono ritrovato in squadra con Ronaldo, Baggio, Zamorano, Djorkaeff, Simeone, Paolo Sousa, Checco Moriero“.

Cosa voleva dire arrivare all’Inter in quegli anni per un ragazzo di nemmeno 18 anni?
“L’Inter rappresentava, quegli anni lì, uno dei club più importanti d'Europa. Un palcoscenico incredibile. Il primo periodo non ho giocato tanto e alcuni mi chiesero perché non ero andato in prestito a giocare ma io gli risposi che allenarsi tutti i giorni con Baggio, Ronaldo, etc etc  equivale a giocare in un campionato medio da qualsiasi altra parte. Poi ci fu l’esordio in Inter-Fiorentina, più di 80.000 allo stadio e sono stato il migliore in campo a 18 anni. La curva cantava il mio nome, vinciamo la partita e da quel momento ho pensato che volevo diventare un campione. Doveva essere il mio obiettivo, essere il migliore o uno dei migliori, perché solo così puoi giocare in questi palcoscenici così importanti”.

Inter gioia e dolori. Che cos’è stato perdere il derby per 6-0?
“Il sentimento di aver perso clamorosamente contro un'altra grande squadra, io più di quello non mi sono mai fasciato la testa. Mi ricordo come mi ricordo altre sconfitte o altre vittorie. È stata una brutta sconfitta che perdere un derby comunque non è piacevole. Loro andavano a mille e noi praticamente non c’eravamo. Inizialmente non è stato semplice ma poi capisci che resta sempre una sconfitta di una partita di campionato, non è una finale o qualcosa di simile. Quella fu un stagione molto altalenante perché pronti via e mandano Marcello Lippi: diventa complicato sostituire l’allenatore subito ma non era colpa né sua né nostra. Io credo che quello era un periodo di confusione, c'erano secondo me troppi osservatori, troppe persone intorno al presidente Moratti, al quale io voglio bene come un papà, ma io credo che era circondato da troppe persone che cercavano di dargli un parere, un consiglio e questo nel tempo li ha portato probabilmente a fare delle scelte strane. Quell'anno fu difficile e questo la squadra lo risentiva“.

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L’anno dopo, infatti, andò a Parma.
“Sì, pensai che era difficile ripartire in un ambiente così per la mia crescita personale, per gli obiettivi che mi ero posto, quindi a malincuore ho deciso di cambiare e andai a Parma. Mi è dispiaciuto lasciare l'Inter in quel modo perché quando iniziai a giocare nella mia testa volevo fare un percorso lungo con l'Inter per ripagare la fiducia che hanno avuto nei miei confronti ma non è stato possibile”.

Il Parma in quegli anni lottava sempre per l’alta classifica.
“Sì, era una società che giocava per il vertice in quel periodo, quindi non fu una scelta difficile. Io andai lì perché Buffon era andato alla Juventus e Toldo non voleva andare a Parma. Poi lui andò all’Inter”.

Sempre a Parma, dopo il primo anno un po’ zoppicante, con Prandelli avete fatto un campionato clamoroso chiuso con una qualificazione UEFA.
“Io penso di essere il giocatore che lui ha allenato di più tra Firenze, Parma e Verona. Il rapporto calcisticamente è molto importante e io credo che da Parma in poi Prandelli è stato uno dei migliori allenatori della sua generazione. Era piacevole lavorare con lui, le sue idee erano molto buone, era molto preparato a livello tattico e con un mercato interessante il Parma prese diversi giovani  dopo aver lasciato partire gente come Cannavaro, Mboma, Milosevic, Almeyda, Sensini…”.

Che squadra era quella con Mutu e Adriano?
“Era una squadra forte e si vedeva anche in allenamento. Poi quell’anno Adriano fece vedere le sue qualità, esplose definitivamente, e venne richiamato all’Inter”.

L'ha visto da molto vicino. Che giocatore era Adriano?
“Racconto questo aneddoto. Durante una partitella, lui tira al volo una pallone ad un metro da me e mi colpisce in faccia piena. Io non so come ho fatto a non spaccarmi tutto perché pensavo che era staccato qualcosa talmente la potenza del colpo. Ho avuto il simbolo dello sponsor dei palloni, Molten, sulla guancia destra per qualche giorno. Tornando alla tua domanda, Adriano faceva impressione proprio tecnicamente e fisicamente. In tutto. Era davvero molto forte”.

Prima di lasciare l’Inter per il Parma, però, ci fu la parentesi a Verona.
“Fu molto importante perché mi diede consapevolezza e mi permise di tornare a fare il titolare all’Inter. Venni eletto tra i migliori giocatori del campionato ed è stato il trampolino di lancio. Quell’anno  ho ricevuto delle proposte importanti come Manchester United e Lazio, che quell'anno vinse lo Scudetto, ma io ero di proprietà dell'Inter e dopo una telefonata di Lippi tornai a casa”.

