Salima Mukansanga, l’arbitro donna che imparò le regole da sola e oggi è ai Mondiali in Qatar
Tra le tante novità dei Mondiali in Qatar c'è anche quella di aver aperto le porte, per la prima volta in 92 anni, all'universo femminile introducendo tra i fischietti e gli assistenti convocati per le partite della fase finale tre arbitri donna. Si tratta della francese Stephanie Frappart, della giapponese Yoshimi Yamashita e della ruandese Salima Mukansanga.
Una presenza che scardina anche l'ultima barriera, superando l'ostacolo dello storico "maschilismo" all'interno del calcio e lo fa nel torneo più importante in assoluto, la Coppa del Mondo, lo scenario stabilito e voluto dalla FIFA per dare spazio ufficiale anche alle donne. Tre rappresentanti femminili in campo (più altrettante assistenti) sono state convocate all'interno della squadra arbitrale presente in Qatar, con cui si è infranto del tutto il palazzo di cristallo che resisteva da quasi 100 anni in un Mondiale che si ricorderà come un'edizione pionieristica assoluta.
Per le tre donne arbitro il peso della responsabilità è enorme, a rappresentanza di un mondo femminile che oramai ha preso fortemente piede all'interno dell'universo – storicamente di esclusività maschile – del pallone: il calcio femminile, ad ogni livello (di club ma anche di nazionali) è sempre più una realtà radicata e anche gli arbitraggi affidati alle donne stanno diventando una piacevole realtà sia all'interno delle varie Federcalcio, sia nelle competizioni internazionali.
La FIFA ha individuato tre figure emblematiche: Yoshimi Yamashita, a rappresentanza del continente asiatico (e già presente alla Coppa del Mondo femminile FIFA 2019 e alle Olimpiadi estive del 2020); Stephanie Frappart, per l'Europa (già prima donna ad arbitrare una partita di Champions League e presente a Euro 2020); Salima Mukansanga per l'Africa (presente anche ai Mondiali femminili 2019, alle Olimpiadi di Tokyo e nella Coppa delle nazioni africane 2021).
Proprio Mukansanga porterà con sé una storia molto particolare, prendendo sempre più coscienza di essere un vero e proprio punto di riferimento dell'intero movimento africano grazie alla volontà della FIFA che l'ha inserita nei palcoscenici calcistici ai massimi livelli. Non una scelta dovuta, ma conquistata volta per volta, frutto di una professionalità e di una passione che le hanno permesso di fare la differenza: "Un onore e un privilegio perché non è mai successo prima" ha sottolineato orgogliosamente al momento della convocazione ai Mondiali in Qatar, "Significa che sarò la prima e aprirò le porte ad altre donne, specialmente in Africa. Un peso importante da portare sulle spalle ma lo si deve portare bene: solo così tutti gli altri possono vedere che la porta è aperta e anche loro possono passare".
Nata sportivamente nel basket, Mukansanga devia la sua passione per lo sport sul calcio, che ha praticato per alcuni anni ma senza grossi risultati. E così, comunque affascinata da quella disciplina ha iniziato a interessarsi in patria anche sul fronte arbitrale trovando però più un di un semplice ostacolo sulla strada che poteva portarla a iscriversi in federazione: troppo giovane, troppo precoce. Un controsenso con cui si è dovuta spesso confrontare ma di fronte al quale non si è abbattuta, iniziando sin da giovane ad affrontare – e superare – le barriere che la vita e i pregiudizi le ravano davanti.
"Quando sono andata a vedere le prima partite di calcio, ho visto che c'erano delle persone all'interno del campo chiamate arbitri e che potevano prendere decisioni e cambiare tutto sul campo di gioco. Quindi mi sono emozionata e da quel momento, mentre ero ancora alle elementari, ho iniziato a pensare a quelle persone". Una passione talmente forte che la spinse a rispondere ad un invito della Federcalcio ruandese a iscriversi nel settore arbitrale e che, quando ricevette il rifiuto perché troppo giovane, le permise di raggiungere l'obiettivo con le sole proprie forze: "Non sapevo ci fosse molto da fare ma ho iniziato a imparare passo dopo passo, da sola".
Fino ad arrivare alle porte della Ferwafa e, a quel punto, attraversarle. Da lì in poi, un crescendo costante fatto di riconoscimenti e convocazioni: Mukansanga ha iniziato a farsi largo in patria, arbitrando le partite di campionato maschile in Ruanda, poi è stata chiamata alla Women's Nations Cup 2016, quindi alla Women's World Cup 2019 e infine alle Olimpiadi di Tokyo, passando anche per la Coppa delle Nazioni maschile in Camerun. Fino ai Mondiali in Qatar. "Significa che le opportunità ci sono e sta a noi coglierle e diventare produttivi grazie a esse. Ci meritiamo di essere qui. Abbiamo il nostro background, e da quello nasce la passione e il duro lavoro e questo è il frutto".
Non senza aver dovuto affrontare ostacoli e pregiudizi in un mondo che da sempre ha visto con diffidenza una presenza femminile in campo: "In un campo dominato dagli uomini, devi raddoppiare il tuo lavoro, quindi avere la passione, perché senza questa passione ti non ce la farai mai e rischi di lasciare perdere". Cosa che Mukansanga non ha mai fatto, prima di tutto superando le ‘barriere' naturali: "La velocità degli uomini è ai massimi livelli, quindi a volte non riesco a correre come gli uomini, ma mi spingo a fare di più: lavorare per mantenere almeno lo stesso ritmo, avere una maggiore vicinanza con i giocatori e un buon angolo di visione".
Poi, superando gli ostacoli più grandi, quelli dei preconcetti sulle donne nel calcio che finalmente sembrano essere abbattuti: "Ma non vogliamo smettere proprio adesso. Noi donne dobbiamo essere sempre un passo avanti e lavorare, avere successo e lottare tutte insieme. Se una donna sostiene un'altra donna, ovviamente vedrai dei frutti perché ci saranno sempre barriere, ostacoli e sfide. Non c'è niente da fare contro di loro se non per noi combattere con una forte mentalità, impegno e pieno impegno. Solo allora li supereremo."
Perché come ha anche confermato senza mezzi termini Pierluigi Collina, presidente del comitato arbitrale della Fifa, "deve contare la qualità e non il genere. E mi auguro che in futuro la selezione degli ufficiali di gara femminili d'élite per importanti competizioni maschili venga percepita come qualcosa di normale. Meritano di essere ai Mondiali perché si esibiscono costantemente ad altissimi livelli'.