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La Fiorentina e Firenze sono stati casa tua per anni. Qual è il ricordo più bello e quello più brutto della parentesi viola?
“Quello più brutto ti direi l'infortunio, perché è stato qualcosa di complicato per me da superare, però mi ha reso ancora più forte. Allo stesso tempo, però, mi ha permesso di riavvicinarmi a Roberto Baggio ed intraprendere un percorso spirituale importante. Sicuramente l'infortunio è tra i ricordi brutti ma anche i ricordi belli per tutto quello che è successo dopo. Un ricordo triste è la semifinale persa di Coppa UEFA contro i Rangers di Glasgow perché quell'anno lì penso che meritavamo di vincere un titolo, senza contare  la partita di andata contro il Bayern Monaco in Champions League che ci venne scippata. Un errore così grande che è difficile da commentare anche oggi”.

Lei è stato uno dei migliori portieri d’Europa del nuovo millennio ma ha avuto un rapporto abbastanza conflittuale con la nazionale francese. Perché.
“Più che con la nazionale, con il tecnico che mi ha perseguitato sia in Under 21 che in maggiore. Già nella U21  mi ritrovo questo personaggio, che è sempre stato poco leale. Il nostro rapporto era quasi nullo, anzi sempre polemico, e non c'erano i presupposti per per fare delle grandi cose con la nazionale. Quello è l'unico rimpianto che ho, perché sono cose che non sono dipese da me. Io sono sempre stato orgoglioso di indossare la maglia della nazionale francese, dalle giovanili alla maggiore ma lui, Domenech, non si è mai posto bene nei miei confronti”.

Venne convocato per gli Europei del 2008, giusto?
“Sì, ma non fu un grande europeo per la Francia in generale. Subito dopo ho deciso di smettere con la nazionale perché avevano riconfermato il commissario tecnico e quindi capii che non c’erano o più i presupposti per poter sognare qualcosa di importante. Mi criticarono ma i risultati si sono visti in Sudafrica. La cosa triste è che molti giornalisti che mi diedero addosso quando ho deciso di lasciare, puoi immaginarti nel 2010 dissero che avevamo ragione io e Pires”.

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Torniamo un attimo all’attualità. L’Inter è la principale candidata per vincere lo Scudetto?
"L'Inter, in questo momento, è la favorita ma non vuol dire che lo vincerà. Ha cambiato poco, l’allenatore è lo stesso e sanno cosa devono fare se vogliono vincere ancora. Se prendi la Juve, ad esempio, ha rivoluzionato tutto e c’è bisogno di un po’ di tempo per capire ma hanno preso un grande allenatore. Non so vinceranno subito ma mi pare che abbiano intrapreso la strada giusta. Il Milan è altalenante ma è una squadra forte, tutto sta nel capire se ha  le capacità di lottare fino alle fine per lo Scudetto. Sinceramente sono curioso di vedere il Napoli, che può essere la vera mina vagante con Conte e una squadra che è stata rinforzata in tutti i reparti".

Che idea si è fatto della Fiorentina di Palladino?
"Ancora farmi un'idea, tra 3-4 partite riuscirò magari a dire più o meno dove potrà arrivare la Fiorentina ma adesso è ancora. Hanno cambiato molto e preso un allenatore che vuole portare avanti le sue idee. Se riuscisse a fare qualche risultato positivo, con un po’ di morale che ti permette di lavorare in serenità, forse allora vedremo qualcosa di più chiaro".

Cosa pensa di quello che è successo a De Rossi?
"Mi sono scritto con Francesco (Totti, ndr) e lui l'aveva detto qualche giorno fa. Io queste cose non le capisco e poi questo alla fine si ritorcerà contro di loro perché non puoi trattare così una delle bandiere più importanti della storia del tuo club".

Chi sono i portieri migliori della Serie A.
"Togliendo Maignan e Sommer, sono veramente molto curioso di seguire Di Gregorio alla Juventus dopo l’ottima stagione a Monza. Poi c’è Meret, che è sempre stato tanto criticato ma è un portiere che a me piace. Ti dico anche i nomi di due ragazzini bravi che forse sarebbe il caso di mandare a giocare per fargli fare le ossa: Torriani del Milan è bravo e Martinelli della Fiorentina. Sono entrambi promettenti".

Ad introdurre il libro c’è una lettera di Roberto Baggio, con riferimento ad una telefonata che le ha cambiato la vita. Ci può dire di più?
"Ho giocato con lui nel 1998 nell’Inter e ho imparato a conoscere l’uomo oltre al calciatore. Quando mi infortunai nel gennaio 2006 la mia carriera era a rischio e ho vissuto un periodo complicato, con tanti dubbi e incertezze. Ad un certo pinto ho pensato a Baggio, a quello che aveva vissuto, e l’ho chiamato. Dopo aver parlato del mio momento, lui mi ha racconta il suo percorso con il buddismo e mi disse che gli aveva cambiato la vita, non si parlava più solo di calcio. In quel momento capii che volevo conoscere e capire di più di quello che mi aveva raccontato".

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